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Giusy FRISINA – Non basta Napolitano, “re galantuomo”, a salvare l’Italia (in rovina) del dopo Berlusconi

05-12-2011

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C’era una volta… un re, che si chiamava Giorgio Napolitano, e che fece di tutto per salvare l’Italia proprio sul finire del 150° anniversario della sua Unificazione.” Si potrebbe leggere un giorno una storia così, nei libri di scuola per bambini?

In verità il termine “re Giorgio” è stato in questi giorni proposto nientemeno che dal “New York Times”, in un’America in cui gli ex comunisti non fanno certo più paura della crisi economica (come a un incorreggibile ex premier in Italia), e dove si è giustamente saputo apprezzare la grande capacità di timoniere del nostro Presidente in un momento tanto delicato per il nostro Paese. Ed è intelligente e spiritoso, non certo sarcastico, questo appellativo, nei confronti di un uomo che più di tutti ha saputo difendere il valore dell’idea di Repubblica mazziniana, nei recenti suoi discorsi celebrativi. In ogni modo, al di là delle discussioni su monarchia e repubblica, ormai fortunatamente superati, non si può certo negare che in un’Italia nell’occhio del ciclone per le ben note vicende del precedente governo, ed oggi a grave rischio recessione, ci sia voluto veramente tanto carisma e coraggio, oltre che grande onestà intellettuale, come solo un vero re della Politica poteva rivelare. E tuttavia, affidando re Giorgio, saggiamente, per un po’ di tempo il governo ai tecnocrati, ha dovuto mettere tra parentesi la democrazia politica – come si è detto – ma forse solo in apparenza, o solo in parte. È infatti proprio la politica, nel suo senso più autentico ovvero nel senso del “politico morale”, direbbe Kant. Una politica che sappia far capo alla ricerca dell’equilibrio e dell’equità, parole non a caso derivanti dal termine latino “aequus”, che significa “uguale”, anche nel senso di coerenza. Nell’agire di re Giorgio si è potuto osservare una politica dell’ “ equilibrio” democratico, come il saper intervenire al momento giusto per smorzare i toni, per tutta la difficile durata del governo Berlusconi (comunque da rispettare perché “votato dagli italiani”, dimenticando l’orribile legge elettorale), o l’assumere ruoli istituzionali decisi tutte le volte che si rischiava di contraddire in modo evidente la Costituzione. E poi la crisi di governo gestita in modo esemplare, dove il senso di responsabilità di fronte alla catastrofe, sembra essere stato davvero immediatamente trasmesso a tutti o quasi… Ma se la sua parola chiave è stata “equità” (nel rigore) il cui significato sta nell’uguaglianza che tiene conto della differenza, il risultato non si è visto, tanto che il ministro Monti sembra essersi sentito almeno in dovere di rinunciare allo stipendio e il ministro del Lavoro si è messa a piangere mentre pronunciava la parola “sacrifici”. Davvero preoccupante, senza dover scendere nei particolari tecnici della manovra, che tutto sembra tranne che equa.

Cosa farà adesso re Giorgio? O non è forse il caso di accorgerci che forse siamo davvero così lontani e scollegati dall’idea di democrazia, il cui massimo segnale è oggi soltanto l’appello al voto, tanto più populistico, quanto inefficace, per come viene usato? Ci siamo talmente impigriti politicamente, da aver ricominciato a pensare che il destino dell’Italia – e dell’Italia in Europa, non dimentichiamolo – possa essere affidato nelle sue mani, o del suo primo ministro, come in quelle di una monarchia tradizionale? Non abbiamo ancora rinunziato del tutto all’idea di un potere forte a cui affidarci, nonostante il rovinoso ventennio, dove proprio solo il re avrebbe potuto salvare l’Italia? Ma solo una guerra e una resistenza popolare poterono di fatto cambiare le cose.

Forse è arrivata l’ora, dopo un altro quasi ventennio di disastrosa “seconda Repubblica”, proprio oggi, pur tra lacrime e sangue, di cominciare a prendere maggiore consapevolezza di cosa è una democrazia, e trovare il modo di far rinascere finalmente una vera Repubblica che si rispetti, dove in primo luogo “partecipazione” sia la parola chiave, ovvero un’idea meno referenziale e personalistica dello Stato.

