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Lettere »

La voce del cardinale richiama i politici fra le luci della Scala e le luci di Tiffany che vende i suoi gioielli davanti alla porta del Duomo. Gli amministratori si sentano responsabili di tutti, stranieri e milanesi che non ce la fanno, donne e uomini che devono condividere le nostre speranze e la nostra vita. La civiltà è un bene comune: questa capitale non può dimenticare. Pubblichiamo una sintesi dell’omelia pronunciata il giorno del patrono, Sant'Ambrogio

Dionigi TETTAMANZI – Milano torni la città della solidarietà per combattere il degrado umano

09-12-2010

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Se dovesse camminare oggi per le vie di Milano, il Signore Gesù non troverebbe una situazione tanto dissimile da quella che ha presentato nella sua parabola:

Poiché una grande folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, Gesù disse con una parabola: “Il seminatore uscì a seminare il suo seme. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono. Un’altra parte cadde sulla pietra e, appena germogliata, seccò per mancanza di umidità. Un’altra parte cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono, germogliò e fruttò cento volte tanto”. Detto questo, esclamò: “Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!”» (Luca 8,4-8). Così facendo, Gesù mostra il valore del vissuto quotidiano, spesso trascurato, nel quale è possibile riscoprire sempre la via della verità e della vita. Ciò è possibile ancora oggi se ci si impegna ad agire con coerenza, disposti a lasciarsi ispirare, guidare, correggere e orientare dalla luce e dalla forza della parola di Dio, di quella parola che sant’Ambrogio definiva «la sostanza vitale dell’anima nostra» perché «la nutre, la fa crescere, la dirige», precisando che «non c’è un’altra cosa che possa far vivere l’anima come la Parola di Dio» (commento al Salmo 118, 50).

Infatti solo chi coltiva la coerenza nell’ambito della propria esistenza – in tutti gli aspetti del vissuto, privato e pubblico, personale e sociale – può mettersi alla ricerca della verità. O ci si propone ogni giorno di elevare il proprio vissuto all’altezza della verità o si finirà per abbassare la verità al livello del proprio vissuto ! Così come non avrebbe senso per chi – credente o meno – è impegnato nel servizio alla propria città, limitarsi ad affermare quelli che sono da definirsi “valori”, senza lavorare per realizzare concretamente le “condizioni” storiche perché possano da tutti essere compresi e vissuti.

Se dovesse camminare oggi per le vie di Milano, il Signore Gesù non troverebbe una situazione tanto dissimile da quella che ha presentato nella sua parabola. Scoprirebbe, al dire di sant’Ambrogio, «il bravo seminatore che non ha seminato lungo le strade ma sul suolo arato e ben coltivato, affinché la terra moltiplichi il frutto, profondamente radicato per l’umiltà e non disperso per l’ostentazione» (Esposizione del Vangelo secondo Luca, VII,49). Scoprirebbe tanta buona semente gettata ovunque e incontrerebbe una città dal terreno promettente, dove il seme “germogliò e fruttò cento volte tanto”.

Milano è una città dove è forte l’impronta cristiana: il seme della Parola di Dio è stato qui diffuso con generosità ed efficacia anzitutto dai vescovi miei predecessori, pastori innamorati e fedeli al Signore. Penso ai santi Ambrogio e Carlo e – per arrivare ai nostri giorni – a Giovanni Battista Montini (poi papa Paolo VI), a Giovanni Colombo, a Carlo Maria Martini che confessava di “non avere altro che la Parola di Dio”….Don Carlo Gnocchi, il “papà” dei mutilatini recentemente beatificato.

Il seminatore della parabola può sembrare, a una prima lettura, piuttosto sprovveduto: pare sprecare la preziosa semente disperdendola sulla strada, tra le pietre e tra i rovi prima che affidarla al terreno buono… Sarebbe fuorviante intendere la parabola applicando la categoria ristretta del puro calcolo economico. L’animo di questo seminatore – lo si comprende dallo stile dei gesti – è abitato dalla sovrabbondanza, dall’eccedenza dell’amore di Dio. La vita che il seminatore diffonde e promuove è un valore troppo grande per essere costretta in un calcolo economico.

