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L'omicidio di uno dei capi di Hamas, assassinato a Dubai il 20 gennaio, ha fatto pensare al ritorno delle squadre di "vendicatori" del Mossad. Mentre Israele nega, l'analisi dei fatti fa emergere una serie di stranezze nel modus operandi di trenta presunti agenti, immortalati dalle telecamere a circuito chiuso. E intanto lo sguardo degli investigatori si sposta anche sui palestinesi

Dubai, Hamas e il Mossad: otto stranezze per un omicidio

25-03-2010

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Il 20 gennaio 2010 uno dei capi di Hamas, Mahmoud Abdel Rauf al Mabhou, viene trovato morto in una stanza d’albergo a Dubai. La polizia locale pochi giorni dopo, grazie alle telecamere dell’aeroporto internazionale e dell’albergo, identifica undici tra uomini e donne con passaporti europei. Si tratterebbe di uomini del Mossad che, arrivati nell’Emirato avrebbero organizzato l’omicidio per vendicare la morte di due soldati israeliani rapiti e uccisi ventuno anni prima. Scoppia un caso internazionale. I passaporti usati dal commando israeliano appartengono a persone residenti in Israele con doppia cittadinanza che risultano del tutto ignari e che soprattutto non si sono mai mossi dalle loro case. I governi europei e australiano protestano formalmente con Israele. Il 7 febbraio la televisione Al-Jazeera manda in onda un filmato nel quale Mabhou in persona si vanta di aver ucciso i due militari israeliani.

Il primo, il sergente Avi Sasportas, era stato rapito il 16 febbraio 1989. Nel video Mabhou spiega: “Prima di seppellirlo gli strappai i vestiti, presi i suoi documenti e il suo portafogli e la sua pistola d’ordinanza”. Il secondo soldato israeliano era il caporale Ilan Saadon, rapito e ucciso il 3 maggio dello stesso anno. Mabhou ricorda: “Estrassi il mio revolver e glielo puntai alla testa per ucciderlo, ma il mio compagno Abu Suhaib fu più rapido di me e lo uccise con la sua stessa pistola”. Mabhou sapeva che aver partecipato all’uccisione di due israeliani significava essere un “morto che cammina” e che prima o poi il Mossad o un missile israeliano avrebbero chiesto il conto. Per questo chiudendo il filmato le sue ultime parole sono chiare: “Sto sempre in allerta ma soltanto Dio decide la durata della nostra vita. Ho scelto una via del cui costo sono cosciente e sarò onorato di morire da martire”.

Insomma alla fine è tutto chiaro come in un racconto di genere: Mabhou era un assassino di israeliani e il Mossad – che non dimentica e non ha mai fretta – ha saldato il conto dopo più di vent’anni. A parte lo spiacevole uso di passaporti esteri, tutto rientra nel copione abituale cui ci hanno abituato film come Monaco o Camminando sull’acqua. Qualcuno ha notato che l’operazione è stata condotta in modo un po’ troppo plateale ma d’altronde, si è detto, anche il Mossad in passato qualche errore lo ha fatto. Insomma una storia archiviabile, una delle tante e certamente non l’ultima. In questioni del genere, tra agenti segreti e organizzazioni terroristiche cercare fatti certi sarebbe ingenuo, ma quando alla mancanza di certezze si aggiungono stranezze si può anche riflettere prima di archiviare.

Prima stranezza. In quel lontano 1989 il caporale Ilan Saadon fu catturato il 3 maggio e il corpo del sergente Saportas venne ritrovato quattro giorni più tardi. Mabhou venne arrestato l’11 maggio, sospettato proprio di quelle due uccisioni. Non si sa bene per quale motivo – si può presumere che i sospetti non avessero trovato riscontro -, ma poco tempo dopo Mabhou è di nuovo in circolazione. Nonostante fosse stato già arrestato nel 1986 e avesse passato un anno nel carcere di As-Saraya, nonostante i sospetti, Mabhou se ne può tornare a casa sua. Soltanto nel 1990 un giudice israeliano ordina di distruggere la sua casa. Così Mabhou decide di scappare in Egitto. Secondo Hamas la caccia del Mossad sarebbe cominciata da allora. Un primo attentato sarebbe fallito nel 1991, un secondo tentativo sarebbe andato a vuoto a Damasco nel 2004 e un terzo – con esiti ugualmente fallimentari – sarebbe stato tentato nel febbraio 2008. Insomma il Mossad avrebbe permesso il rilascio di Mabhou nel 1989 forse per “mancanza di indizi” per poi ricredersi e sbagliare tre tentativi di eliminarlo. Possibile, certo, ma strano.

