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Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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La crisi economica raddoppia la droga: coca ed eroina per dimenticare

21-10-2009

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Raddoppiano le morti per overdose, raddoppia l’hashish a Milano. Stati Uniti ed Europa, coscienze della democrazia, guidano il consumo del mondo

Dalle statistiche dell’ultimo decennio risulta che nei paesi tradizionalmente più ricchi, l’Europa occidentale e gli Stati Uniti, la domanda di stupefacenti è andata stabilizzandosi. E la cosa dovrebbe essere già preoccupante se si considera che gli USA e il vecchio continente costituiscono rispettivamente, su scala planetaria, il primo e il secondo mercato delle droghe. Tale stabilità, pur a livelli altissimi, proprio in questi frangenti potrebbe essere posta comunque in discussione. La crisi economica in atto rischia di elevare infatti i consumi di narcotici, come quelli di alcolici, tanto più nelle aree sociali più colpite dal disagio, dallo stress, dal deficit di futuro. È presto beninteso per poter disporre di dati esaustivi. Gli effetti della crisi si propagheranno di certo ancora negli anni dieci. Malgrado i processi siano necessariamente mimetici, non mancano tuttavia indizi sul terreno, a partire proprio dall’Italia. Da dati della PS di Abruzzo risulta che in questa regione i morti di overdose di droghe nel 2008, anno di esordio della crisi, è raddoppiato rispetto all’anno precedente. Una ricerca condotta in Italia da Alessandro Capucci, direttore della Clinica di cardiologia dell’Ospedale Le Torrette di Ancona, rivela altresì che i tracciati sospetti di elettrocardiogramma, l’Ecg, in grado di segnalare l’uso di sostanze stupefacenti, dall’hashish alla cocaina, negli ultimi due anni sono aumentati del 50%, con un forte rialzo proprio nel 2008, parallelamente al crollo delle borse. Indicazioni aggiuntive emergono infine dai sequestri di narcotici. Un caso rappresentativo potrebbe essere quello di Milano, dove, come attestano la questura e il comando regionale dei Carabinieri i sequestri di hashish nel 2008 sono raddoppiati rispetto all’anno precedente, mentre quelli di cocaina sono addirittura decuplicati. Segnali analoghi si avvertono poi in altri paesi.
In Francia, il ministro dell’Interno Brice Hortefeux ha reso noto che dal settembre 2008 all’agosto 2009 il giro d’affari presumibile del narcotraffico ha raggiunto la cifra record di circa 2 miliardi di euro, in gran parte determinato dal consumo di hashish. L’Ocrtis, l’Ufficio centrale per la repressione del traffico illegale degli stupefacenti, dà conto altresì che i sequestri di tale droga nei primi otto mesi del 2009 hanno superato di gran lunga quelli, già in crescita, dell’anno precedente. Ancora dai sequestri effettuati in numerose località francesi, maggiormente nella Costa d’Oro, nella Loira, nella Mosella e in Normandia, si ricava infine che sta riprendendo quota l’eroina, dopo un declino di decenni che appariva irreversibile. Nel Regno Unito lo stesso Governo prende atto di una emergenza che per numeri e caratteri evoca gli anni trenta americani. Da uno studio congiunto del ministero dell’Interno e del Cabinet Office è risultato in particolare che in tutto il paese la crisi economica sta portando a una esplosione di traffici clandestini retti da gruppi britannici e internazionali, con un giro d’affari record di 30 miliardi di sterline, di cui 17,5 legati al mercato delle droghe. E una situazione ancora più mossa si registra in Spagna. Da operazioni di polizia nella capitale e in altre città è emerso che i narcotrafficanti stanno innovando il mercato attraverso pratiche inedite, come quella della vendita a domicilio. Si può evincere quindi un allargamento di consumi, mentre analisi effettuate dall’Istituto di diagnostica ambientale nei primi mesi del 2009 certificano che l’aria stessa di Madrid e Barcellona comincia a recare tracce di cocaina, anfetamine, oppiacei, cannabis e acido lisergico. Il riscontro più indicativo rimane comunque quello dei sequestri di droga, che hanno conosciuto addirittura un record continentale, con le 9 tonnellate di cocaina colombiana recuperate in pieno Atlantico nel febbraio 2009 dai reparti speciali del “Greco”.
