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Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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La strage nell’Amazzonia peruviana: Tienanmen latina o Shoah che continua nella storia?

18-06-2009

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http://www.avaaz.org/it/peru_stop_violence/

Foto: AVAAZ.ORG

Non scandalizzatevi per la alla strage di Bagua, indigeni e di poliziotti meticci abbattuti lungo la strada. Non sono abituata alle alchimie di Pilato e alla pedagogia televisiva dell’ovvio o del disumano, e non me la sento di perdermi nel sapere chi, il 4 giugno dl 2009, ha sparato per primo, quando la guerra è in corso da secoli. Si tratta di un contesto dove il gioco di potere degli interessi multinazionali, il potere di genere e la violenza hanno altri codici. Osceno, un occidentale che fa finta di sorprendersi e, cinico chi parla -stronfiamente- di diritti quando l’Occidente ha inventato sia le Dichiarazioni Universali dei Diritti Umani sia lolocausto, la pulizia etnica e la guerra umanitaria.

La causa di tutto è un modello di sviluppo, che dai paesi industrializzati del Nord si intende continuare a perseguire, depredando le risorse naturali del Sud, a scapito delle popolazioni locali, con conseguenze abnormi sulla stabilità climatica ambientale, drammatiche crisi ed evidenti fallimenti.

“Più sviluppo, più benessere. Ancora legna, ancora legna!”. Viene alla mente un film dei fratelli Marx. Sono su un treno in corsa, i vagoni della Cripple Creeck perdono, ad uno ad uno, i pezzi perché la locomotiva accelera sempre di piú, alimentata in maniera dissennata al grido di: “Piú legna, piú legna!”. Ignaro di tutto, preso dalla frenesia della velocitá, Groucho tenta di infilare nella caldaia la gamba di legno di un viaggiatore.

– Piú legna, please, piú legna. Nella carrozza al fondo, c’é posto. In realtá, il treno é diretto verso un ponte crollato, v ero il vuoto di un abisso.

Che succederà ora, dopo che l’inverno di Tienanmen si è abbattuto su Bagua? Che ne sarà, ora, delle conquiste del movimento indigeno di questi ultimi 50 anni?

Quando penso alla Tienanmen accaduta nell’Amazzonia peruviana, mi viene un nodo alla gola. Dapprima, la ragione di Stato che irride alla voglia di partecipazione e ai diritti ancestrali, riconosciuti dalla normativa internazionale. Poi, il dialogo che abortisce, l’irrigidimento di tutte le parti, la mancanza di mediatori interculturali. Infine, la mattanza. Come sempre, dejà vù.

Come sempre succede in giugno. In giugno l’Amazzonia è attraversata dai venti freddi che arrivano dal Polo Sud. Si abbattono sul bosco tropicale con folate di gelo che penetrano le ossa. Comincia la stagione malattie, apparato respiratorio, la gente che tossisce per settimane. Il fenomeno viene chiamato “el invierno de San Juan“, perché si verific nei giorni attorno alla festa di San Giovanni (24 giugno) e al solstizio.

Per riflettere, scendo al fiume. Mi adagio, come in un guscio, nella canoa. Gli indigeni Kaxinawa chiamano il remo con il termine di shebón, che significa cucchiaio. O anche, mescolatore. Mi perdo ad osservare l’erosione del terreno sulle rive. I fenomeni franosi sono continui. Le canoe si sciolgono di notte dai pali del porto e la corrente li trascina lontano. Con le radici penzolanti sul vuoto, gli alberi aspettano il vento della sera per cadere nel fiume.

