Anders Berhing Breivik ha reso pubblico il suo manifesto (una sorta di compendio delle 1.518 pagine del documento “European Declaration of Independence”) inviandolo, tra gli altri, al deputato dell’estrema destra belga Tanguy Veyes. Ecco, dunque, alcune delle “ottime idee” di Breivik che tanto sono piaciute a Mario Borghezio, loquace e ben pagato parlamentare della Lega a Bruxelles:
I due nemici dell’Europa sono il “multiculturalismo marxista”, che Breivik-Berwick vede all’opera ovunque; e la “islamizzazione“. Per combattere entrambi, occorre creare una resistenza europea, con un rifondato Ordine dei Templari (The Poor Fellow Soldiers of Christ and of the Temple of Solomon) – viene fatto anche un esplicito riferimento alla Massoneria quando si parla del mitico eroe-fondatore delle logge, Jacques de Molay. (…) Il rinato Ordine Templare dei “cultural conservatives” funzionerà anche come “tribunale di crimini di guerra” per giustiziare i multiculturalisti. Il nuovo ordine politico si baserà su “unità non diversità; monoculturalismo non multiculturalismo; patriarcato non matriarcato; isolazionismo europeo non imperialismo europeo”.
Se le elite multiculturali non cederanno il potere alle “nostre forze rivoluzionarie conservatrici”, allora “la seconda guerra mondiale sembrerà un picnic rispetto al massacro che sta per arrivare”.
[ fonte: http://kelebeklerblog.com/2011/07/24/oslo-il-manifesto-della-strage-fallaciana/ ]
In sostanza, mentre i media – che avevano inizialmente (e imprudentemente) attribuito la strage di Oslo ad Al Quaeda – tentano ora di liquidare l’autore della strage di Oslo come un “pazzo”, l’ingenuo Borghezio ha confermato quelli che, con tutta evidenza, sono i comuni denominatori tra la delirante ideologia del nordico Breivik e quella incarnata dall’audace condottiero padano: estremismo, razzismo, misticismo. Un cocktail più spaventoso di qualunque altro fantasma si aggira per l’Europa… Un film tutt’altro che inedito: inutile meravigliarsi della “lucida follia” di un Breivik. Meglio sarebbe leggere e documentarsi prima di classificare sbrigativamente la strage di Oslo come l’estrema conseguenza del delirio di un singolo isolato. A prescindere da eventuali perizie psichiatriche e sperando che l’autorità giudiziaria norvegese faccia il suo dovere, è forse utile addentrarsi nei meandri dell’ideologia (delirante, sì, ma contagiosa) di cui si sono nutriti e si nutrono i protagonisti del variegato mondo dell’estrema destra europea.
Flashback. Il 12 giugno 1994 (a fine marzo Berlusconi, Bossi e Fini avevano vinto le elezioni) il Corriere della Sera pubblica una intervista di Gian Antonio Stella a Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, terroristi di destra condannati in via definitiva per la strage alla stazione di Bologna. Titolo eloquente: “Noi all’ergastolo, loro al governo”… Anche questa intervista fa parte del grande archivio di quella storia dell’Italia unita di cui stiamo celebrando i 150 anni. A rileggerla in questi giorni, tra gli ex camerata citati dalla Mambro, spicca il nome di Gianni Alemanno. Sposato fin dal 1992 con Isabella Rauti (figlia di Pino: fondatore del MSI e, nel 1954, del centro studi “Ordine Nuovo”), l’attuale sindaco di Roma è intervenuto in questi giorni al raduno della “Giovane Italia” a Bolzano, sostenendo di fatto la campagna di Casa Pound contro l’accordo siglato dal ministro dei Beni culturali Sandro Bondi con il Südtiroler Volkspartei per la “storicizzazione” dei
monumenti fascisti del capoluogo altoatesino.