Tanto lascia ritenere, in definitiva, che proprio in questi anni di crisi, nell’Europa occidentale, capolinea appunto con gli USA del mercato mondiale di droghe, si stiano giocando partite importanti, tali da poter condizionare o perfino ridefinire gli assetti dell’intero traffico nei prossimi decenni. Come stanno procedendo allora le cose, in senso organizzativo e strategico? Tradizionalmente, il vecchio continente ha recato importanti porte d’accesso a est, legate all’eroina e agli oppiacei in genere, oltre che alla cannabis e alle metamfetamine. Lo sfondo è quello di due rotte fondamentali, la balcanica e quella detta della Mezzaluna d’Oro che, tanto più negli ultimi due decenni, dopo il crollo dei regimi di ispirazione socialista, hanno fatto la fortuna dei narcotrafficanti russi, ucraini, turchi, serbi, montenegrini. Un riscontro sul terreno, che richiama ancora i sussulti della geopolitica, è costituito altresì dal peso che, pure per l’esposizione del canale d’Otranto sui Balcani, hanno potuto assumere, non soltanto in Italia, le organizzazioni campane, pugliesi e calabresi. Reca poi una tradizione la rotta atlantica della cocaina, che dal Sudamerica si versa in Europa attraverso i porti di Lisbona, Malaga, Marsiglia, Genova e Sicilia, oltre che dagli scali aeroportuali delle maggiori città del continente. Godono infine di una consuetudine le porte di accesso mediterranee, lungo una linea che dalla Spagna si estendono fino alla Grecia. Se a lungo la rotta più a sud ha recato tuttavia una gittata discreta, legata soprattutto alla cannabis del Marocco, che richiama un mercato composito, mosso da un pulviscolo di organizzatori, spesso nelle logiche del fai da te, nell’ultimo decennio le cose sono mutate in profondo. Il continente africano, largamente conquistato dai narcos sudamericani, è divenuto infatti uno snodo essenziale per rifornire il mercato europeo di cocaina al minimo di rischi, mentre i signori dell’oppio orientale hanno sperimentato con buoni esiti percorsi speculari, che dal Corno d’Africa risalgono verso il Mediterraneo.
Dalle correzioni del narcotraffico hanno continuato a beneficiare peraltro le organizzazioni italiane, soprattutto campane e calabresi. Se l’implosione sovietica e il consolidamento delle vie dell’est hanno infatti permesso alle mafie del sud peninsulare di fare il salto di qualità, le nuove rotte mediterranee da sud e gli sviluppi di quella atlantica hanno permesso loro, dalla posizione di ago della bilancia, di assumere, quasi per intero, la guida del business continentale. Ereditando per certi versi il piglio che era stato dei siciliani negli anni sessanta e settanta, i gruppi del Mezzogiorno sono del resto riusciti a mettere a frutto pure le virtualità logistiche di altri paesi. E la Spagna ha costituito in tal senso un momento di sintesi, che rispetto al passato ha fatto delle differenze, malgrado le misure antiterroristiche varate dai governi di Madrid dopo gli attentati del marzo 2004. Esposte tanto sull’Atlantico quanto sul Nord Africa, e agganciata al Marocco attraverso l’enclave di Ceuta, che sempre più evoca la Tangeri del secondo dopoguerra, dalle coste iberiche sono transitate infatti, alla volta dell’Europa, non di rado con le imbarcazioni dei migranti, quantitativi sempre crescenti di narcotici, dalla cocaina sudamericana alla marijuana del Rif. La Spagna si è resa quindi, sul terreno europeo, un importante terreno di contatto fra i narcos sudamericani, che vi possiedono basi e agganci logistici, e le organizzazioni italiane, che hanno potuto servirsene fra l’altro per garantire ai capi più esposti lussuose latitanze.
Dalla prospettiva del mercato nazionale, si tratta di un business considerevole. Il paese iberico ha registrato nell’ultimo decennio il maggiore consumo di hashish in Europa e risulta ai primissimi posti, con l’Italia, riguardo ai consumi di cocaina. La macchina ha potuto lavorare in sostanza senza soste, con guadagni da capogiro. Già nel 2004 il segretario di stato Antonio Camacho rivelava che i narcotici erano in grado di muovere annualmente oltre 7 miliardi di euro. Pur mancando stime ufficiali al riguardo, si ha comunque ragione di ritenere che negli anni successivi tale soglia sia stata mantenuta e forse superata. Gli italiani e i narcos hanno potuto profittare del resto dei deficit organizzativi della mala locale, che senza seri inconvenienti sono riusciti a portare dalla loro parte. Hanno potuto beneficiare altresì di un certo humus sociale e politico, che va generando da tempo episodi di corruzione. Basti dire di alcuni casi rappresentativi. Nel 2006 una dozzina di consiglieri comunali di Marbella sono stati arrestati per aver intrigato con potenti cordate di speculatori, etichettati dai giornali spagnoli come mafia andalusa. Nel maggio 2008 trenta poliziotti di Coslada, circa il 20 per cento dell’organico, sono finiti in carcere con l’accusa di aver organizzato un racket estorsivo. Nel 2009 il magistrato Baltazar Garzon ha denunciato un colossale giro di tangenti che rischia di travolgere le dirigenze del Partito Popolare.