A pensarci bene, a Bagua non si è verificata una Tienanmen, intesa come evento isolato per gravità e proporzioni, quanto un nuovo episodio di una Shoah storica, che non si è mai fermata da quando i conquistadores spagnoli, sulla piazza del Cusco, hanno squartato l’ultimo Inca del popolo andino Quechua,ed è cominciato al più grande etnocidio della storia delle Americhe, forse del mondo. All’arrivo di Pizarro in Perù, nella prima metà del 1500, la popolazione indigena conta cinque milioni di persone; agli albori del 1900 ne restano 700 mila. Da dati certi dei missionari, solo nella seconda metá del secolo XX, undici gruppi etnici dell’Amazzonia peruviana appartenenti a sette famiglie linguistiche sono spariti o fisicamente o culturalmente, ed altri diciotto gruppi o sottogruppi appartenenti a cinque famiglie linguistiche si trovano in pericolo di estinzione.
Con la conquista e la colonizzazione entra nella selva un nuovo sistema economico, che si avvale di sanguinosi meccanismi di cattura di manodopera indigena. Inizia un modello di sviluppo, che provoca condizioni infraumane di lavoro, sequele di epidemie e di migrazioni forzate per le popolazioni native, costrette in luoghi isolati, malsani e poco dotati di risorse naturali. E gli indigeni sono obbligati ad isolarsi tra la nebbia della foresta. Per sopravvivere costretti a restare invisibili.

Non si puó vivere con tanto veleno. Non é possibile assumere tanta rabbia senza vomitare un poco ogni pomeriggio.

Negli anni ’30, nell’epoca del caucciú ( per i pneumatici delle auto americane) non arrivano plotoni di soldati regolari, che penetrano nella selva per “conquistare territorio”. Arrivano mercenari e sicari meticci, guidati da nativi sottomessi, che ricevono un “premio di produzione” quando portano trofei, tipo due testicoli o due seni indigeni, come surplus al bottino di persone schiavizzate e deportate. Le correrias sono autentiche e ben programmate “cazas de indios“, caccia di indigeni, per catturare giovani donne e ragazzi da vendere come schiavi al canchero. Com inciano le stragi. Si ha documentazione che – in pochi anni – vengono liquidati piú di trentamila indigeni solo nella zona nord del Rio degli Amazzoni. La tratta di schiavi prosegue fino al 1910. Carlos Arana, un sanguinario cauchero che opera lungo gli affluenti del Rio degli Amazzoni, si vanta di avere a sua disposizione quarantamila indios. Quando non si trovano indigeni nella regione del Rio Madre de Dios, i fratelli spagnoli Massimo e Baldomero Rodriguez vanno in Ucayali e nell’Alto Amazonas, affluente del Rio Marañon, a far prigionieri Shipibo, Kichuas, Lamistas, Cocama-Cocamilla, Huitoto e Santarrosinos. Li trasportano lungo i fiumi, li fanno marciare lungo i sentieri della foresta, precursori dei moderni coyotes, che pullulano in CentroAmerica, verso la frontiera del Messico, dove passano migliaia di migranti indocumentadi, schiavi 2000 in marcia verso il lavoro nero della California.

Per gli schiavi amazzonici dei primi del ‘900, la sola “Lista di Schindler” che funziona é quella dei missionari. Ma, ad un prezzo, che taluni chiamano ricatto. A patto di abbandonare nelle antiche capanne la propria lingua e costumi, restare “concentrati” in villaggi (“reducciones”), accettando di venir “civilizzati”, cioé di lavorare per il padrone cauchero. Ammassati in catapecchie, da cui non possono piú uscire, pena venir ripresi e puniti a bastonate fino alla morte. Non posso uscire a continuo contatto con viaggiatori esterni: si ritrovano esposti alle “epidemie indotte, ricetta per la “soluzione finale” di vari popoli.

Steven Spielberg gira in bianco e nero il suo film sulla Shoah, l’olocausto degli ebrei. Ma – geniale com’é- inserisce, improvvisamente, tra le fila dei prigionieri avviati alle docce di gas nervino e ai forni crematori, un dolce personaggio con un vistoso cappottino rosso: dentro c’é una bambina. Un rosso clamoroso, come a dire: che scusa avete per affermare che avete taciuto perché non mi avevate visto? Se il film fosse stato girato in Amazzonia, l’esile bimba avrebbe avuto il volto dipinto di achiote, rosso fuoco, come la semente della frutta dalla quale gli indigeni traggono il colorante per dipingersi il volto, durante le cerimonie importanti. E, di achiote, si sono colorati gli indigeni Ashaninka quando si sono ribellati all’etnocidio compiuto da Sendero Luminoso , conflitto interno peruviano (1980-2000).

