Della notte dello spoglio elettorale voglio ricordare due eventi in tv: è tornato Bruno Vespa ed è nata una stella, quella del giovane Bossi. Il quale ha pensato bene di definirsi un politico «nato dal basso», cioè dal Bossi. E quanto al soprannome di «trota» datogli dal genitore in uno slancio di sincerità, il ragazzo ha sostenuto che si trattava di una battuta affettuosa e ironica, in reazione alla definizione impegnativa di «delfino». Comunque, dopo questo debutto televisivo non proprio esaltante, temiamo che il giovanotto bocciato tre volte all’esame di maturità, lo rivedremo spesso, seguendo le tappe di una irresistibile ascesa politica (ndr – é in pista per diventare assessore regionale) che costituisce un ripiego certo, rispetto a una carriera intellettuale molto improbabile. Ma, a proposito di intellettuali, non possiamo tralasciare la bocciatura del ministro Brunetta (il più amato dagli italiani, secondo lui) a sindaco di Venezia. Per fortuna anche a lui resta un’alternativa: quella di tornare a cantare coi Ricchi e Poveri!
W la mamma, abbasso le donne
Uno tsunami di luoghi comuni si abbatte sugli spettatori dai dibattiti tv del dopovoto. Anzitutto c’è il tormentone della Lega come «nuovo Pci», quasi che il razzismo fosse una differenza senza importanza e la politica fosse una serie di modalità localistiche e non un’idea del mondo. Allo stesso modo, l’altra sera a Tetris, qualcuno ha buttato lì che Vendola somiglierebbe a Berlusconi perché anche lui ha la mamma (cosa che condivide peraltro con la totalità degli umani). Mentre, finalmente, il senatore Latorre (Pd) ha detto con chiarezza che la Lega è semplicemente la nuova destra. Infatti difendere il territorio, come fanno anche gli animali feroci, non vuol dire difendere il popolo. Anzi, spesso, fingendo di difenderne gli interessi, si porta il popolo alla rovina, come tradizionalmente hanno fatto le destre. E comunque è notevole il fatto che dal famoso «popolo» siano escluse le donne; come rivela la prima mossa di Cota contro la Ru486.
La Polverini ringrazia Ballarò
Bisogna saper perdere, ma anche saper vincere è cosa davvero rara, soprattutto in politica. Per esempio, Cota, nella sua prima reazione in tv, non si può dire che sia stato un signore nei confronti della Bresso. E non è proprio una questione di femminismo, perché ci sarebbe molto da ridire anche sulla Polverini, personaggio creato da Ballarò, che a Ballarò è tornata con troppa spocchia da vincitrice. E, al primo annuncio dei risultati, aveva fatto anche di peggio, sostenendo che nel Lazio «ha vinto la democrazia». Quasi che, se avesse vinto Emma Bonino, avrebbe vinto la dittatura. Ma la più scarsa tra le dichiarazioni del dopo voto in tv è stata quella di Brunetta, che, pur essendo, come non dimentica di ripetere, un professore, ha detto proprio una stronzata. E cioè che, se avesse avuto i voti di Zaia, avrebbe vinto. Che scoperta, professore. Se avesse avuto i voti di Zaia, avrebbe vinto anche mia nonna, che non era candidata e tantomeno ministro.
Lega papista o Chiesa leghista?
Visto che tutta la tv (compreso Annozero) si dedica quasi soltanto al travaglio del Pd, proviamo ad occuparci anche del travaglio della Chiesa, organizzazione che, pur essendo molto più vecchia e radicata del Pd, mostra segni di crisi non minore. E prendiamo due dichiarazioni trasmesse dai tg: anzitutto quella del Papa, che ha difeso la vita dei bambini mai nati, mentre il mondo accusa la Chiesa di non aver difeso la vita e i diritti di moltissimi bambini reali e affidati alle sue cure. La seconda dichiarazione ascoltata in tv è quella del cardinale Tettamanzi che, vestito d’oro proprio come un Papa, dopo aver lavato i piedi a precari e disoccupati, ha chiesto: «Siamo sicuri di avere fatto tutto il possibile per chi è colpito dalla crisi?». La risposta è scontata: no, non abbiamo fatto tutto il possibile e il governo puntellato da Bossi non ha fatto niente. E non sorprende che la Lega, al bisogno, diventi papista, ma che la Chiesa per antifemminismo diventi leghista.
Sono nata a Ghilarza (Oristano), ho studiato lettere moderne all’Università Statale di Milano, in pieno 68. Ho cominciato a lavorare all’Unità alla fine del 73, quando era ancora ‘organo’ del Pci, facendo esperienza in quasi tutti i settori, per approdare al servizio spettacoli negli anni 80, in corrispondenza con lo straordinario sviluppo della tv commerciale, ovvero con l’irresistibile ascesa di Silvio Berlusconi. Ho continuato a lavorare alla redazione milanese dell’Unità scrivendo di televisione e altro fino alla temporanea chiusura del giornale nell’anno 2000. Alla ripresa, sotto la direzione di Furio Colombo, ho cominciato a scrivere quotidianamente la rubrica ‘Fronte del video’, come continuo a fare oggi. E continuerò fino a quando me lo lasceranno fare. Nel 2003 è stato stampato e allegato all’Unità un volumetto che raccoglieva due anni di ‘Fronte del video’.