Proprio oggi, mentre a 150 anni dall’Unità, si celebra il ricordo del primo re d’Italia, detto “il Galantuomo”, a volte dimentichiamo che le questioni fondamentali di un Italia ancora una volta ai margini dell’Europa, restano la questione sociale e, soprattutto, quella meridionale, perché guarda caso di quest’ultima non se ne è quasi parlato, in questi giorni convulsi. Anche se re Giorgio lo ha ribadito tante volte, in tanti suoi discorsi precedenti. Ma non basta.

Giusy FrisinaGiusy Frisina insegna filosofia in un liceo classico di Firenze
 

Commenti

  1. claudia berton

    Oh, che strazio con questo Napolitano! L’Italia deve sempredivinizzarequalcuno! Non ho nessuna stima per questo signore filosionista, colluso da gran tempo con la cricca neocon USA. Vi passo dei link:
    1)Draghi e napolitano devono essere arrestati e processati, di Paolo Barnard
    2)wwwsiderlandia.it Il governo Monti non è la soluzione, di SalvatoreRomeo
    3)13-11: Simone Oggionni (università del Salento):Apriamo gli occhi, c’è poco da
    festeggiare
    Sel’orribile berlusconi era al serviziodelle banche, adesso al governo sono le banche direttamente. E il neoliberismo, che è fallito, tenta di sopravvivere sulle nostre spalle. Ma è condannato! Purtroppo continuerà adibattersi chissà per quanto tempo ancora……

    4) Italia sociale, alzo zero 2011:Giorgio Napolitano al servizio degli Stati Unitie della guerra Nato: Autore A.D.G

  2. mario filocca

    L’autrice esalta Napolitano per la fase uno, quando con apprezzabile personalità ha trovato una soluzione tecnica allo stallo in cui si era, con la maggioranza divisa ed incapace di decidere e la minoranza che mirava solo a far cadere Berlusconidovuto .
    Nella fase due bisognava abbattere il debito pubblico dovuto al costo della politica, al peso enorme di mille enti dove si sono annidati politici di serie B e clientele: Ministeri, Regioni, inutili Provincie, Comunità Montane. Si pensi all’Inps che per si mangia per la gestione una fetta considerevole dei contributi ricevuti (negli Usa le Assicurazioni contengono i costi di gestione sotto il 2%) Perché Napolitano non ha indirizzato lì Mario Monti? Perché non poteva schierarsi contro il mondo dove lui stesso ha vissuto amabilmente fin da quando è entrato in politica giovanissimo.

  3. Mauro Matteucci

    Voglio vedere come si fa a firmare una manovra, che è la negazione della più elementare equità, colpendo ancora una volta pensionati e lavoratori con modestissimi salari e salvaguardando gli eterni farabutti, che se ne sono sempre strafregati del bene comune!

  4. Gennaro Esposito

    Beh, Napolitano è un burattino.

    I re sono altri.

  5. Stefano Bovero

    Solo una precisazione storica, mi risulta che l’appellativo di “Galantuomo” sia stato attribuito a Umberto I,secondo re d’Italia e figlio di Vittorio Emanuele II.

  6. Giusy Frisina

    Eccezionalmente rispondo a Bovero : assolutamente il “re galantuomo” era Vittorio Emanuele II come il” Papa buono “era Giovanni XXIII! Pur non entrando nel giudizio specifico, il primo re d’Italia è stato comunque di gran lunga più degno del figlio Umberto I, davvero molto poco galantuomo per aver la medaglia al valore al generale Bava Beccaris che aveva ordinato le cannonate contro i cittadini milanesi inermi in sciopero per il prezzo del pane. Comunque Vittorio Emanuele II è stato forse il meno peggio della famiglia, insieme forse a Umberto II,re per un solo mese e vittima delle colpe del padre, connivente del Fascismo e delle Leggi razziali. Comunque la monarchia, non certo rimpianta, qui era solo una scusa per parlare del nostro inguaribile sogno di un potere salvifico, ovviamente.

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