David Machado, Il favoloso teatro del Gigante, trad. di Luca Quadrio, Roma, Cavallo di Ferro, 2009, pp. 239, 16 euro.
In un remoto paesino portoghese sperduto tra i monti, la vita, amministrata dall’onnipotente parroco padre Augusto, scorre tranquilla. A interrompere il corso monotono dell’esistenza in bianco e nero di Lagares arrivano Eunice, la maestra elementare dai capelli rossi e ribelli, e Thomas, il gigante dagli occhi azzurri, con i loro due gemelli. Lei eterea e luminosa sembra vivere di luce riflessa del marito, grande affabulatore, che comincia a intrattenere gli abitanti con le sue storie mirabolanti ed esotiche. L’unico personaggio a rimanere sullo sfondo, presenza drammatica e asociale, è Casimiro, figlio illegittimo di padre Augusto e della perpetua Francisca, che ha scelto la carriera ecclesiastica.
Un giorno Thomas cade in un sonno che durerà tre anni. Eunice lo veglia e comincia a prendere appunti mentre lui parla nel sonno, ricostruendo quelle storie che a suo tempo avevano incantato i concittadini di Lazares. Risvegliatosi all’improvviso, ancora in una fase di dormiveglia, Thomas non riconosce più, a esclusione della sua famiglia, chi gli sta intorno. La moglie, per non dargli un dispiacere, comincia a coinvolgere gli abitanti, scrivendo per loro copioni da recitare al cospetto del marito. Ma la rappresentazione, nata come moto spontaneo di generosità nei confronti di Thomas, comincia a svolgere poco per volta funzione terapeutica sugli attori stessi, i quali si sentono autorizzati a svestire i panni dell’abitudine per indossare quelli più consoni alla loro natura nascosta. Il matto del villaggio diventa un abile ballerino caraibico; il medico condotto alcolizzato, un avventuroso libraio cileno e così via. Sono tre anni di follia collettiva, in cui ormai nessuno vuole più reindossare gli abiti dismessi. Tutti abbandonano le loro occupazioni abituali per seguire un copione ormai inutile, dato che Eunice non ha più bisogno di scrivere per gli altri, i quali spontaneamente recitano a soggetto…
Il risveglio collettivo avverrà a causa della tragedia che colpisce padre Casimiro, il quale tentando di adattarsi al ruolo destinatogli da Eunice – padre Augusto – perde definitivamente la testa. Tutti gli abitanti rientrano nella realtà, raddrizzando il mondo alla rovescia che si erano costruiti.
Brevemente, ecco la trama del primo volume pubblicato in Italia di David Machado, giovane scrittore portoghese nato nel 1978, e che ha al suo attivo un altro romanzo La notte degli animali inventati e una raccolta di racconti Storie possibili. Paragonato a Gabriel Garcia Márquez, in effetti le storie imbastite da Machado ricordano il realismo magico sudamericano, ma il tratto innovativo dell’autore risiede nell’ambientazione fortemente portoghese del luogo, Lagares, nella figura dei parroci – prima padre Augusto e poi padre Casimiro – e nei personaggi di contorno, dalle dimensioni minute, ma incisive. L’unico a svettare in tanta normalità, e non solo per dimensioni, è l’antillano Thomas, l’esotico Thomas, il quale viene accolto generosamente perché introduce in quel paesino tra i monti storie dall’immaginario onirico. E una popolazione con pochissimi contatti con l’esterno, per suo tramite, è condotta a valicare mari e monti, a lasciarsi coinvolgere in avventure inimmaginabili. Gli abitanti, a loro volta, sapranno ricompensare Thomas, recitando ognuno a modo suo, ritagliandosi addosso un ruolo che riprende le fila oniriche dei racconti del gigante. È una storia di intrecci fasulli e di grande amicizia e anche di dolore. Al dolore molti personaggi trovano rimedio diventando un altro, salendo su un palco fittizio per, forse, realizzare sogni che neanche si erano immaginati di sognare. L’unico a restare al di qua, ferocemente aggrappato alla realtà, è padre Casimiro, per la sua vita infelice, per il tentativo post-mortem di recuperare il padre, perché alcune ferite non si sanano neanche con la finzione.
Romanzo gradevole e leggero, in cui la lingua scivola anch’essa con la fugacità di un sogno, David Machado che è difficile inserire, anche per la sua giovane età, in una corrente letteraria, forse recupera il garbo di un grande scrittore portoghese Branquinho da Fonseca (del cui premio è stato insignito nel 2005), il quale nel Barão aveva saputo tratteggiare una provincia portoghese oscura, ma sincera. Qui David Machado non ritrae un Portogallo arcaico, la connotazione temporale è appena sfiorata (moneta vecchia/moneta nuova, qualche cenno alla dittatura salazarista), ma, volendo prendere Lagares come specchio del paese, con il suo romanzo egli ci offre il riflesso di un isolamento aperto. Un isolamento dettato dalla geografia, ma che non impedisce ai propri abitanti di aprirsi all’altro, con un moto di generosità che li arricchisce e arricchisce anche il lettore.
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.