La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Perché la Napoli intelligente è finita nella spazzatura

20-11-2009

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Lucio Iaccarino, Napoli Bene. Salotti, clienti e intellettuali nella capitale del Mezzogiorno, Ediesse, Roma, 2008, pp. 190, € 10.00.

Che farsene di un ingombrante divano bianco, pesante eredità del “Maestro” al discepolo ormai orfano della sua guida e dei suoi insegnamenti? E’ con questo fardello da collocare che Lucio Iaccarino, qui autore e narratore, inizia il suo peregrinare nei salotti possibili della Napoli bene e cioè di una Napoli intelligente e colta con le sue successive frustrazioni fino al momento algido della crisi della spazzatura del 2008.

Questa voce narrante è una voce generazionale che ha avuto dei maestri e li ha rispettati e che adesso aspetta di prendere la parola e di parlare da questa sua città con voce nuova, al passo con i tempi ma con piena coscienza del suo territorio e delle difficoltà (insormontabili?) che presenta non volendo cedere alla tentazione di lasciare Napoli, decisione a volte tentatrice ma che per il narratore sarebbe un tradimento.

In questa città “drogata dai finanziamenti pubblici e aggredita dal clientelismo” Iaccarino deve e vuole vivere e operare, indagando le ragioni di un’infelicità pubblica che ha cambiato i connotati di una città nota per la sua gioia di vivere e per essere proverbialmente estroversa.

Ma ormai la città non risponde più agli abituali clichè, è diventata impietosa e violenta, incurante dei suoi giovani e della loro formazione, disperata e aggressiva.

Iaccarino sa che questa degenerazione non è solo di Napoli: rileva e racconta con amarezza altre aggressività e impazienze, altre illegalità e truffe nella penisola tutta e nei luoghi dove lo conducono le sue competenze di ricercatore universitario. Non per questo se ne consola.

A Venezia, in quel paesaggio incantato, un incidente marinaro rivela la propensione alla prepotenza e all’aggressività perfino fra quei canali.

E a Napoli qualche ragione di speranze c’era stata: “L’approvazione del piano regolatore regionale, la scommessa aperta con il futuro ambientale di Bagnoli, i progetti per Napoli est, la costruzione della metropolitana collinare, la chiusura delle piazze e l’adozione di aree chiuse o a traffico limitato, le strisce pedonali e le luci dei lampioni, l’abbattimento delle vele, la riorganizzazione del Comune, la nascita delle municipalizzate…” Era il “rinascimento napoletano” che aveva indotto anche il “Maestro”, il sociologo Percy Allum, che aveva rivelato negli anni ottanta i segreti del clientelismo attraverso le figure dei Gava, a ritornare a Napoli e alla cattedra dell’Università Orientale. Ma sono passati gli anni e quelle speranze si sono rivelate false: “nel non decidere si assecondavano gli appetiti peggiori: l’assenza di una politica ambientale aveva consentito agli interessi maligni di governare privatamente l’affare rifiuti, dimenticando la pulizia delle strade e la salute della gente. Ma se un governo locale non cadeva dinanzi ad una tragedia così abnorme, allora non esisteva nessuna ragione sufficiente a delegittimarlo”.

E’ così che si somma impotenza a impotenza e che vien fatto di riconoscere alla realtà un valore più alto rispetto alla teoria e la realtà è l’implacabile ostilità di un “barone” che indurrà il nostro a rinunciare alla sua vocazione di studioso e di ricercatore; e la realtà è anche una banda di ragazzini che si impossessa della piazza di quella stessa Università per imporre la legge della violenza perfino su quel territorio del sapere.

