Se scrivo “cioccolata” alla maggior parte dei lettori verrà in mente la Svizzera, il Belgio o qualche altro paese Europeo in competizione per la qualità del “proprio” dolce alimento prodotto con i semi dell’albero tropicale del cacao.
Pochi penseranno all’Africa Occidentale dove si concentrano circa due terzi della produzione mondiale di cacao, o al Messico, all’America centrale e meridionale dove il cacao si coltiva da almeno tremila anni, con un uso documentato fin dal 1100 a.c..[i] Di fatto, in Africa non esiste un solo marchio di cioccolata di qualità che valga la pena ricordare.
Il cacao, così come il caffè, lo zucchero e altri ingredienti essenziali dei dessert consumati sulle tavole più agiate di tutto il mondo, è legato piuttosto a secoli di schiavitù e sfruttamento dei paesi più poveri le cui economie sono state organizzate, soprattutto dai poteri coloniali, intorno a monocolture, ovvero centrate sulla produzione di raccolti destinati all’esportazione. Le popolazioni locali sono così divenute dipendenti dal ricavato delle esportazioni per l’importazione del cibo e degli altri generi di prima necessità che non erano più in grado di produrre.
Ora una giovane donna ha deciso di invertire il gioco e promuovere lo sviluppo dell’Africa proprio con la cioccolata.
A Città del Capo, dove recentemente ho partecipato alla IV Conferenza annuale della Rete Globale delle Scuole di Management (GBSN), ho incontrato Nontwehnle Mchunu e ho potuto assaporare il suo “Ezulwini Chocolate”. Ezulwini in lingua Zulu vuol dire “paradiso”, ma il termine è anche legato al nome del Principe Dabulamanzi della casa reale kaMpande, della quale Nontwehnle – “Non” per gli amici – è una discendente.
Aveva appena venti anni quando avviò una piccolissima attività produttiva nella nativa provincia del Kwazulu Natal che avrebbe poi segnato la strada verso il successo della sua “paradisiaca” cioccolata.
Se è in Africa che si raccoglie la maggiore quantità di cacao, perché mai l’Africa non potrebbe essere anche il miglior produttore del dolce prodotto finale? Non decise allora di raccogliere la sfida e creare il primo marchio africano di cioccolata di alta qualità. Ciononostante non mi ha raccontato di non avere in mente solo gli affari, ma anche sviluppo sostenibile e solidarietà. La sua ambizione è di creare un business di successo che possa creare lavoro nelle periferie sudafricane (dove la disoccupazione raggiunge il 40% ) e estendere l’accesso alla formazione professionale a molti altri giovani e guarda anche alla possibilità di usare la sua rete e il suo successo per lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita delle comunità povere del Kwazulu Natal.
Non agisce localmente, ma ha bene in mente le dinamiche globali: intende usare solo cacao e altri ingredienti provenienti da fonti sostenibili africane. Il suo successo è evidentemente basato sulla sua visione, la sua passione, il suo spirito imprenditoriale e la sua perseveranza; d’altra parte Non ha anche avuto l’opportunità – ancora un privilegio per la maggior parte dei giovani africani – di poter accedere agli studi fino a laurearsi nella prestigiosa Raymond Ackermann Academy, la principale Business School in Africa. Ha avuto così anche accesso ad un gran numero di persone utili al suo progetto, e il networking è divenuta un’altra delle chiavi del suo successo, fornendole l’opportunità di viaggiare in Europa e visitare i più avanzati istituti alimentari del Regno Unito e lavorare con i più rinomati cioccolatai svizzeri.
Non è un esempio perfetto del potenziale racchiuso in giovani coraggiosi e determinati a lottare per il miglioramento della qualità della vita delle loro società. Ciononostante, c’è un aspetto che richiede un’ulteriore riflessione: Non ha avuto accesso all’istruzione e persino agli studi superiori. In effetti esiste una forte correlazione tra il successo negli affari e l’accesso agli studi superiori.[ii]
L’educazione per tutti è tra gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, adottati a livello mondiale nel 2000, da raggiungere entro il 2015. Tuttavia, anche se si riuscisse ad offrire l’educazione di base alla maggioranza dei giovani africani, e l’obiettivo nella maggior parte del continente è ben lungi dall’essere raggiunto, la qualità dell’educazione rimane un problema serio, anche solo in termini dilettura, scrittura e far di conto.