L’azione del seminatore – ci suggerisce sant’Ambrogio – è profondamente umanizzante: «Considera, uomo, donde hai preso il nome», così egli scrive. E subito aggiunge: «Certamente da humus, dalla terra, la quale non toglie nulla a nessuno, ma elargisce tutto a tutti e fornisce i diversi prodotti per l’uso di tutti gli esseri viventi. Perciò è stata chiamata “umanità” la particolare virtù propria dell’uomo, per effetto della quale si reca aiuto ai propri simili» (I doveri, III, 16).

Di quale terreno voglio parlare? Non mi riferisco ai contesi e costosi terreni edificabili o alle suddivisioni geografiche della città. Voglio guardare ad altro. Il terreno in cui gettare il seme buono e nuovo – della giustizia, della carità, della pace – è il cuore, la mente, il vissuto quotidiano personale, familiare, sociale degli abitanti vecchi e nuovi di Milano. Dentro ciascuna persona e in ogni realtà che compongono la nostra città, sono presenti un’area fertile e una che resiste al buon seme.

Un aspetto particolare della vita della città ne mostra l’abbondante fecondità: è la componente intraprendente non soltanto nel produrre per sé ma anche per dare a tutti vita, speranza, dignità e autonomia. Penso a chi crea e offre posti di lavoro, a chi pone competenze a servizio di altri in campo amministrativo, economico, culturale, nell’ambito del servizio alla salute, della risposta al disagio e al bisogno. Mi riferisco a chi costantemente si impegna nel creare legami nuovi, nel promuovere un tessuto associativo vivace, nel sostenere l’integrazione dei nuovi cittadini.

Ecco, paragono questa caratteristica positiva della nostra città, che può essere notevolmente sviluppata, al terreno fertile. Importante è la dedizione di tanti imprenditori che, nonostante la crisi, innovano, crescono, danno lavoro, costruiscono sviluppo, contribuiscono al benessere dell’intera città. Laboriosa, strategica e silenziosa è l’opera di numerosi ricercatori che nelle nostre Università, negli Ospedali e centri di ricerca affrontano e risolvono i problemi che gravano sulla vita umana. Preziosi sono tutti coloro che si impegnano per l’educazione delle nuove generazioni e si prendono cura dei malati e degli emarginati.

Sia preoccupazione costante degli amministratori la cura di rigenerare sempre il terreno fertile, mantenendolo connesso con la totalità delle situazioni, senza cedere alla tentazione di ignorare gli altri contesti sociali solo perché meno produttivi, meno ricchi, portatori di minori interessi e occasioni di visibilità. Sia benedetta la solidarietà concreta, operosa, generosa presente nella nostra Milano non come semplice espressione di un aiuto occasionale bensì come intelligente attenzione diretta ad ampliare gli spazi della fertilità. Non c’è autentico sviluppo che non sia strettamente associato al bene di tutti.

La città soffocata dai rovi

L’amministratore saggio è chiamato a incrementare la componente positiva della città e, al tempo stesso, a prendersi cura di chi ha più bisogno di aiuto, della Milano che “non ce la fa”. È interessante rilevare come il testo evangelico citato metta in luce le positività iscritte anche nel terreno ricoperto di rovi: non è di per sé infecondo, né destinato all’infecondità. Occorre solo liberarlo dai rovi perché possa lasciar crescere il buon seme fino alla sua maturazione. Ma qual è l’aspetto della nostra vita cittadina paragonabile alla porzione di terreno in cui la semente “cadde in mezzo ai rovi e i rovi, cresciuti insieme con essa, la soffocarono”? Possiamo dire che ai rovi corrispondono quelle molteplici, differenti e sempre nuove forme di disumanizzazione – povertà, malattia, disagio – che impediscono all’umanità buona di fiorire.