Nel 2009, dopo un periodo di libertà condizionata, Valerio Fioravanti ha chiuso i conti con la giustizia italiana: da allora è un uomo libero. Nel 2010, insieme alla sua “compagna” Francesca, partecipò alla campagna elettorale (perdente) di Emma Bonino, che contendeva la presidenza della Regione Lazio a Renata Polverini. Oltre alle ottantacinque vittime della strage ala stazione, Fioravanti è stato riconosciuto colpevole dell’omicidio di altre 8 persone (la Mambro addirittura 11).
Ma quanti sono gli anni effettivamente trascorsi dietro le sbarre dal terribile “Giusva” Fioravanti? Diciotto anni: circa 70 giorni per ciascuna delle sue vittime. Pochi? Tanti? Da anni i sostenitori dell’innocenza delle due primule nere, ne sottolineavano il percorso virtuoso compiuto grazie all’associazione “Nessuno tocchi Caino”, presso la quale hanno svolto attività di volontariato fin dai primi permessi e durante la libertà condizionata. Sarà, ma una domanda sorge spontanea: come si può accettare che due assassini di tale ferocia, veri e propri collezionisti di ergastoli, vengano fatti uscire di prigione pur non avendo mai confessato le proprie responsabilità sulla strage di Bologna (e, naturalmente, senza aver fatto i nomi dei mandanti)? Solo un paese senza memoria può accettare un simile insulto. È per questo motivo che, da trentun’anni, alle 10.25 di ogni 2 agosto una inderogabile e collettiva pretesa di verità e giustizia si manifesta nel piazzale antistante la stazione di Bologna.
Valerio Fioravanti spiegava così le origini del suo gruppo terroristico: “la sigla N.A.R. è stata usata da molti anni, inizialmente per semplici attentati di danneggiamento, e stava ad indicare soltanto la matrice fascista. Tale sigla peraltro non si riferisce ad una organizzazione stabile e strutturata; bensì soltanto alla matrice degli attentati. Se vi era il rischio che persone estranee o anche persone della destra facessero azioni sbagliate e controproducenti, esso era compensato dal vantaggio che tale organizzazione sembrasse realmente esistente e attiva per più lunghi periodi di tempo”.
I frettolosi fautori del presunto “spontaneismo” di Breivik dovrebbero riflettere. Sono molte le azioni criminali nella storia d’Italia che, dietro l’apparente “spontaneismo” del delitto, celavano progetti eversivi, organizzazione, denaro e, naturalmente, ideologie perverse. Il semplice fatto che un singolo terrorista (o un piccolo gruppo) – nell’Italia degli anni ’70/’80, proprio come nel’Europa post 11 settembre 2001 – possa apparire “non strutturato”, non significa necessariamente che non abbia una organizzazione politica e/o militare alle spalle.
È ormai storicamente accertato che una delle principali strategie utilizzate da chi ha progettato stragi e colpi di stato (strategie teorizzate dagli ideologi dell’estrema destra – si pensi a Franco Freda, e spesso sollecitate, facilitate, finanziate e/o strumentalizzate da servizi segreti e varie organizzazioni “coperte”) è proprio quella di attivare nuclei e legioni (con strutture logistiche comuni e possibilità di scambio di uomini nei casi di temporanea carenza) Già nel 1963 Franco Freda – editore padovano, ideologo nero e futuro “reggente” del Fronte Nazionale – scriveva:
“Noi siamo per uno stile di vita che nessun partito può darci; ma solo un Ordine di idee, una Unità differenziata di istanze, il Cameratismo nella lotta contro un sistema sfaldato. Noi siamo per una Aristocrazia che è radicale rifiuto del modello egualitario. Noi assumiamo una prospettiva gerarchica e organica”.