L’educazione non formale, che offre altre opportunità in termini dell’apprendimento di competenze sociali e di formazione del carattere dei giovani, potrebbe rappresentare un importante complemento all’istruzione ed aiutare l’emergere di talenti imprenditoriali. Un gran numero di giovani lavoratori in tutta l’Africa sub-sahariana acquisisce nuove competenze attraverso gli apprendistato nell’economia informale; orientando quell’esperienza attraverso guide, sostegni e strumenti appropriati, potrebbe fare la differenza.
In ogni caso, sia considerando l’educazione formale che quella non formale, si renderà necessario un fondamentale cambiamento dell’approccio metodologico. Tradizionalmente, la scuola ha promosso la competizione tra gli studenti, mutuando questo spirito competitivo dalla società e contribuendo alla sua affermazione. Non il successo del gruppo o della comunità, ma il successo di singoli individui è stato elogiato e portato ad esempio, con il risultato che per ogni storia di successo, centinaia di altri giovani donne e uomini, sono scivolati direttamente dalla scuola alla disoccupazione, o verso lavori altamente insicuri e l’esclusione sociale.
Circa cento anni fa, un grande educatore, il fondatore del Movimento Scout, Robert Baden-Powell, scrisse: “La cooperazione è la sola strada verso il successo”.[iii] La cooperazione rappresenta in effetti il fattore di moltiplicazione di cui abbiamo bisogno in educazione, come nella società, se davvero vogliamo affrontare in modo efficace le sfide locali e globali di oggi. La trasformazione sociale è intimamente legata alla capacità delle persone dotate di talento di coinvolgere altri nel loro successo e condividerne i benefici. Nelle parole di un famoso vescovo brasiliano, Helder Camara: “chi riceve di più, riceve per conto di altri; egli non è né più grande, né migliore di un altro: egli ha solo maggiori responsabilità. Egli deve servire di più. Vivere per servire.”[iv] Ecco la chiave dell’imprenditorialità sociale e dei modelli di business che hanno a cuore un mondo migliore. Imprenditori e imprenditori sociali ricercano entrambi nuove opportunità ed entrambi son pronti ad affrontare rischi d’impresa, ma la differenza risiede nella ricerca di cambiamenti sistemici delle strutture organizzative e sociali che caratterizza i secondi. Una delle difficoltà che ci si trova spesso ad affrontare nello sviluppo dei talenti imprenditoriali è quella di conservarne il valore all’interno delle comunità una volta che competenze e successo sono stati raggiunti. In tal senso, le imprese sociali, che sono basate sulla cooperazione e la comunità rappresentano un importante strumento di promozione di lavori decenti per i giovani e possono fornire un’opportunità per apprendere a divenire imprenditori accumulando collettivamente le risorse finanziarie, sociali e umane necessarie a creare occupazione. Gli imprenditori sociali creano attività economiche che contribuiscono al cambiamento, non solo per sé stessi, ma per l’intera comunità.[v]
Se Non conserverà l’impegno sociale del suo ambizioso progetto, il miglior risultato della Cioccolata Ezulwini sarà il paradiso di decenti condizioni di vita per le comunità più povere del Kwazulu Natal che sperimenteranno la dolcezza della sua solidarietà.
[i] Wikipedia, “Chocolate”
[ii] The Evian Group, Mhtente, The challenges of youth in the 21
st Century. Africa – creating opportunities through entrepreunership and education, Garnet IV capacity building workshop, University of Cape Town Graduate School of Business, 26-28 November 2008
[iii] Baden-Powell, R.S., Head Quarters Gazette, May 1910, citato in: Sica, M. (Compiler and Editor) “Footsteps of the Founder”, Fiordaliso, 2006
[iv] Camara, H., Le désert est fertile, Desclée de Brouwer, Paris, 1971
[v] The Evian Group, Mhtente,
op. cit.
Eduardo Missoni (1954) è professore di "strategie globali per la salute" presso l'Università Bocconi di Milano. Il suo insegnamento si estende a temi di management e etica delle Istituzioni e delle Organizzazioni non profit Internazionali, con docenze anche presso le Università Bicocca di Milano e l'Università di Ginevra. Iniziata la carriera come medico volontario in Nicaragua, è stato poi con l'UNICEF in Messico, in seguito a Roma con la Cooperazione Italiana quale responsabile delle iniziative socio-sanitarie in America Latina e Africa. Dal 2004 al 2007 è stato il Segretario Generale dell'Organizzazione Mondiale del Movimento Scout (OMMS), la maggiore organizzazione giovanile mondiale.
Biografia completa