La Spagna non è beninteso la chiave di tutto. Qualificandosi tuttavia come una sorta di terreno franco, un punto di cucitura del business fra tre continenti, di certo costituisce la chiave di tante cose, in ogni caso un passaggio essenziale nel predominio che i campani e i calabresi hanno acquisito in Europa. E su tale passaggio è il caso di soffermarsi. La strage di Duisburg in Germania, avvenuta il 15 agosto 2007 in una pizzeria gestita da calabresi, “Da Bruno”, ha rivelato il livello di penetrazione, per nulla indifferente, che i clan di San Luca e di altre aree, hanno raggiunto in un paese che veniva considerato immune da influenze di mafia. Da quel momento la percezione del fenomeno, tedesca e non solo, è dovuta quindi mutare. Adesso la giornalista Petra Reski può dare conto di un sentire comune quando afferma, in Santa Mafia, che le cosche dell’estremo sud, con i loro traffici, con la forza del contante, del cash, sono capaci di ingoiare la nazione tedesca. In virtù di tale mutato atteggiamento è potuto sorgere del resto il movimento Mafia nein danke, cui hanno aderito centinaia di attività economiche. Non si tratta evidentemente solo di bubboni legati all’immigrazione italiana, di faide fra gruppi concorrenti, definibili in una chiave limitatamente etnica. Si tratta bensì una situazione più complessa.
La Germania, che nei decenni del dopoguerra era stata priva di serie emergenze criminali, è venuta a occupare un ruolo centrale nell’Europa dell’Unione, della moneta unica, dei finanziamenti a pioggia da nord a sud, e tanto più in quella del grande riciclaggio. Circondata da stati che hanno fissato regole assai duttili sulla circolazione di capitali, dall’Austria alla Svizzera, dal Belgio al Lussemburgo, pure dalla prospettiva delle economie illegali occupa in realtà una posizione strategica per poter interloquire con le grandi banche, le sedi dell’UE, le maggiori borse continentali. D’altronde, come i paesi anzidetti, manca di leggi assimilabili a quella, italiana, che prende il nome da Pio La Torre. Lo stato tedesco non consente di operare confische sulla base di indizi e sospetti, né considera reato l’associazione mafiosa, mentre giudica di poco conto l’associazione a delinquere. Si può dire allora che se per i narcotrafficanti italiani la Spagna ha costituito una postazione chiave sul piano della logistica, la Germania è andata configurandosi come una porta spalancata sui “paradisi” d’Europa, oltre che un “paradiso” essa stessa, per la custodia e l’impiego di ingenti patrimoni. È emerso in anni recenti che interi brani di città, a Duisburg come a Berlino, a Dresda come a Francoforte, sono stati acquisiti da società ombra, impenetrabili, intangibili, dietro cui si staglia l’ombra del narcotraffico. Esistono evidentemente motivi di convergenza, prese di contatto con i poteri territoriali, sostegni ai maggiori livelli. Ed è in tale quadro, dominato dal denaro, che le etnie, pur rimanendo fedeli a se stesse, sono in grado di sciogliersi in un sistema.

Carlo RutaCarlo Ruta si occupa di ricerca storiografica e di informazione. Dalla metà degli anni ottanta fino alla metà degli anni novanta è stato direttore di una rivista bibliografica e scriveva sul settimanale “Avvenimenti”. Attualmente scrive su "Il Manifesto", "Narcomafie", "Left Avvenimenti- L’Isola possibile", "Libera Informazione". Ha curato il sito web accadeinsicilia.net e il blog leinchieste.com. Con la casa editrice Rubbettino ha pubblicato "Gulag Sicilia" (1993), "Appunti di fine regime" (1994) e "Il binomio Giuliano-Scelba. Un mistero della Repubblica?" (1995). Con la casa editrice La Zisa ha pubblicato "Cono d’ombra" (1997) e "Politica e mafia negli Iblei" (1999). Con Mimesis ha pubblicato "Guerre solo ingiuste. La legittimazione delle guerre e l’America dal Vietnam all’Afghanistan" (2010). È socio onorario di Libera e di altre realtà associative.
 

Commenti

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