Stanno uscendo di scena eppure fino all’ultimo minuto recitano la commedia degli uomini forti aggrappati alla corazza del potere. Le vite parallele di Gheddafi e Berlusconi sono cambiate com’era impossibile immaginare appena un anno fa. Nella notte romana dell’agosto 2010 guardavamo la tenda assediata da supplicanti mani. Mani della confindustria, mani di ministri in fila come soldatini, mani adoranti degli onorevoli di governo in estasi attorno ai due sovrani. I quali distribuivano appalti e affari nel giardino dell’ambasciatore di Libia mentre spirava l’ora del Ramadan davanti a tavole imbandite per 800 invitati.
Guardie d’onore, un piede fuori dal tabernacolo beduino dove l’ospite tanto amato e il suo Cavalier servente distribuivano promesse; un piede fuori, compunti ma così contenti da non smettere il sorriso, il ministro Frattini, devoto Bonaiuti, soprattutto Gianni Letta, doppiopetto da gentiluomo di Sua Santità. Impossibile nascondere la contentezza per il trionfo al quale avevano trafficato mesi e mesi, con apprensione per gli umori di un ospite imprevedibile nella sua grandezza. Finalmente il trionfo chiudeva una visita aperta dai catechismi del Corano distribuiti dal sovrano di Tripoli a 500 ragazze beloccie raccolte da un’agenzia (che fa girare le hostess) ingaggiata da chissà quale governo. Non importa l’imbarazzo di quando il rais si lascia a andare: “L’Islam deve diventare la religione dell’intera Europa”.
Rosy Bindi che si arrabbia, La Russa e Gasparri alzano le spalle: “L’ospite è sempre sacro. Ha ragione Berlusconi: i vantaggi sono tanti”. E dopo la galoppata dei cavalli bianchi lanciati dalla fantasia berbera fra le mura della caserma Salvo D’Acquisto, cavalli ai quali i carabinieri fieramente rispondono, spade sguainate nella carica di Pastrengo; dopo l’ultimo bacio all’anello del rais del nostro capo di governo che l’anello al Papa non ha forse mai baciato, l’affettuoso arrivederci. A quando? A prestissimo.
Berlusconi e Gheddafi celebravano l’anniversario dell’amicizia ritrovata. Italia e Libia per sempre unite nel patto del petrolio. E le trombe dei commentatori devoti suonavano a festa: “Il Cavaliere ha ridato autorevolezza alla politica estera italiana”. E Frattini l’africano ricordava che la democrazia tribale della Libia ha molto da insegnare all’intero mondo arabo. “Chi non capisce l’importanza di questa alleanza è prigioniero del passato. Noi guardiamo al futuro”. Nessun futuro, neanche una telefonata. Forse per celebrare l’anniversario, i bombardieri di La Russa ricominciano a bruciare le notti di Tripoli nella speranza – prima o poi – di seppellire l’amico, alleato e fratello ripudiato. Un anno e le fortune della strana coppia sono in liquidazione.
Gheddafi agli sgoccioli anche se gli va riconosciuto il cinismo dell’aver sfiancato le grandi potenze con l’interminabile agonia di sangue. A suo modo non ha cambiato faccia. Bisogna dire che anche la coerenza di Berlusconi resiste alle intemperie. Con sfumature appena diverse. Sia pure divisi da sciagure che non si somigliano (Gheddafi ha perso un figlio), gli incoronati della tenda di Roma nascondono le miserie nella retorica della volontà di un popolo immaginario che è poi l’obbedienza di domestici fedeli alla busta paga. Due paesi senza governi agli ordini di poteri che non ammettono contraddizioni. Impossibile candidare successori al posto del rais dalle valige pronte; impossibile le primarie dei popoli della libertà se il signore supremo vuole restare dov’è.
Gli interessi privati di protagonisti decotti scavalcano il dramma di popoli senza pace e senza lavoro. Orgoglio e pregiudizio: le regole della democrazia restano fastidiose. Più affidabili i mercenari che li tengono a galla, armi e voti pagati in contanti. E Gheddafi minaccia il Berlusconi che gli spara. Missile contro la nostra portaerei, missili sul bunker dove un figlio anima la difesa. Comincia il Ramadan: digiuni fino ai primi giorni di settembre. In quale modo ne festeggeranno la fine i vecchi amici che non smettono di imbellettarsi nella speranza di rianimare l’adorazione di ciò che resta dei popoli fedeli? In settembre scateneremo la potenza del nostro esercito: promessa tripolina. In settembre rilanceremo l’economia italiana restituendole il posto che merita nel mondo. Parole, parole. Gusci vuoti e la tragedia continua.