L’ultimo saggio di Raniero la Valle completa la triologia pubblicata da Ponte delle Grazie: “Prima che l’amore finisca” analizza l’eredità del Novecento e “Se questo è un Dio” risponde alla questione di Dio che la modernità aveva chiuso. Quel Dio morto negli anni ’60, il Dio che la borghesia del benessere rifiuta di incontrare o nega di aver mai conosciuto.
– Perché il libro riprende il filo dei saggi che lo precedono?
Perché avevo un debito. Io fin da piccolo sono stato nella Chiesa, ho patito la guerra, sono andato all’Università, ho diretto un quotidiano, ho vissuto il Concilio Vaticano II e ne ho raccontato, prima di ogni altro storico, la storia, perché ne facevo giorno per giorno la cronaca mettendo insieme notizie, documenti e testimoni. Sono stato sedici anni in Parlamento, prima al Senato poi alla Camera, ho partecipato per breve tempo al governo di Roma da un ufficio che stava sotto Marco Aurelio nella piazza del Campidoglio, ho girato molte terre, alcune in fiamme, ho conosciuto persone straordinarie di ogni mondo, scomparsa la prima moglie mi sono sposato due volte, non ho figli ma tanti nipoti e nipotini che talvolta è perfino difficile ricordarne il nome, e a questo punto qualcuno potrebbe chiedermi: “Che cosa hai capito?” A suo modo questo libro, come i due precedenti, è una risposta.
– Che cosa hai capito?
Anzitutto perché ci si innamora così fortemente.
– Perché?
Perché quando ad esempio nell’”Aida” un prode capitano egiziano dice a una schiava etiope che ama: “Celeste Aida”; quando nell’”Iliade” i saggi Troiani che siedono alle Porte Scee vedendo arrivare la bella Elena dicono: “è divina”; quando nel Cantico dei Cantici, che è il più bel libro della Bibbia, si dice che l’amore tra quell’uomo e quella donna “è fiamma di Dio”, ed è la sola volta che lì Dio è nominato, queste espressioni non sono iperboliche, sono vere. Vero è che la donna è divina, che l’uomo è divino. Perciò anche l’amore è divino.
– Come può l’uomo essere divino? Tutta la civiltà occidentale dice che se è un uomo, non può essere Dio.
Non è vero. In Occidente si afferma con forza la dignità, la “dignitas” dell’uomo. Ma che cos’è la “dignitas” dell’uomo se non la sua “divinitas”? È questo lo specifico umano, ciò che distingue l’uomo dagli “altri” animali, quella differenza sostanziale che nel processo evolutivo gli scienziati non riescono a trovare. Del resto nella lettera a Tito san Paolo per definire la natura buona di Dio parlava della “humanitas” di Dio: Dio è buono in quanto è “umano”. Così, in questo scambio dei linguaggi, per dire la vera natura dell’uomo si deve parlare della sua “divinitas”, nel che sta la sua dignità.
– Non tutti gli uomini sono degni, se sono così capaci di male.
Gli uomini non peccherebbero, non farebbero il male, se non fossero liberi. La libertà è ciò che di Dio è in loro. Si è discusso, nella Chiesa, in che senso l’uomo fosse, come dice la Bibbia, “immagine di Dio”. La risposta prevalente (che arriva fino a Benedetto XVI) è che l’immagine sta nella ragione. Invece (lo diceva con forza San Bernardo) sta nella libertà. Perciò la libertà è santa: altro che “bieco illuminismo” come è stato scritto in recenti polemiche guelfe in Italia. Nel Duecento un editto con cui a Bologna furono liberati i servi, si chiamò “Liber Paradisus”, libro Paradiso. Il Paradiso è dunque il luogo, e gli eventi, in cui gli uomini vengono a libertà. Perciò ogni volta che gli uomini si liberano, o sono liberati, c’è più paradiso in terra, e si prepara quello celeste.
– Però, se si fa il male, l’immagine di Dio si perde, e il paradiso non c’è.
No, l’immagine permane, anche se si compie ciò che è male. I teologi medievali erano fermissimi su questo. Perché una cosa è l’immagine, l’impronta divina nell’uomo, altra cosa è la somiglianza. Anche Hitler portava in sé l’immagine di Dio, ma non gli rassomigliava per niente. La somiglianza sta nell’usare la libertà per il bene, di cui non è vero che l’uomo non sia capace, nonostante le antropologie pessimistiche fondate sul peccato. Questo è dunque il senso di “Paradiso e libertà”: il Paradiso è libertà, ma la libertà si deve usare per il Paradiso.
– Che cos’altro hai capito?
Ho capito che nonostante la tragica situazione in cui l’umanità è venuta oggi a cadere, anche per colpa sua, l’uomo può farcela a riprendere in mano la terra e la storia. Nel Novecento furono espresse sentenze un po’ disperate, si disse che a questo punto solo un Dio ci poteva salvare, cioè solo un miracolo. Ma l’uomo è questo miracolo. Le risorse ci sono, e sono nella natura stessa dell’uomo e della donna, come sono usciti dalle mani di Dio o, come dico nel libro, messi in vita dal “bacio di Dio”.
– Ma ce la può fare l’uomo da solo?
Ce la può fare l’umanità tutta intera, perché l’umanità non è solo umana, è il corpo di Dio (“corpus Domini”, dice la Chiesa).
– Ma questo non vuol dire consegnarsi alla Chiesa?
L’amore di Dio sta nella Chiesa, ma è oltre la Chiesa ed è prima della Chiesa. Non tutto comincia con la Chiesa visibile. Anche prima del Cristo storico l’umanità giungeva a salvezza, perché il Cristo, il “Verbo”, è da sempre, come il Padre. Non vedere ciò porta gravi conseguenze. GS e Comunione e Liberazione nacquero dall’idea che Cristo fosse il cominciamento assoluto, e perciò credettero che l’unica cosa necessaria fosse “essere Chiesa”, e che la loro comunità era questa Chiesa, come luogo in cui stare in continuazione di lui. A questa condizione si poteva senza remore usare il potere, prendere in appalto il mondo, con l’idea che la Chiesa stessa fosse il mondo salvato, e così le critiche al cattivo uso del potere e del mondo potevano essere tacciate di “moralismo”: e ancora lo sono, così si arriva fino a Berlusconi, e alla sua assoluzione da ogni peccato, compresi i cari, vecchi peccati “de sexto”. Ma il Cristo storico non è lo spartiacque tra l’essere e il non essere del mondo, l’essere o non essere di Dio nel mondo, egli viene dal principio e si inserisce in una storia, che non è solo quella del popolo ebreo, ma dell’umanità tutta con le sue religioni le sue civiltà e le sue culture; Gesù di Nazaret fa conoscere il Dio che c’era già prima e lo spiega agli ebrei che non l’avevano capito; e così comincia una storia nuova per tutti. La Chiesa, che nasce da lì, è distinta dal mondo, perché anch’essa deve stare a sentire quello che dice lo Spirito, ed è al servizio di questi “tutti” del mondo; rientrare nel ghetto, vuol dire tornare alla storia vecchia, e così l’umanità non ce la può fare.
– E ce la può fare?
Non i singoli popoli da soli, o peggio in guerra tra loro, ma l’umanità tutta intera composta nella sua unità, nella varietà delle forme, delle politiche e delle fedi, che sono le vie di transito tra l’uno e l’altro Paradiso. Come dice il Concilio: “Unico diventa il destino della umana società senza diversificarsi più in tante storie separate”.