“Tarantola” del francese Thierry Jonquet sta per uscire sugli schermi: “La pelle che abito”. Speriamo che il maestro spagnolo cambi almeno i dialoghi, altrimenti anziché tremare si ride
Orribile noir che il povero Almodóvar prova a migliorare sullo schermo
19-09-2011
di
Pietro Micca
Di solito i film tratti dai romanzi son meno belli dell’originale. Questa volta, invece, speriamo che il film sia meglio del romanzo.
È il caso di Tarantola dello scrittore francese Thierry Jonquet (1954-2009), che apparirà sugli schermi italiani con il titolo di La pelle che abito, per la regia di un regista capace come Pedro Almodóvar.
Un brutto noir tirato per i capelli, una storia ingarbugliata e confusionaria, con manciate di pagine a effetto scontate, prevedibili. Un po’ noir, un po’ splatter, un po’ horror.
Ma, soprattutto, scritto male. Ai limiti del ridicolo.
Si leggono cose del tipo: “riempì di denaro i musicisti dell’orchestra tzigana accalcati attorno al loro tavolo”; “lanciò loro qualche cantuccio di pane”; “ciuffi di ninfee”; “i commissariati dell’esagono”; un’inserviente di fattoria”; “ti spruzzava d’acqua tiepida con un tubo da innaffiamento”; “gli sarebbe stato più facile trovare un altro nascondiglio in attesa che l’astio della polizia si chetasse”; “aprodò (sic) in un villino di periferia”; lui dice a lei: “Forza, vieni, porcheria!”; un poetico: “l’indomani si levò all’aurora”; la descrizione di un’iniezione intramuscolare: “l’ago è affondato con un colpo secco nell’adipe delle tue reni”; e per dire di uno che si fa le lampade per abbronzarsi: “ti sei fatto dei bagni di luce”; al bar ordinare “un quarto di birra”; affermare: “ho ammazzato un poliziotto sbirro”; o definire “sciroccata” a una povera ragazza gravemente malata di mente e rinchiusa in manicomio.
Non ci resta che sperare nelle capacità del regista di Tutto su mia madre e sui due protagonisti: Penélope Cruz e Antonio Banderas.