La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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L’AVANA E WASHINGTON SI PARLANO CANTANDO

21-09-2009

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Dopo 50 anni in Piazza della Rivoluzione non parlano né Fidel né Raul. Star venute da Miami e da ogni parte del mondo incantano un milione di ragazzi. I musici di “Pace senza Frontiere” sono il primo filo Tv tra Castro e Obama. Ambasciatori Juanes,  Silvio Rodriguez, Jovanotti, Miguel Bosé. Chi è scappato a Miami, torna ballando.

Fonte: ANSA.it

Fonte: ANSA.it

L’Avana. La novità della piazza della Rivoluzione era l’allegria. Applausi non scanditi dall’enfasi di chi parla. Ragazze sulle spalle dei ragazzi, mani alzate che accompagnano la musica. Occhi chiusi ed abbracci. Insomma, gli abbandoni di ogni concerto, ma è un concerto diverso: invita ad aprire un futuro che non assomiglia al passato. Se l’annuncio declama Pace senza Frontiere, all’Avana vuol dire Cubani senza Frontiere. Finalmente. Piazza della Rivoluzione è lo spazio sacro del castrismo.. Solo  Giovanni XXIII, primo straniero, ha dominato il palco undici anni fa. Fidel  era  in prima fila, attento e commosso anche se continuava a commentare le parole del Papa piegato nell’orecchio di Gabriel Garcia Marquez che gli sedeva accanto. Piazza per gli appelli del primo maggio; piazza per sfilate lunghe ore. Un Che gigantesco, stilizzato sul dorso di un palazzone, rassicura la continuità di una conquista sociale che il tempo sta ingrigendo. Domenica 20 settembre la storia ha l’aria di voltare pagina. Pace senza Frontiere è il fondale che allontana l’ internazionalismo delle lotte di liberazione sulle quali Cuba aveva soffiato per liberare i popoli oppressi da colonialismo e capitalismo: Africa e America Latina.
Domenica la piazza sembrava un’altra piazza. Schermo gigantesco alle spalle di cantanti venuti all’Avana con la loro musica, ballare, cantare come capita in ogni evento del mondo. Sfida alle divisioni che mantengono attorno a Cuba la diffidenza di tanti paesi, braccio di ferro con Stati Uniti di Bush dove l’anticastrismo era diventato ( prima di Obama ) una professione comoda nelle corporazioni finanziate, dal Dipartimento di Stato proprietaria di Radio e Tele Marti, ai giornali e alle corporazioni a stipendio col pugnale in bocca. Bisogna dire che l’integralismo castrista congela ogni apertura chiudendo l’isola in un’informazione fuori dal tempo e nei controlli delle polizie che raccolgono mormorii e ombre. Controllano o controllavano non smontando i dogmi ammuffiti della protezione sovietica.
L’idea di cantare la pace nella Piazza della Rivoluzione è venuta a Juanes qualche mese fa. Juanes è il cantante colombiano più famoso dell’America Latina, idolo dei milioni di ispanici trapiantati negli Stati Uniti. Un ragazzo fra i ragazzi. Ne respira la speranza trascurando l’ossessione che non smette di avvelenare governi e presidenti dei due continenti. Qualche mese fa, quando la sua Colombia e il Venezuela ( l’Uribe che vuole diventare presidente a vita e nessuno negli Usa e in Europa protesta, e Chavez già consacrato da un referendum mentre tutti inorridiscono  ); qualche mese fa, gli eserciti dei due paesi cominciavano a schierarsi lungo la frontiera: fuochi che stanno per accendersi. Quasi vigilia di guerra. E Juan improvvisa un concerto sul confine in modo che da una parte e dall’altra i ragazzi possano cantare assieme le stesse canzoni. Nessun merito riconosciuto quando gli eserciti rentrano in caserma. Ma ovunque cantasse – da Buenos Aires a Città del Messico – la folla giovane ripeteva le canzoni che invitano alla pace. Ecco l’idea di Pace senza Frontiere.
Perché non provare ad avvicinare Miami all’Avana ? Il suo produttore torce il naso: non c’è riuscito  Jimmy Carter quando telefonava dalla Casa Bianca,  figurati tu, battaglia perduta. Ma Juanes insiste. Chiama Miguel Bosè, Jovanotti, i raperos di Orishas (divinità del sincretismo afro-cristiano), splendide ragazze domenicane. Gli Orishas da dieci anni vivono negli Stati Uniti, “traditori”, per la propaganda castrista. “Patrioti” per gli  anticastristi di Miami. Sono stati accolti da un’ovazione. Cantavano, ballavano e piangevano. E quando Juanes attacca “a Dio le pido”, chiedo al signore di eliminare ogni rancore in un abbraccio di pace, l’esplosione non finisce mai. “Ancora, ancora”.
“E’ stato il concerto più difficile da organizzare”, racconta Juanes.  Gli ultras dell’ Ottava strada di Miami (Little Avana, piccola Avana) giuravano che nessuno cantava gratis: pagava Fidel. Gli ortodossi di Cuba immaginavano che dietro spuntasse la Cia “. Forse dietro qualcuno c’è: Juanes può essere il passaporto di una ufficialità che vuole restare nell’ombra, aspettando. E se la Miami dura spegneva i televisori per non assistere “al sacrilegio”, la burocrazia cubana moltiplicava i cavilli. Prima di tutto non fanno entrare i cantanti compromessi con le confraternite anticastriste. Poi, l’applicazione ossessionante delle regole concordate con la Tv che ha distribuito il concerto nelle due americhe. Il regista aveva confidato alle autorità di preferire “piazze bianche”: rendono di più sullo schermo. E l’autorità dell’Avana ordina a tutti gli spettatori di arrivare con una camicia bianca. Messo chilometro prima di Piazza della Rivoluzione i filtri  della polizia controllano il colore delle camice: gli azzurri e perfino i rossi non passano.  A Juanes, Miguel Bosè e Jovanotti non piacciono le poltrone vip davanti al palco. Se sono per Fidel e Raul, un regalo, altrimenti è  privilegio di alti funzionari con famiglia: “I ragazzi devono stringersi attorno senza barriere, come in ogni parte”. Ne parlano col ministro della cultura Abel Pietro e le poltrone spariscono. E sotto il palco i ragazzi dicono la loro. Le ragazze, soprattutto: “Lasciate stare la politica, non ne possiamo più. Vogliamo cantare e ballare. Non abbiamo mai visto cantanti stranieri  così importanti”. Ma Juanes e gli altri non volevano parlare di politica, solo cantare la pace contro il fantasma dei sospetti, questo si.
Il governo di Raul si è sobbarcato impianti, schermi giganti, ospitalità negli alberghi e nelle case di stato. In trasparenza vuol dire tante cose nell’Avana sfinita da una crisi economica che comincia a ricordare il vuoto di risorse del periodo especial, periodo speciale di quando Mosca era scappata lasciando Fidel senza risorse. Intanto canta sognando un futuro rosa.

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