Crisi finita? Lombardia e Piemonte, ragazzi che non hanno i soldi per il pulmino; ragazzi con termosifoni e case fredde. Ma in Tv vedono lo scialo e ascoltano gli annunci dell'Italia che torna felice
Suona la campana per gli scolari che non possono pagare la mensa
17-11-2009In questi giorni ho frequentato per lavoro e per diletto alcune scuole lombarde e piemontesi. In tutte ho trovato, tra le molte diversità e le tante cose belle (che si fanno, nonostante tutto e tutti), almeno una storia simile: quella del bambino senza buono mensa.
Anche l’origine della storia è la medesima: dietro a ogni bambino che non può mangiare c’è una famiglia che non ha i soldi per pagare il servizio. Si tratta di una somma variante tra i 3,5 e i 5 euro a pasto, che dovrebbe essere pagata al comune. Le famiglie in mora non hanno diritto al servizio. Il comune, quindi, non eroga il pasto. Il dilemma passa ai presidi: un bambino che non paga, ma è a scuola, che fa? Sta in mensa e digiuna, guardando gli altri mangiare? I dirigenti si dividono su politiche diverse: la maggioranza della mia personale statistica sostiene che prendersi cura di un minore (che, finché resta a scuola, è sotto la responsabilità di docenti e dirigenti) significa anche alimentarlo e quindi gli fanno dare il pasto, intavolando un dialogo con l’assessore di turno; la minoranza (sempre della mia personale statistica), chiama i genitori a casa e – se li trova – avverte che il bambino non può usufruire del servizio, quindi qualcuno se lo venga a prendere al suono dell’ultima campanella e poi lo riaccompagni a scuola per l’inizio delle lezioni pomeridiane.
Lo stesso vale per lo scuolabus: ai conducenti viene dato l’elenco di chi non può salire. Il conducente di un comune ha preso il suo bravo elenco e ha fatto l’appello di chi non poteva essere a bordo: cha andasse a piedi. E, quando non conosceva i ragazzini per nome, ha chiesto ai loro amici che glieli indicassero.
La regola è giusta e condivisibile: se non paghi, non puoi usufruire di un servizio. Sono le conseguenze che fanno pensare e, ancora di più, fa riflettere il fatto che alcuni non abbiano a disposizione i 30, 50 o 60 euro che servono per pagare un buono pasto e un passaggio di qualche chilometro.
Che senso della scuola, dello stato e della comunità possono avere ragazzini della primaria o della scuola secondaria di primo grado, obbligati a frequentare ma messi alla porta mentre gli altri mangiano o accolti per pietà (come i più crudeli dei compagni non esitano a sottolineare); lasciati a piedi mentre i compagni salgono sul pullmino giallo?
Sono poi gli stessi che a casa hanno i termosifoni freddi e le luci spente, ma alla tv vedono la sagra dello scialo e l’annuncio della fine della crisi. Non so come valuteranno la loro condizione familiare e come penseranno di uscire, ma credo avranno ben presente di essere soli.