Pochi anni dopo, nel suo libro La disintegrazione del sistema, Freda spiegherà meglio le caratteristiche di questo cameratismo: “Noi siamo dei fanatici, dei fanatici che tendono a essere sempre più lucidi. Ed è proprio del fanatico assumere una visione del mondo e, riconosciutala, viverla, tendere a essa, distaccati (e perciò pronti a utilizzarli) da tutti i mezzi che siano efficaci per raggiungerla”. Infine, all’inizio degli anni ’90 (in coincidenza con la nascita della Lega Nord), il camerata Freda non mancherà di sigillare la necessaria continuità ideologica tra i nazifascisti di ieri e i razzisti di oggi: “Sulla razza non si deve discutere, non ci si deve confrontare: se mai specchiare. La razza è sangue, è nervo. Non pone interrogativi. È un elemento, come l’aria, come il sole, non un argomento”.
Davanti alle teorie di un Freda, il manifesto di Breivik appare come il “copia incolla” di un utile idiota. Un potenziale “fanatico”? Per quanto riguarda invece le modalità della strage di Oslo, è difficile credere che nessuno fosse a conoscenza delle intenzioni di Breivik. Alcune coincidenze richiamano alla mente l’organizzazione della V Legionedei Nuclei Difesa dello Stato facente capo allo Spiazzi che, per quanto diversamente strutturate, rispondevano sostanzialmente alla stessa logica e compivano azioni coerenti al medesimo progetto politico. Si pensi inoltre alle affinità organizzative tra Forza Nuova e la vecchia sigla dell’estrema destra “Terza Posizione”: nuclei territoriali e “CUIB” disseminati nei quartieri e negli istituti scolastici, il territorio presidiato da “capi-zona” e “quadri”, il servizio d’ordine affidati alle “legioni”, ecc.
L’attenzione per gli ordini templari, per esempio, non è solo la suggestione di un “pazzo”, forse nostalgico delle Crociate. L’interessamento degli ideologi nazisti e fascisti per il misticismo ha radici lontane: “la Legione dell’Arcangelo Michele fu creata in Romania il 24 giugno 1927. Il suo fondatore, Corneliu Zelea Codreanu, aveva allora 28 anni. Figlio di un professore di scuola media di origine polacca, il suo vero nome era Zelinski, e di madre metà austro-tedesca, Codreanu, alla testa di uno sparuto gruppo, in gran parte composto da studenti o ex studenti dell’Università di Iasi, si decise a questo passo dopo aver militato nella Lega di difesa nazionale cristiana, una delle principali formazioni nazionaliste che rivendicavano la «Romania ai soli romeni». (…) In seno al movimento, nel 1930, come corpo armato fu costituita la Guardia di ferro cui venne affidata l’esecuzione delle rappresaglie contro gli avversari e il «comunismo ebraico». La Legione e la Guardia di ferro innervarono in Romania negli anni Trenta e Quaranta uno dei più feroci e sanguinari movimenti antisemiti che l’Europa abbia mai conosciuto, collaborando con i nazisti e praticando spaventosi pogrom” [cfr. Saverio Ferrari, “Le nuove camicie brune. Il neofascismo oggi in Italia”, 2009 BFS edizioni].
Dalla Romania degli anni ’30 alla Norvegia di oggi, passando per l’Italia degli anni ’70/’80, la “fiamma” delle ideologie razziste e antidemocratiche non si è mai spenta. Anzi: ha continuato a reclutare giovani. Chi ha visto il documentario di Claudio Lazzaro “Nazirock” lo sa. 15 Novembre 2008, a Bologna fa freddo. L’associazione di estrema destra Casa Pound è appena sbarcata in città. Una notte, mentre tornano a casa con amici, sotto le Due Torri due giovani “zecche” si imbattono in un gruppo di “camerati”: “una bottigliata, poi un colpo con lo sgabello dell’ultimo locale ancora aperto. A quel punto il 34enne F. M. è rovinato a terra e i fascisti, «una decina» secondo i testimoni, l’hanno massacrato di calci. E’ finito all’ospedale Maggiore con la mascella e il setto nasale fratturati, un dente rotto, un brutto ematoma al capo e un edema palpebrale all’occhio sinistro”. Tra gli autori del pestaggio c’era uno dei protagonisti di Nazirock: il trentenne Luigi Guerzoni, responsabile del movimento giovanile di Forza Nuova nonché cantante dei ‘Legittima Offesa’, rock band che inneggia alla “razza bianca”. Poco tempo prima, insieme a Roberto Fiore (tuttora leader di Forza Nuova, già fondatore di Terza Posizione, nel 1980 distribuiva il giornale Costruiamo l’Azione per conto di Massimiliano Fachini, capo del “gruppo del nord”, ndr), Guerzoni era riuscito a limitare, con una diffida, la distribuzione del documentario di Lazzaro.