Penso alle famiglie che – a causa del reddito non sufficiente, dei servizi pubblici non sempre disponibili, accessibili ed efficaci – avrebbero bisogno di un vicinato attento e generoso, di una rete parentale o associativa per gestire al meglio lo svolgersi della vita quotidiana. Penso a chi si trova ad affrontare la malattia cronica o degenerativa di un congiunto, il disagio psichico, la presenza di un anziano non autosufficiente, un figlio disabile: non è l’evenienza in sé a rendere “soffocante” l’esistenza, bensì la carenza di aiuto, il trovarsi da soli ad affrontare queste difficili situazioni.

La mancanza delle risorse economiche per la perdita del lavoro, sommata ad altre situazioni di fragilità, può far crollare le persone e le famiglie, impedendo un’esistenza serena. Intervenire in favore di chi sta pagando gli effetti più pesanti della crisi non significa solo aiutare chi è colpito dalla povertà, bensì investire sul futuro di migliaia di persone e di interi territori della città. Un compito che nessuna istituzione, realtà sociale o di volontariato, può svolgere da sola: non è possibile limitarsi a invocare l’aiuto delle amministrazioni locali, demandare l’intervento allo Stato centrale, delegarlo al terzo settore o alle attività caritative della Chiesa: ciascuno deve fare la propria parte.

Riascoltiamo quanto dice il Papa nell’enciclica Caritas in veritate:

Quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diviene endemica, si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio. Conseguenza di ciò è il formarsi di degrado umano.

Dissodare dagli ostacoli il terreno equivale anche a sostenere le imprese affinché non chiudano, spingerle a modernizzarsi, a investire in tecnologia, a valorizzare i prodotti più originali, a fare sistema, a realizzare situazioni di mutuo aiuto per affrontare nuovi mercati e l’instabilità della domanda.
Il lavoro ha una componente di sacralità, come la Bibbia più volte testimonia. Sia preoccupazione principale e condivisa rispettarlo, tutelarlo, promuoverlo. Gli esempi di interventi virtuosi – in Italia e all’estero – non mancano: conosciamoli e imitiamoli, adattandoli alla nostra situazione. Il lavoro è sempre stato la risorsa caratteristica della nostra città intercettando e interpretando la proverbiale laboriosità dei milanesi. E proprio il lavoro può fare ripartire e rivivere Milano, togliendola dalle secche in cui il suo autentico splendore si è offuscato.

Anche in questo caso, gli amministratori siano di esempio nell’attivare e sostenere in tutti i cittadini un’autentica corresponsabilità e la promuovano con ogni mezzo affinché tutti si sentano responsabili di tutti. Penso in particolare alle associazioni di volontariato, di matrice cattolica o laica, di cui è davvero ricca la nostra città. Ma, a sua volta, il volontariato da solo non ce la fa: ha bisogno di essere formato, sostenuto economicamente, promosso nella ricerca di nuove forze. Un volontario motivato, competente e generoso porta un indubbio aiuto all’azione di governo.

L’azione dei pubblici amministratori deve essere orientata a ricercare il bene comune attraverso la sussidiarietà e la solidarietà, non solo per poter dichiarare di aver applicato i principi storici della dottrina sociale della Chiesa, ma anzitutto come scelta previdente e lungimirante per liberare dal bisogno una parte della nostra città ed evitare che altri cadano nella stessa situazione.

La mancanza delle condizioni per crescere: le questioni educative e culturali

Nel suo lavoro, assieme al terreno buono e a quello soffocato dai rovi, il seminatore incontra poi un terreno reso improduttivo dalle pietre. La semente qui diffusa “appena germogliata, seccò per mancanza di umidità”. È difficile per un seme germogliare, vivere e portare frutto laddove manca la terra feconda. È difficile per un giovane crescere, realizzarsi, sviluppare relazioni buone che arricchiscano sé e la società laddove scarseggiano l’educazione e la cultura. È un problema grave e non raro nella sua manifestazione. Molti giovani crescono senza desiderare, ricercare e costruire un serio progetto di vita, senza dare un senso all’esistenza. È una situazione, questa, frutto di un clima culturale complessivo che pare voler rimuovere la questione della responsabilità e del significato dell’esistenza.

