Il Pd ha aperto il gioco delle primarie accettando i risultati: è la chiave del successo. Ha vinto una certa idea del centro sinistra aperto, inclusivo, battagliero. Chi ha votato non si è lasciato "ottenebrare" dalle televisioni berlusconiane: il 10 per cento degli elettori ha scelto controllando la serietà delle offerte dei partiti
Gianfranco PASQUINO – Preghiere, pentimenti e primarie
31-05-2011Il messaggio è chiaro. Secondo Monsignor Silvio Berlusconi, i milanesi debbono mettersi subito a pregare e i napoletani si pentiranno. Noi che non abbiamo nessuna linea diretta né con il Papi Eterno, o supposto tale, di Arcore e neppure con alti prelati, pensiamo che, in special modo, a Milano e a Napoli, gli elettori abbiano deciso di sconfiggere la vecchia e brutta politica non con la preghiera, ma con il proselitismo e che non avranno nulla di cui pentirsi.
In quelle due importanti città e nelle molte altre conquistate dal centro-sinistra, l’esigenza motivante è stata costituita dalla voglia di scegliere sindaci rispettabili, noti per la loro attività politica e biografia personale, capaci costruire il cambiamento. Sono e, sperabilmente, continueranno ad essere sindaci che, eletti dal centro-sinistra, interpretano le preferenze anche di molti altri cittadini, al di là delle semplici, ma spesso vaghe, appartenenze partitiche.
Pur con qualche oscillazione e alcune comprensibili difficoltà, il Partito Democratico ha offerto generosamente il campo di gioco, vale a dire le primarie; ha accettato la sconfitta dei suoi candidati; ha, poi, appoggiato fino in fondo chi aveva vinto quelle primarie. Dunque, il PD non è affatto stato un partito-notaio, ma si è dimostrato un partito attivo e partecipante che sa costruire alleanze in un certo senso lungimiranti. Sarebbe opportuno ripartire da lì, senza orgogli e trionfalismi di (nessun) partito che, in un elettorato dalle ormai debolissime appartenenze partitiche, potrebbero risultare controproducenti.
Non ha vinto l’Italia dei Valori, non ha vinto Sinistra e Libertà, non ha vinto (ma non ha neppure perso) il Partito Democratico. Ha vinto una certa idea di centro-sinistra aperto, inclusivo, battagliero, con personalità in grado di attrarre elettori altrimenti poco motivabili, giustamente pigri, talvolta tristemente scettici. Né Milano né Napoli, né Cagliari né Trieste (e neppure Macerata) possono assurgere a laboratori nazionali. Vincere in special modo in quelle quattro città significa colpire durissimamente il cosiddetto blocco sociale berlusconiano, grazie alla rappresentatività e alle qualità dei candidati vittoriosi ciascuno di loro quanto di più lontano dal berlusconismo come stile e come sostanza politica. Quei voti hanno, anzitutto, un significato locale, ma hanno, subito dopo, una portata nazionale.
Dicono a coloro che dal centro-sinistra guardano soltanto alla loro sinistra, che, qualche volta, i voti centristi sono utili. Dicono a chi pensa che l’UDC sia l’alleato decisivo che senza Italia dei Valori e Sinistra e Libertà si farebbe pochissima strada. Dicono anche che non c’è bisogno di rincorrere la Lega che è alquanto in affanno e che è opportuno astenersi dal raccontare inutili favole sul federalismo fiscale o quant’altro. Dicono, infine, che davvero nel centro-sinistra si trovano molte “risorse” umane che le primarie, fatte bene, senza imposizioni partitiche, sollecitano, lanciano, premiano.
Prima i dirigenti delle correnti dentro il PD smettono di pensare alle loro personali carriere e a quelle delle loro zelanti truppe, prima Di Pietro e Vendola capiscono che dentro il centro-sinistra vincono e fuori sarebbero schegge, non impazzite, ma stupide e autoreferenziali, prima si prende atto che, finalmente, sembra emersa una parte di elettorato, valutabile all’incirca al dieci per cento o poco più, che è capace di valutare proprio le offerte di persone, di alleanze, di programmi, di alternativa che viene fatta loro e assolutamente disponibile a premiarle, meglio sarà.
Le forze della trasformazione esistono nella società italiana (e in parte della sua politica). Non sono state ottenebrate e ottuse dalle televisioni berlusconiane e affini. Possono crescere e rafforzarsi con la pazienza, con l’intelligenza e con la circolazione di persone e di idee che quel grande strumento che si chiama primarie promette e produce. Nessuna preghiera, nessun pentimento, molte primarie (a suo tempo anche per le candidature al Parlamento): saranno le opere a contribuire alla necessaria crescita elettorale e politica del centro-sinistra e al buongoverno del Belpaese.
Gianfranco Pasquino, torinese, si è laureato in Scienza politica con Norberto Bobbio e specializzato in Politica Comparata con Giovanni Sartori. Dal 1975 è professore ordinario di Scienza Politica nell’Università di Bologna. Socio dell’Accademia dei Lincei, Presidente della Società Italiana di Scienza Politica (2010-2013), è Direttore della rivista di libri “451”. Tra le pubblicazioni più recenti: "Le parole della politica" (Il Mulino, 2010), "Quasi sindaco. Politica e società a Bologna" (Diabasis, 2011). Ha appena pubblicato "La rivoluzione promessa. Lettura della Costituzione italiana" (Bruno Mondadori, 2011).