In questa evoluzione dell’ideologia fascista, si registra una progressiva accentuazione del misticismo. Ne è un esempio l’Ordine dei Ranghi, una sorta di evoluzione di Terza Posizione, strutturata come una confraternita, alla quale Freda – secondo alcune testimonianze – aveva lavorato fin dall’ottobre 1979. L’interesse degli estremisti di destra per gli ordini templari, dunque, ha assunto nel tempo un rilievo strutturale e affatto occasionale. Freda non aveva tempo per le pagliacciate: si occupava con cura dell’aspetto culturale e politico dei movimenti nazionalrivoluzionari. Non a caso nell’Ordine dei Ranghi erano previste regole rigidissime con sanzioni severe, compresa – secondo il pentito Sergio Latini – in casi gravi la morte
Insomma: i “cattivi maestri” di ieri (e i loro pessimi discepoli) continuano la loro azione. Le sentenze sulla strage di Bologna restano uno dei pochi argini contro la definitiva vittoria dei revisionismi di matrice cossighiana. Un revisionismo che, con il passare degli anni, ha contagiato anche alcuni magistrati. Basti pensare a Rosario Priore, il giudice che indagò su Ustica. Proprio ieri è uscita un’agenzia di stampa con queste sue dichiarazioni: ”Sull’interpretazione che è stata data dalle Corti si è formato il giudicato che, come tale, deve essere rispettato. Bisogna però vedere se dopo queste nuove piste, emergano elementi tali da indurre a una revisione del processo. La tesi su cui si stava lavorando alla procura di Bologna era quella di un attentato di matrice palestinese, del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FLP), il cui leader per l’Italia era in carcere per la famosa storia dei missili di Ortona”. Dichiarazioni che non stupiscono, per quanto azzardate: come per l’assenza del governo, anche le esternazioni di Priore hanno un precedente. L’anno scorso – ospite di un convegno alla Camera organizzato dalla deputata berlusconiana Barbara Saltamartini (sic!) -, a poche ore dal 30° anniversario della strage, Priore anticipò le sue convinzioni: “La rappresaglia da parte del Fronte Popolare per la liberazione della Palestina è una chiave piuttosto utile per l’interpretazione della strage di Bologna”. Sarà un caso, ma si tratta delle medesime teorie revisioniste portate avanti, per anni, da depistatori professionali (come Licio Gelli, Francesco Pazienza, Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte: condannati per depistaggio) e da altri pseudodepistatori, più o meno consapevoli: ex missini come l’on. Enzo Raisi (ex An, oggi in Futuro e Libertà); i Radicali (da sempre ipergarantisti e filoisraeliani); ex democristiani come Giovanardi (proprio lui: quello che continua a sostenere l’insostenibile tesi della bomba per Ustica!); poi ci sono gli ex comunisti divenuti nel frattempo “riformisti” e, soprattutto, “garantisti”, come per esempio Giovanni Pellegrino (già presidente della Commissione Stragi). A quel convegno di un anno fa, oltre a Priore, Pellegrino e il giornalista Giovanni Fasanella (coautore, insieme a Priore del libro “Intrigo Internazionale”), partecipò anche l’anziano ex ministro dei trasporti socialista Rino Formica (classe 1927), che ha così concluso il convegno promosso dal Pdl: bisogna “affrontare la vera ragione del silenzio: i vincoli della sovranità limitata fissati dagli accordi internazionali e le violazioni di questi limiti operate sia da paesi alleati che da nazioni ostili. L’Italia fu terra di guerra fredda accettata e di guerra calda subita”.