Spesso è difficile coltivare le decisive questioni del senso e della responsabilità in alcune periferie provate dal degrado, in quei luoghi in cui la qualità della vita è povera a causa degli spazi abitativi insufficienti e inadeguati, della mancanza di aree per il gioco e la socializzazione, della carenza di occasioni formative. E se in una situazione già difficile si sommano, come spesso capita, altre negative influenze esterne come la piaga della droga, la malavita, la violenza diffusa, vivere e crescere in contesti simili segna in modo negativo l’esistenza di tanti giovani. La forza dei legami familiari e delle buone relazioni tra gli abitanti del quartiere è antidoto efficace per la prevenzione del disagio giovanile.

Ma se la famiglia a volte “non ce la fa” a educare bene, a introdurre adeguatamente al senso e alla responsabilità della vita, se le relazioni sociali “non tengono” è pressoché difficile “salvare” la situazione solo con quegli interventi socio-educativi che le amministrazioni pubbliche mettono in atto. “Una parte del seme cadde sulla strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la mangiarono”. Tornando alla parabola, sembra che la speranza di dare frutto sia davvero remota per il seme caduto sulla strada: il germoglio è impossibilitato a spuntare, mancano le condizioni minime affinché possa svilupparsi. Semente e cura del seminatore parrebbero sprecate. Eppure proprio da qui l’agricoltore inizia il suo lavoro. Come mai? Perché questa sua preferenza? Completando la lettura della nostra Milano, mi domando a quale sua componente potrò paragonare questo tipo di terreno.

Non io ma molti altri – purtroppo – paragonano questo terreno, ad esempio, alle persone immigrate che vivono in paradossale situazione di clandestinità: ben note ai propri datori di lavoro ma invisibili alle Istituzioni che non riescono a realizzare un possibile e rispettoso progetto di emersione da quella illegalità formale in cui sono relegate. È per il bene di queste persone e della città che occorre offrire loro il seme della speranza, per aiutarle a costruire un futuro di cittadinanza vera – all’insegna dei doveri e dei diritti – per sé e le loro famiglie, così da rendere pieno il loro apporto alla società, per allontanarle dalla tentazione e dalle scorciatoie della delinquenza. Pretendiamo per loro leggi giuste, riconosciamo i diritti di cui sono nativamente portatori e quelli che hanno maturato con il loro lavoro, premiamo – in chi ha un comportamento irreprensibile – il desiderio di diventare milanesi, italiani. Perché si agisce come se nessuna “cura” fosse possibile per loro?

Davanti ai gravissimi fatti che stiamo apprendendo dalla cronaca di questi giorni restiamo profondamente addolorati, anzi sconcertati. Prego per le vittime di queste e di tutte le violenze, per i loro familiari. Prego inoltre perché non si sovrapponga genericamente a tutti gli immigrati la categoria della delinquenza. Ogni persona, di origine italiana o straniera, deve essere sempre giudicata singolarmente, per quella che è, non dimenticando mai che il giudizio più vero e definitivo è quello di Dio.

Penso poi a chi è in carcere per errori gravi commessi e si trova a fare i conti con il pregiudizio che considera il detenuto non più parte della società, ma da marginalizzare e dimenticare. Al di fuori di pochi (operatori carcerari, volontari, cappellani, una piccola parte dell’opinione pubblica) manca in generale la volontà di avviare per loro percorsi di recupero e di reinserimento effettivo nella società. È invece conveniente per il bene di tutti fendere il terreno duro del pregiudizio e avviare i detenuti alla rinascita sociale trasformandoli, dopo i giusti percorsi, da minaccia a risorsa per la collettività.

L’elenco di persone impossibilitate a portare frutto, anche perché intorno a loro si è creato un terreno ostile, è tristemente lungo. Penso a chi è portatore di malattie incurabili e rischia di essere giudicato una persona “a perdere”, agli anziani ritenuti un fardello e considerati improduttivi (ma in realtà ricchi di saggezza, esperienza e di altre risorse preziose). Impresa ritenuta inutile, anzi dannosa per eccellenza, pare essere quella di tentare di inserire nella società le persone di origine nomade. Il pregiudizio, che a volte trova purtroppo corrispondenza in comportamenti contro la legalità, sconfigge la possibilità di ricercare per loro e con loro soluzioni serie e rispettose.