Seconda stranezza. Mabhou sa benissimo di essere un bersaglio, ma si sposta come fosse un turista, visibile e tracciabile come una mosca nel latte. Si accomoda in business class nel volo che lo porta da Damasco a Dubai, non nella più riservata economy. Sta andando in Cina e fa una sosta a Dubai. Uno dei dirigenti di Hamas, insomma, si concede un po’ di relax nella capitale degli Emirati per fare shopping. Possibile, ma strano.

Terza stranezza. Probabilmente a Dubai non mancano amici che possano ospitarlo e proteggerlo in luoghi sicuri, ma Mabhou – che sa perfettamente di essere un bersaglio del Mossad – soggiorna in un albergo, in una suite dell’hotel Al Bustan. Per capire di che hotel si tratta basta dare uno sguardo ai commenti dei visitatori su booking.com. Un cinque stelle vicinissimo all’aeroporto dove qualcuno lamenta la mancanza di esperienza degli addetti al ricevimento; due giorni prima dell’eliminazione di Mabhou un ospite proveniente dal Qatar aveva sottolineato che la stanza era troppo fredda. Insomma nulla di strano. Un hotel medio per gli standard di Dubai, discretamente confortevole. Pieno soprattutto di occidentali, a poco più di 150 dollari a notte. Abbiamo detto che Mabhou ha in tasca un biglietto per Pechino. Prende il volo EK912 da Damasco per Dubai dove atterra verso le tre del pomeriggio. Da Dubai ci sono quattro voli al giorno per Pechino: uno all’1.27 del mattino, uno alle 3.26, uno alle 11.41 e l’ultimo alle 18.34. Evidentemente Mabhou ha intenzione di prendere un volo il giorno successivo. Nonostante qualcuno abbia scritto che la sosta a Dubai non era necessaria è evidente che Mabhou, non essendoci voli diretti tra Damasco e la Cina, è costretto a raggiungere l’aeroporto internazionale di Dubai. Mabhou atterra dunque alle 15 circa. Alle 15.25 arriva nella hall dell’hotel Al Bustan. Chiede una stanza senza balcone, gli viene data la chiave della stanza 230. Si ferma un’ora nella stanza e esce nuovamente alle 16.23 e vi rientra alle 20.24 salendo di nuovo in camera. Alle 13.30 del giorno dopo viene ritrovato il suo cadavere disteso sul letto. Non si sa cosa abbia fatto nelle quattro ore in cui è a passeggio per Dubai. Un fatto è certo: un uomo che sa di essere nel mirino del Mossad raggiunge Dubai senza guardie del corpo e per quattro ore gira per il centro di Dubai senza alcuna evidente precauzione. Possibile certo, ma strano per uno dei capi di Hamas.

Quarta stranezza. Pur disponendo di cinque passaporti falsi, secondo le autorità di polizia di Dubai, Mabhou viaggiò usando il suo nome. Solitamente si spostava con delle guardie del corpo ma quel giorno partì da Damasco da solo. Il portavoce di Hamas – Talal Nasser – in una conferenza stampa ha spiegato che le due guardie del corpo non avevano trovato i biglietti per lo stesso volo preso da Mabhou e che avevano deciso di prendere un volo il giorno dopo. Come mai il giorno dopo? Da Damasco dopo il volo preso da Mabhou partono per Dubai altri due aerei: l’EK914 delle 16.50 e il FZ230 delle 21.00. Le guardie del corpo non potevano prendere uno dei due voli in giornata per non lasciare indifeso Mabhou una notte intera? Anche i due aerei successivi erano pieni? E che senso aveva inviare le guardie del corpo l’indomani quando ormai Mabhou aveva il primo volo utile per Pechino alle 3.26?

