Quando Vittorini decise: “Non pubblichiamo il Gattopardo”
10-11-2009
di
Fabrizio Dall'Aglio
Mauro Baudino, “Il gran rifiuto”, Passigli, Firenze
Se è vero che l’incubo di ogni editore è quello di rifiutare un’opera che poi, accettata da altri, si trasforma in un impensato (da lui) bestseller, è altrettanto vero però che la questione non è così semplice come potrebbe apparire a prima vista. Non si tratta cioè soltanto, almeno in un buon numero di casi, di semplici errori di valutazione. L’errore, forse, c’è comunque, ma il ‘rifiuto’ non sempre è così peregrino come potrebbe sembrare. È forse questo uno degli aspetti più interessanti del libro di Mario Baudino Il Gran Rifiuto, un viaggio appassionato attraverso la lunga messe dei ‘rifiuti editoriali’: rifiuti dai quali sono poi sopravvissute opere come la Recherche e Il Gattopardo (rifiutato da Elio Vittoriani), Carrie di Stephen King e Il lamento di Portnoy di Philip Roth, solo per citarne alcune. Rifiuti oggi impensabili, e quanto meno imbarazzanti per gli editori che ne sono stati i protagonisti. Tuttavia il libro di Baudino è tutto fuorché un libro di pettegolezzi editoriali; forse anche nella consapevolezza che è sempre facile avere ragione a posteriori, e che il mestiere dell’editore si gioca spesso su scelte troppo veloci per essere davvero meditate, e troppo legate a contingenze extra-letterarie che possono influenzare orientamenti e, dunque, decisioni. Ma non c’è solo questo: Il Gran Rifiuto segue logicamente con un occhio più preciso e più allenato la grande storia dell’editoria italiana del Novecento, e del resto Baudino vive in una città, Torino, che è la storica sede della Giulio Einaudi Editore, la casa editrice che senza dubbio ha maggiormente marcato la formazione culturale delle generazioni del secondo dopoguerra. Senza considerare che lo stesso Baudino avrà molto probabilmente incontrato, come autore, qualche non trascurabile traversia editoriale – noto come giornalista culturale de “La Stampa”, ricordiamo però che Baudino è anche uno dei migliori poeti della sua generazione.
Il Gran Rifiuto si legge dunque anche come una sorta di storia dell’editoria ‘alla rovescia’; fattuale quanto l’altra, diciamolo, perché il rifiuto è una scelta non meno effettiva della pubblicazione. E forse serve anche ad illuminare le motivazioni opposte, quelle che hanno permesso a tante altre opere, magari molto più mediocri o addirittura inesistenti, di venire alla luce senza troppe tribolazioni.
Nel libro, la presenza della casa editrice di Giulio Einaudi è – giustamente – molto forte. Ma non solo; è anche una preziosa testimonianza della ben ragguardevole distanza fra l’editoria di quegli anni, che poteva contare su consulenti come Elio Vittorini, Italo Calvino ecc., e la nostra attuale editoria, la quale certo non ha perso il vizio del ‘rifiuto’, ma che forse ha perso gran parte delle motivazioni culturali che quei rifiuti determinavano.