L’ampio e variegato “campo” della nostra Milano è costituito anche dalle situazioni sinora descritte. È miope e irresponsabile l’atteggiamento di chi non vuole prenderne coscienza. Anche queste componenti della città sono una risorsa, se aiutate adeguatamente e vigorosamente nel non facile tentativo di portare frutto.
Compito di chi amministra la città è di amarla e servirla: integralmente, nel suo insieme, senza discriminarne una parte. E se c’è una predilezione da accordare, come fanno ogni madre e padre di famiglia, sarà per il figlio più debole, per quello che inizia svantaggiato il percorso della vita, per chi ha bisogno di maggiori cure.
I grandi politici e amministratori che l’Italia ancora oggi ricorda – nel 150° anniversario della sua unificazione – sono quelli che hanno avuto il coraggio di suscitare la responsabilità comune e di assumere le sfide impegnative ma necessarie per il progresso del Paese e il miglioramento della vita di tutti. Alleviare le difficoltà di chi si trova nelle condizioni peggiori significa provocare una ricaduta positiva su ogni ambito della città. Aiutare i più deboli permette anche di allontanare da loro quegli “uccelli del cielo” evocati dalla parabola, pronti ad attaccare i semi per ghermirli e fagocitarli in percorsi malavitosi e mafiosi.
Le Istituzioni intervengano decisamente contro questi nemici della città, con un’azione di promozione della legalità che – prima di essere repressione e vigilanza del territorio – è seria attività educativa a beneficio dei più esposti a questa tentazione. Ciascuno – anche la Chiesa – faccia la sua parte.

Quattro cantieri da aprire per costruire la coesione sociale

L’analisi che ho presentato può estendersi ulteriormente ed essere approfondita, ma mi sta a cuore condividere con voi la preoccupazione di conoscere in modo adeguato la realtà profonda della nostra città. La città è fatta di persone oltre che di case, è collegata da relazioni prima che da strade, illuminata dall’energia della solidarietà prima che dai cavi dell’elettricità. Ora, mentre per l’amministrazione urbanistica si impiegano strumenti quali il “Piano regolatore” o il “Piano di governo del territorio”, mi domando se non sia opportuno realizzare anche una “mappa dei cantieri sociali”: quelli da aprire, quelli in cui continuare a lavorare, quelli da chiudere. Con un simile osservatorio si guadagnerebbe un punto di vista nuovo su Milano, per pensare non solo ai grandi cantieri edili ma anche a questi immensi “cantieri sociali”. Cantieri laboriosi e creativi che possano orientare le forze e gli spiriti per superare la frammentazione sociale e spazzare via quel sentimento di diffusa depressione che spesso si respira in città.

Immagino si possano aprire quattro cantieri: il primo per studiare, evidenziare e condividere il segreto della Milano dal terreno buono – quella produttiva e generativa (sia in ambito sociale che economico) – per monitorare i bisogni che presenta anche questa componente della città. Un secondo cantiere per individuare, dirigere e sollecitare quegli interventi necessari per quanti a Milano hanno bisogno di aiuto per tornare autosufficienti. Deve essere un’occasione, questa, per comprendere in rapidità i cambiamenti delle forme di povertà, per spingere il volontariato e il terzo settore ad adeguarsi ai bisogni guadagnando autonomia progettuale e imprenditoriale.

Un terzo cantiere è necessario per vigilare e intervenire sulla questione educativa, riflettendo insieme a tutti coloro che in questo ambito già sono impegnati. È un cantiere che la Chiesa sente proprio (senza disimpegnarsi dagli altri ambiti) specialmente ora che i Vescovi italiani nei loro orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 chiedono un particolare slancio e impegno nell’educare (cfr. CEI, Educare alla vita buona del Vangelo, Roma 2010). Vorrei mettere a disposizione quanto recentemente ho promosso come presidente dell’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica: periodiche analisi e riflessioni sulla percezione che i giovani hanno della Chiesa italiana e del suo rapporto con la società civile.