Secondo i dati ufficiali della Commissione della Veritá e della Riconciliazione (CVR), nel ventennio 1980-2000, lo scontro tra le forze dell’eversione rivoluzionaria e quelle della repressione statale ha i caratteri dello scontro razzista, gli stessi connotati dell’ininterrotto etnocidio storico che si perpetua in nuove tappe, sconosciute o dimenticate dai piú. Tanto i presunti rivoluzionari quanto le forze repressive dello Stato, piú che scontrarsi tra loro, si preoccupano di assicurarsi – attraverso il terrore- il controllo politico sulla popolazione indigena l’unica che conosce il territorio della selva.

Un massacro che, in vent’anni, provoca quasi settantamila morti tra i peruviani poveri. Il 75% dei quali é indigeno. In particolare del popolo quechua e dei popoli amazzonici, gli Ashaninka. Come sempre, sono i gruppi etnici a pagare il prezzo piú alto nelle lotte per il Potere. Decenni di sangue, quali risultati? Non risulta scalfito, al contrario, si rafforza. lo status quo dei gruppi dominanti, grazie alle divisioni che la corruzione populista sa opportunamente creare, trasformando molti poveri diavoli in complici e traditori. Si restringono gli spazi democratici delle libertá civili, a causa di leggi di emergenza e di sicurezza nazionale.

Sempre a giudizio della citata Commissione, composta da insigni giuristi, studiosi e sacerdoti, in questo ventennio si verificano, nel Perú democratico, episodi di gravi violazioni dei diritti umani, nella maggioranza dei casi ad opera del gruppo terrorista di Sendero Luminoso; gli organismi ecclesiali e gli uffici della Defensorìa del Pueblo denunciano una politica etnocida di abusi sessuali e di violenze contro le donne indigene.

Continua una pratica con risvolti razzisti, la campagna di sterilizzazione massiva di donne native, promossa da alcuni funzionari sanitari, durante il regime del presidente Fujimori (1990-2000) scrive lo scrittore peruviano Mario Vargas Llosa: “Con la scusa della “pianificazione familiare”, alcuni medici e ostetriche della dittatura, che devasta il Perú tra il 1990 e il 2.000, si avvalgono di stratagemmi farseschi per convocare le donne promettendo vaccinazioni gratuite. In realtá, senza che le donne possano sospettare, vengono “castrate” piú di trecentomila indigene. Alcune muoiono dissanguate, molte denunciano complicazioni sanitarie di ogni tipo; tutte sono bollate dal marchio del Potere”.

Si diffonde la voce che dipendenti dell’Instituto Morrison dell’Universitá di Stanford e della Fondazione Wyatt Family entrano nelle comunità per studiare il DNA degli indigeni più isolati. Vogliono analizzare le variazioni genetiche da quando gli antenati dell’uomo moderno lasciarono l’Africa, 60 mila anni fa, ad oggi. Prelievi senza chiedere il permesso, senza spiegare o dando una mancia. Solo ” una vaccinazione. ” O approfittano delle vaccinazioni del Ministero di Salute. E perché ricercano gli indigeni che vivono fuori dal nostro mondo? Li considerano “primitivi dell’etá della pietra” e vogliono capire come il DNA umano si sia evoluto dalle ere glaciali ai nostri giorni. Forse, per elaborare nuovi trattamenti medici. Hanno fatto esperimenti di questo tipo già negli anni ’60, con il popolo Yanomami e il Ticuna. Indigeni, come coniglietti d’India.

La guerra etnica ha tante facce e non è certo una prerogativa del Perú. In Guatemala, sono le donne Maya a soffrire maggiormente i trentasei anni di una guerra civile: ha provocato duecentomila morti, finisce nel 1996. Quasi il 90% delle vittime apparteneva ai ventidue popoli indigeni Maya.