Quinta stranezza. Mettiamoci nei panni del Mossad per un attimo e domandiamoci: l’albergo Al Bustan a Dubai è un buon posto per uccidere qualcuno? Magari in un film di spionaggio sì, ma nella realtà le cose sono un po’ diverse. Dubai non è Amman o Beirut. Superare i limiti di velocità in auto in città significa automaticamente essere fotografati dalle telecamere e vedersi recapitata una multa. L’aeroporto di Dubai è pieno di telecamere, gli hotel sono pieni di telecamere. Dubai è una delle città al mondo con il più alto numero di telecamere di sorveglianza. Proprio a Dubai nel luglio 2008 fu uccisa la cantante libanese Suzanne Tamin nel suo appartamento. La polizia locale riuscì a identificare Muhsin al-Sukkari, l’assassino, utilizzando le registrazioni delle videocamere di sicurezza. Nonostante ciò il Mossad decide di esporre i suoi agenti proprio a Dubai e proprio nell’area meglio videosorvegliata della città. Possibile, certo, ma abbastanza strano per uno dei servizi segreti migliori al mondo.

Sesta stranezza. Per portare a termine l’intera operazione secondo la polizia di Dubai il Mossad avrebbe utilizzato circa trenta agenti. Trenta persone specializzate per un solo obiettivo. Tutti e trenta gli agenti sarebbero riusciti a lasciare Dubai la sera stessa. Due di questi agenti avrebbero preso un volo per Teheran. Appare strano che il Mossad rischi la vita di trenta agenti e pianifichi la via di fuga di due addirittura verso la capitale del loro peggior nemico. Possibile, certo, ma strano.

Settima stranezza. Il Mossad, tra le tante possibilità di utilizzare passaporti falsificati che certamente ha, sceglie di usare passaporti di israeliani con doppia cittadinanza tracciabili anche da un cronista. Uno dei servizi segreti migliori al mondo vuole far ricondurre direttamente a sé stesso la paternità dell’operazione mettendo in imbarazzo internazionale il proprio Paese? Possibile, ma improbabile.

Ottava stranezza. Mabhou è stato ucciso in modo degno della corte bizantina: soffocato con un cuscino dopo, pare, essere stato drogato. Secondo la polizia di Dubai per far credere a una morte naturale. Drogare qualcuno e poi soffocarlo con un cuscino è una modalità sensibilmente meno rapida rispetto a tre colpi di pistola dotata di silenziatore. Possibile che il Mossad abbia deciso di darsi a una tecnica nuova? Innovare è una virtù anche nel campo dello spionaggio?

A oggi sembra che due palestinesi siano stati arrestati dietro richiesta della polizia di Dubai. Non è chiaro se siano membri di Hamas o di Al-Fatah e le due organizzazioni palestinesi in lotta tra di loro si accusano reciprocamente di collusione con gli odiati israeliani. Il Mossad ha negato qualsiasi coinvolgimento nella operazione.

Rimangono di tutta questa storia solo immagini di presunte spie che girano per un albergo, alcune con mazze da tennis e cappellini, altre mano nella mano. Che le spie internazionali non siano quel che sembrano essere era noto. Che quel che riguarda le spie non sia mai quel che appare è altrettanto certo.

Giovanni De MartisGiovanni De Martis è nato quasi cinquanta anni fa a Roma. Vive in qualche parte del Veneto. Ha collaborato con Marco Paolini come consulente storico, scrive sceneggiature teatrali, si occupa di ricerca storica, negli anni ha scritto libri e articoli cercando di guardare dietro il velo delle apparenze. Un vizio che sembra non voler perdere.
 

Commenti

  1. Giovanni Polgar

    Aggiungerei semplicemente che – vista la rabbiosa e molto poco “british” reazione del governo di Londra – lo stesso governo ci potrebbe dire se i suoi 007 vanno in giro sbandierando i loro veri documenti e dichiarando la loro vera attività!
    Mi sembra tutto un gran pasticcio strumentalizzato a bassi fini di politica internazionale.

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