La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

Libri e arte » Teatro »

Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

Inchieste » Quali riforme? »

Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Mondi » America del Sud »

Sarà la prima donna a governare il grande paese, 200 milioni di abitanti e risorse che lo proiettano fra le potenze del mondo. Ma le diversità restano profonde: chi soffre la fame mentre volano le banche e le industrie

Il Brasile cambia presidente: addio al mito di Lula, arriva Dilma che non sorride mai

27-09-2010

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Il Brasile vota il 3 ottobre per il presidente. I sondaggi anticipano il risultato: Dilma Rousseff prende il posto di Lula. Per Josè Serra, socialdemocratico, governatore di San Paolo, si annuncia una sconfitta imbarazzante malgrado l’appoggio di Cardoso, quel capo dello stato che ha razionalizzato l’economia liberandosi della sinistra nella quale era cresciuto e per la quale aveva sofferto l’esilio negli anni del governo militare. Anche Serra era scappato (nel Cile del democristiano Frei padre) alla ricerca della libertà e quando la libertà è tornata, gli anni trascorsi all’ombra di Cardoso non hanno sciolto il suo rapporto di figlio di buona famiglia con 100 milioni di «altri brasiliani» che tirano la cinghia: di buona famiglia non sono.Travolto da Lula si era preso la rivincita nella sua San Paolo approfittando del melodramma politico- privato di un intrigo d’amore fra una signora e un signore che guidavano Partito dei Lavoratori. Ma il suo grigiore ha annacquato l’appoggio dei moderati; il ciondolare alla ricerca di consenso non è piaciuto ai giganti dell’economia che hanno voltato faccia scegliendo la concretezza di Dilma Rousseff.

Dopo Indira Ghandi, sarà la prima donna a governare un paese che brilla come l’ India e come la Cina, protagonista di un’economia felice mentre le nostre borse sospirano. Anche la Rousseff è di buona famiglia, padre arrivato in Brasile dalla Bulgaria nel 1930, costruttore a Minas Gerais, aveva consolidato il sogno americano nella piacevolezza di una bella casa, domestiche e maggiordomo, figli al pianoforte, club per miliardari e università di buon nome. Quando gli anni ’60 annunciano le inquietudini del movimento studentesco, nel suo collegio Dilma si mescola a un movimento di ragazzi che non sopportano le «vecchie facce», gruppo Politica Operaria, proiezione del partito socialista. Succede in ogni università delle americhe e d’ Europa: due vocazioni separano nuove generazioni. Riscrivere la costituzione o rovesciare il potere con la lotta armata. Lei sceglie la lotta: diventa una delle anime del Comando de Libertaçao Nazionale. Adora il Regis Debray di «Rivoluzione nella rivoluzione», proprio quel Debray che farà sapere ai ranger boliviani della presenza di Guevara sulla montagna dove verrà ucciso. Dilma va all’Avana ad incontrarlo; abbraccia il Che, lunghe chiacchiere con Fidel anche se confessa di aver solo ascoltato: parlava sempre lui. Dopo la laurea in economia, lavora all’università. L’«Estado de Sao Paulo», quotidiano della conservazione autoritaria, scrive che «una ragazza aggregata ai 97 sovversivi braccati dalla polizia militare, riceve lo stipendio da un ente pubblico». Nome e cognome, comincia la vita clandestina. La prendono per una soffiata: tre anni di prigione e di torture eppure non si ricrede malgrado le suppliche del padre e degli amici agiati. La «dama di ferro» (nome di allora che resiste) aspetta il declino dei militari per deporre le armi anche se non ha mai sparato un colpo. Fa politica alla luce del sole: partito democratico laburista, alla fine si avvicina al Pt di Lula. Chi non la voleva candidata presidente adesso le rimprovera il passato «variegato» e il peccato di non essere tra i fondatori del partito. Ma il rapporto con Lula è speciale. La cultura di Dilma ne ha disegnato la politica economica e ha nutrito le proposte elettorali nella campagna vittoriosa, otto anni fa. Lula se l’è tenuta al fianco come un’ombra: ministro della Casa Civil (super dicastero dell’interno) e sottosegretario alla presidenza. Lo accompagna quando incontra chi fa girare Wall Street ed è determinante nelle scelte che trasformano il Brasile uno dei giganti del futuro. Almeno Dilma lo spera. A 62 anni, due mariti nel passato, Paula, figlia che le ha dato una nipote nata in campagna elettorale, proprio sette mesi fa quando la campagna comincia, si affaccia in Tv col sorriso che rallegra il suo faccione imbronciato, ma la notizia sembra un disastro: ha un cancro, linfoma che sta curando «sicura di guarire». Si mormora dell’esultanza segreta di Serra e delle voci che corrono tra chi deve votare: come affidare il Brasile a una donna e che per di più sta male? Al suo fianco appare Lula, ruoli invertiti sugli ultimi schermi del braccio di ferro per il voto. Lei al centro, lui la spalla, ed il successo torna travolgente. «Essere eletta la prima volta al primo turno vuol dire che è più brava di me: siete d’accordo?» Nooo, risponde il delirio delle voci. Bravi tutti e due. Dilma sta imparando a fare da sola anche se è probabile venga eletta al secondo turno. Un’altra corruzione sta sfiorando il governo e per sedersi nella poltrona di Lula forse dovrà aspettare la fine di ottobre. Gradimento sceso al 49 per cento, il 50 più uno è li a pochi voti. Chissà. Serra semprepiù doppiato. Raggiunge a fatica il 23.

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