Pensando a Chatwin

Navigo su questi fiumi da anni; ho sentito avven imenti crudeli, vittime sempre indigene. Il piú sordido lo racconta Bruce Chatwin. Tanti anni fa, nell’isola di Dawson, Cile. I padri salesiani avevano chiesto al Governo che venisse spedito loro ogni indio catturato dopo aver tentato di fuggire dalle reducciones. Ben presto i padri raccolsero moltissimi “infedeli” che, pur avendo cibo e capanne, desideravano riprendere la vecchia vita vagabonda. Provavano sempre a scappare, si ribellavano, rifiutavano il lavoro. All’improvviso diventano obbedienti e tranquilli. La cosa insospettísce i religiosi. Notavano che, alla mattina, gli indios erano stanchi e assonnati. Dopo lunghi pedinamenti e ricerche, scoprirono che, di notte, gli indios si allontanavano verso un punto segreto della foresta dove costruivano una grande canoa per la fuga. Per mesi e mesi, i padri fanno finta di niente, e lasciarono fare fino a quando la canoa é ultimata. Era vigilia del Santo Natale di pace ed amore universale. Organizzano una festa, distribuiscono razioni supplement di cibo. Insomma, li intrattengono mentredue uomini, con una sega e vecchi giornali, mettono fuori uso la barca. La tagliarono nel bel mezzo e poi raccolsero la segatura in modo che gli indios non si accorgessero di nulla finché non fossero imbarcati. Viene la Notte Santa, tanto attesa. Piano piano, gli indios caricarono tutto, bambini, donne, viveri , strumenti. Cercarono di spingere in acqua la canoa, che si spezza in due, prima di lambire il fiume. Chatwin riferisce che gli indios tornano alle loro capanne silenziosi e obbedienti come se nulla fosse successo.

L’ episodio mi ricorda che, dagli anni ’80, i dirigenti indigeni si sono organizzati in forma moderna e hanno lavorato duro per costruirsi una canoa., cioè un proprio destino, una propria identità, per uscire dallo schiavismo, dal tutoraggio delle chiese e degli enti assistenziali, per non essere più “invisibili”. L’organizzazione è a livello di zona idrografica, regionale, nazionale e di bacino amazzonico. Ne sono responsabili, giovani dirigenti perfettamente bilingui, con studi superiori e universitari, in grado di dominare il linguaggio dei diritti e il linguaggio ecologico, promuovendo la contemporanea difesa della diversità naturale e della diversità culturale.

Li conosco bene e non li idealizzo per niente. Hanno gli stessi aromi che caratterizzano il fetore e il sublime umano presente in tutte le società del globo. Pendono dal machismo, come tanti maschietti che circolano con cravatta e telefonino nelle università, negli uffici e nelle chiese europee. Vi sono indigeni che possono aggrapparsi disperati al piccolo prestigio/potere, come esistono europei che si intossicano di arroganza avvolti nel privilegio di una buona posizione economica. Gli indigeni non hanno mai avuto l’innocenza del paradiso terrestre, e meno ancora adesso che, a tavola sparecchiata, sono stati invitati ad…osservare, da lontano, gli avanzi del cenone del neoliberismo finiti nei bidoni della spazzatura, nell’inquinamento dei loro fiumi e nell’invasione dei loro territori da parte di multinazionali del petrolio e del legname. Sono secoli che ubbidiscono alle leggi del potere locale, e sono decenni che si avvalgono delle leggi e delle normative internazionali per aprire varchi di autonomia per la canoa della propria dignità di gruppo, cioè come ” popoli” riconosciuti dall’ONU, con diritti collettivi culturali e territoriali. Usano la normativa internazionale che li favorisce (Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il codice UNICEF, regole dell’Organizzazione Mondiale della Salute e la convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro), per opporsi alle leggi nazionali che li penalizzano. Fanno leva sugli standards di comportamento, diritti umani e diritti dei popoli indigeni che gli Stati sono impegnati ad osservare con la comunità delle Nazioni Unite e col sistema interamericano. E così possono far valere i diritti trascurarti dai loro paesi.