Privo del maestro, impotente sia rispetto alla gerarchia universitaria che alla prepotenza dei guaglioni, il narratore ripensa alla storia degli ultimi decenni della città: dall’indiscusso impero dei Gava alle speranze accese dal sindaco comunista, Maurizio Valenzi, dal terremoto alla sfilza di sindaci (sette fra il 1984 e il 1993) e alla crescita sproporzionata e clientelare di dipendenti comunali tanto da consentire un paragone fra Palazzo San Giacomo e un Ministero dell’Africa subsahariana. Ma nonostante tutto, nel suo inquieto vagabondare nel labirinto sociale ed etico della sua città, Iaccarino scopre che “esisteva una Napoli pronta a scommettere su se stessa, disposta a continuare antichi mestieri e a rendere nobili quelli moderni. Era una Napoli che reclamava silenzio, mentre il clamore televisivo le rimproverava la sua condizione disperata”. Ed è a questa città che si sente di appartenere l’autore, deciso a restare a Napoli senza rifugiarsi nell’agio, senza rinunciare alla voglia di incidere nel contesto “dandola vinta alle fobie collettive e ai timori individuali di non rischiare troppo”. Iaccarino non vuole lasciarsi sconfiggere dalla ciclica e implacabile apparizione di drammi collettivi ma propone –e si propone- di “investire nella ricostruzione dei rapporti umani, stimolando la fiducia e considerando la società alla stregua di un corpo malato, sul quale intervenire operosamente”.

Forse si tratta solo di una “modesta proposta”, eppure c’è da augurarsi che quel che l’autore propone nelle pagine del suo libro trovi ascolto. A cominciare dalla legalizzazione di alcune sostanze stupefacenti per porre fine al degrado umano di quartieri come Scampia, e all’enfasi sulla cultura come difesa contro il rischio di fare la guerra all’illegalità rinunciando alla libertà in nome del controllo.

Alessandra RiccioAlessandra Riccio ha insegnato letterature spagnole e ispanoamericane all’Università degli Studi di Napoli –L’Orientale. E’ autrice di saggi di critica letteraria su autori come Cortázar, Victoria Ocampo, Carpentier, Lezama Lima, María Zambrano. Ha tradotto numerosi autori fra i quali Ernesto Guevara, Senel Paz, Lisandro Otero.E' stata corrispondente a Cuba per l'Unità dal 1989 al 1992. Collabora a numerosi giornali e riviste italiani e stranieri e dirige insieme a Gianni Minà la rivista “Latinoamerica”. E’ tra le fondatrici della Società Italiana delle Letterate.
 

Commenti

  1. franco santangelo

    I Guaglioni, la spazzatura e il resto dell’Italia

    Mi viene da pensare a quelle cose che spesso da giovani ci infatuavano quando incontravamo una persona intelligente, una ragazza bella, una persona danarosa, li guardavamo con occhio curioso, ma incantato, quasi a vederli come degli angeli senza sesso, ma che dico, ancora di più, come delle persone che ci veniva difficile immaginare con la necessità di avere le loro esigenze fisiologiche. Quando ci accorgevamo che anche loro avevano figli che nulla avevano a che vedere con il loro DNA, quando ci accorgevamo che anche loro producevano rifiuti più puzzolenti dei nostri, allora l’incantesimo ad un tratto si rompeva. Iniziava così un discorso disincantato, più vero, più credibile e non per questo una voce nuova, perché prima di noi altri avevano provato a toccare le cose come S. Tommaso, eppure, non erano queste voci nuove ma voci deboli e i “guaglioni” questo lo sanno perché tutto veniva livellato con il sorriso ironico, la mimica napoletana, la musica, l’ironia che messi sul palco di un teatro rappresentavano il riscatto culturale delle voci più deboli. Forse Lucio Iaccarino si è accorto che la gente girando per le strade non sorride più, non solo: non riesce a esportare la propria allegria perché nel resto dell’Italia si sorride meno di Napoli. Si parla e si sorride di meno per l’area puzzolente che si respira nelle strade, non soltanto per quello, la gente si sente imbrigliata da un sistema che produce spazzatura da tutte le parti e nessuno sa più dove metterla, ed in questo Iaccarino ha ragione. La spazzatura la produce la politica, la giustizia, la cultura, le istituzioni, ciò lo dimostra la reazione dei “ragazzini” che occupano le piazze, altro che 68, l’inquinamento è arrivato anche nei loro cervelli (droga-spinelli-alcol). Allora bisogna essere autoritari o restare impotenti? Escludo l’uno e l’altro. Bisogna diventare ecologici in tutto dalla testa ai piedi. Pensate fino a vent’anni fa la sporcizia era una vergogna, una sottocultura, adesso…
    Ciao.
    Franco Santangelo

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