Infine è quanto mai urgente attivare un cantiere dove lavorare per diminuire il più possibile le inaccettabili forme di esclusione sociale: un cantiere in cui l’opera sarà certamente difficile e impegnativa.

Questi “cantieri” possono offrire l’opportunità di promuovere il lavoro comune di Istituzioni, cittadini, associazioni, tra i diversi livelli delle amministrazioni locali. Sarà un grande contributo per superare la frammentazione: sia perché insieme si rifletterà e si interverrà, sia perché i frutti di tali azioni produrranno coesione sociale.

Aprire questi “cantieri” potrà far crescere quella corresponsabilità dei cittadini più volte evocata, per suscitare le loro energie positive, per stimolare quella generosità che è una delle tradizioni più nobili della nostra città, per mettere ciascuno nelle condizioni di fruttificare secondo la personale vocazione e attitudine. Occorre far nascere in tutti ­- e tutti mettere nelle condizioni di poter collaborare – il desiderio della crescita complessiva e di Milano, perché sia più accogliente e vivibile, specie per chi subisce le forme più gravi di povertà.

Argomenti portanti del dibattito politico e della campagna elettorale da tempo avviata non siano solo questioni strumentali alla contrapposizione e alla ricerca facile del consenso, bensì i temi concreti e realistici che caratterizzano la vita quotidiana delle persone, di tutte le persone, che vivono in città. E non si parli di Milano solo evidenziandone i problemi: mostriamo le innumerevoli risorse, anzitutto umane e sociali, di cui essa dispone e che chiedono di essere interpellate e spese al meglio.

Cari amministratori, siate responsabili, esemplari, liberi, obbedienti alla retta coscienza, all’istanza fondamentale del bene comune nel governare e nel proporvi agli elettori. Fare della nostra città un luogo coeso, solidale, comunicativo, aperto a tutti, dove il terreno è liberato dalle aridità, dai sassi e dai rovi che ne soffocano la fertilità, dove poter realizzare i progetti di vita più veri credo sia non un’utopia, ma un’impresa possibile e affascinante. Con la collaborazione di tutti, però. Nessuno escluso.

Dionigi Tettamanzi è arcivescovo e cardinale di Milano dal 2002. Lascerà la cattedra il prossimo marzo 2011. Professore di teologia morale, è stato vice segretario della Cei, confederazione dei vescovi. Nel 2008 ha costituito la Fondazione "Famiglia Lavoro" versando un milione di euro per soccorrere i cittadini poveri. Ha criticato il sindaco Letizia Moratti per lo sgombero dei campi rom.
 

Commenti

  1. marina rossi

    attendiamo da anni il rilancio della politica sociale intelligente della chiesa cattolica !!

  2. Ah, se Cristo tornasse sulla terra, cosa troverebbe? Se andasse a Roma in piazza san Pietro e poi entrasse nelle stanze vaticane, cosa sarebbe costretto a fare? Ma Cristo lo sa già che CL si è sostituita a lui e non lo ricorda più, che parla solo di don Giussani di cui non ho mai capito nulla mentre comprendo bene il pensiero del card. Tettamanzi e quello di tanti altri preti come don Giorgio di Monte di Rovagnate. Bisogna riportare il Vangelo nella vita di tutti i giorni! Allora i grandi corruttori taccerebbero questi come dei C O M U N I S T I !!!!!!

  3. carlo

    – fffanculo ai preti e alla Caritas usurpatori di un Dio a caccia di iscritti.
    – fanculo alle Eminenze che vogliono decidere per noi , non avendo maicostruito nulla
    – fffanculo ai rom ladri di rame e dei nostri risparmi
    – ffanculo ai cinesi ladri del nostro futuro
    – ffanculo ai Pakistani scafandrati con i loro veli e pronti a colpire chi li accoglie
    – fanculo al magrebino spacciatore
    – fanculo al nigeriano magnaccia
    – fanculo a me elettore che ho eletto persone che hanno messo la mia Italia in merda

    Carlo

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