Riprendendo l’episodio citato da Chatwin, che “canoa” hanno costruito di nascosto in questi decenni gli indigeni di Bagua?

In alleanza con organismi della società civile nazionale e internazionale, hanno conquistato il diritto all’educazione bilingue interculturale. Sono riusciti a far riconoscere la proprietà comunitaria di migliaia e migliaia di ettari di foresta ( ma il sottosuolo resta proprietà dello Stato). Hanno portato avanti centinaia di “buone pratiche” di cittadinanza interculturale, di biomedicina, di sicurezza alimentare, di formazione in diritti umani, in promozione di maggiori opportunità per le donne. Hanno fatto proposte di carattere ecologico ed esperienze di manutenzione ambientale di importanti aree. Masticano ogni giorno le leggi, le convenzioni e gli accordi internazionali, tipo la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il codice UNICEF, le norme dell’Organizzazione Mondiale della Salute e la convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Conoscono l’accordo di Rio de Janeiro sulla sostenibilitá dell’ambiente e il trattato di Kyoto sulle emissioni di gas da effetto serra. Citano le leggi statunitensi contro la biopirateria delle patenti che proteggono la proprietá intellettuale. Si appellano alle raccomandazioni del Vaticano e alle disposizioni dell’Unione Europea a proposito dell’ambiguitá di alcuni progetti di biomedicina e di genetica sperimentale. Fanno leva sulle norme, approvate a livello internazionale, per aprire fessure di giustizia nella struttura del potere oligarchico nazionale. Sono stati invitati a congressi internazionali e alle riunioni delle commissioni ONU. Tutto questo, nonostante la continua guerra ideologica, intrisa di razzismo, permeata di pietismo o di sarcasmo, sviluppata in uno scenario nazionale dai squilibri regionali, in una situazione segnata dai gravi indici di povertà estrema.

Cosa resterà di queste conquiste dopo il massacro Bagua adesso che i fucili dei mezzi di informazione manovrati dagli interessii delle multinazionali, stanno segando la “canoa” del movimento indigeno amazzonico, cercando di delegittimarlo?

Di quale proiettile é caricata l’arma che, in Amazzonia come a Bergen-Belsen, Serbia, Bosnia, Sudafrica, Uganda, Liberia spara, oltre che per difendere i contratti dei petroliferi, soprattutto per sfregio etnico? Se tutti fossimo capaci di uccidere a distanza e in segreto, l’umanitá morirebbe in pochi minuti, ha scritto Milan Kundera.

Avremo presto le prime risposte. Le ritorsioni, le rappresaglie, la canoa segata a metà, la segatura nascosta.

Giorni freddi e gelo sulla ossa, inverno de San Juan 2009 per gli indigeni di Bagua.

Sono abituati a remare controcorrente. Continueranno a globalizzare la coscienza dei loro diritti per cercare alleati esterni che li aiutino a sopravvivere localmente e a ritardare la Shoah.

Sperano negli organismi preposti ai diritti umani, nella cooperazione solidale della società civile mondiale, nella “coscienza verde” di chi conosce e anima il servizio ambientale nella giungla amazzonica, nel controllo dei cambi climatici. Quindi nella necessità di evitare la deforestazione selvaggia, che si implementi un ecosviluppo coniugando la protezione della biodiversità con la protezione di coloro che l’hanno conservata per secoli: gli indigeni.

Sono sicura che, a differenza degli indios di Chatwin, gli indios peruviani non torneranno alle loro capanne, fingendo che nn è successo niente.. Ho questa certezza, non sento più il nodo alla gola.

Vedo un mulinello. Remo velocemente per schivarlo e mi fermo ai suoi bordi a contemplare le volute dell’ acqua che inghiottono foglie.

Azzurra CarpoSpecialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).

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