Zanzotto, il poeta che racconta le malie della carne
12-11-2009
di
Francesco Smeraldi
Andrea Zanzotto, “Conglomerati”, Mondadori
Ho sempre pensato e ritengo di non sbagliare che il più grande poeta del Cinquecento italiano sia Andrea Zanzotto, che poi sia nato 400 anni dopo non è che un dettaglio. E’ forse Goethe, che muore dopo Beethoven, un uomo del Settecento ? Che cosa contraddistingue la poesia di quel secolo, poesia di donne innamorate, respinte e non capite ? E’ il lato elegiaco per cui il tormento è modulato su un suono d’arpa e di cetra. Zanzotto fin dai suoi inizi e nelle ultime poesie, in coerenza assoluta, ha evitato tutte le panie nelle quali sono caduti i suoi contemporanei: da Pasolini a Amelia Rosselli, dal sopravvalutato Caproni a Bertolucci, da Luzi ( il diabolico Luzi ) a Patrizia Cavalli ; il loro sviluppo stilistico non è mai stato un progresso, ma un astuto girare attorno a se stessi. Hanno tentato di essere Proteo, ma un colpo di spada vibrato dall’eterno Lucifero ha impedito loro la suprema metamorfosi. Il dato intellettuale fortissimo di Zanzotto è sempre stato lo scheletro di un’espressione che lo ha rivestito di tutte le dolci malie della carne. C’è stato un tormento dilaniante nella sua opera che non gli ha mai impedito di cantare e in questo suo ultimo libro il canto è forte e conosce tutte le modulazioni. Nulla gli ha impedito di essere creatura emotiva nella natura umbratile, quella natura che ha trovato la sua esaltazione in Giorgione e Cima. Bisogna essergli grati di aver posto a se stesso, anche per noi, tutte le domande e di non averne lasciata nessuna senza risposta.
Francesco Smeraldi, veneziano, pubblica poesie in Italia e a Parigi. Giuseppe Ungaretti le aveva presentate al premio Viareggio. Ha lasciato la poesia per dedicarsi all'attribuzionismo della pittura del Quattocento e del Cinquecento.