Sarà ovviamente la magistratura a decidere, in autonomia, se e cosa tenere in considerazione di vari contributi ed elementi di conoscenza emersi, da più parti, nel corso di questi anni e messi a disposizione degli inquirenti. E’ auspicabile che la Procura di Bologna sappia distinguere, come certamente è in grado di fare, le piste fantasiose da quelle fondate. Così come saprà analizzare gli atti del processo sulla strage di Piazza della Loggia che, pur non avendo (per il momento) portato ad una condanna degli imputati, ha comunque contribuito a fornire ulteriori elementi di approfondimento in merito alla condotta e alle responsabilità dei vari protagonisti dello stragismo e, più in generale, dell’eversione italiana.
A questo proposito concludo con un breve promemoria… Dagli atti del processo romano su Terza Posizione è emerso che, ai tempi della strage di Bologna, al sodalizio aderiva anche Giovanna Cogolli che partecipò ad una rapina ai danni di un usuraio insieme a De Orazi e Zani e che, nel frattempo, manteneva contatti con Roberto Fiore: anche lei distribuiva il giornale “Costruiamo l’Azione” per conto di Fachini. La Cogolli è la stessa persona che ebbe notizia preventiva della strage di Bologna: secondo le testimonianze dei pentiti Mauro Ansaldi e Paolo Stroppiana (testimonianze ritenute credibili dai giudici), fu lo stesso Fachini ad avvertire la Cogolli di allontanarsi da Bologna perché di lì a poco “sarebbe successo qualcosa di grosso”. Non va dimenticato, nfine, che è presso la villa della Cogolli che, alla vigilia della strage, si tenne una riunione a cui parteciparono alti ufficiali dei Carabinieri, massoni ed esponenti del mondo economico…
Anche quest’anno, dopo l’oltraggio dell’assenza nel 30° anniversario della strage, il governo Berlusconi ha deciso di non inviare nessuno a Bologna il 2 agosto. Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione dei familiari delle vittime, ha commentato così questa assenza: “una ritorsione nei confronti di tutti i parenti di tutte le vittime di stragi e terrorismo”. Un comportamento nettamente in contrasto, anche in questo caso, con la linea del Presidente della Repubblica: lo scorso 9 maggio Giorgio Napolitano ha ospitato al Quirinale i familiari delle vittime del terrorismo, dedicandola in particolare a magistrati come Mario Amato, morto per colpa di uno Stato che lo lasciò solo mentre stava indagando sulla destra eversiva. Indagini che, pochi mesi prima della strage di Bologna, lo avevano portato a segnalare le attività degli amici di Mario Tuti e Pierluigi Concutelli (l’assassino del giudice Occorsio, anch’egli libero) che, dall’interno del carcere, stavano “organizzando qualcosa di grosso”. Chi oggi, in Europa, si stupisce per la strage di Oslo farebbe bene a leggere le parole pronunciate da Mario Amato dinanzi al Consiglio Superiore della Magistratura il 13 giugno 1980, dieci giorni prima di essere freddato dai NAR Gilberto Cavallini e Luigi Ciavardini mentre aspettava l’autobus:
il corpo del giudice Amato, ucciso dai NAR
“Vi sono un sacco di ragazzi o di ragazzini che sono come i miei figli e i vostri figli, o come i figli di persone assolutamente perbene, che vengono armati o comunque istigati ad armarsi e che poi troviamo che ammazzano. (…) Si tratta di un fenomeno grave che non può essere trascurato e che non si risolve prendendo i ragazzini e mettendoli in galera. (…) Si tratta di un danno che noi pagheremo. Ciò che dico ovviamente vale sia per la sinistra che per la destra. (…) non ci interessa solamente arrestare la persona che ha commesso un reato: se tale persona fa parte di un’organizzazione, mi interessa catturarla ma poi risalire anche agli altri”.