La Lettera

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Lettere »

La diagnosi amara del premio Nobel dell’economia su ciò che ci aspetta nei prossimi mesi dopo la vittoria della destra repubblicana. Le case farmaceutiche continueranno a fissare autonomamente i prezzi pagati dallo stato, grande acquirente. Meno tasse ai ricchi e classe media in rovina: l’un per cento della popolazione intascherà il 20 per cento del reddito nazionale. Si taglieranno le spese militari?

Joseph E. STIGLITZ – Obama con le mani legate: proteggere i forti, indebolire i deboli, così gli Usa (e noi) proviamo a uscire dalla crisi

07-01-2011

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NEW YORK – All’indomani della Grande Recessione, gli stati si sono ritrovati con dei deficit  senza precedenti in tempo di pace, e con uno stato d’ansia diffusa sui debiti sovrani in crescita. In molti paesi, tutto cio’ sta portando ad una nuova ondata di austerità – politiche che quasi sicuramente si tradurranno in un indebolimento delle economie nazionali e globali e in un marcato rallentamento nel ritmo della ripresa. Coloro che sperano in riduzioni del disavanzo di grandi dimensioni saranno estremamente delusi, in quanto la crisi economica porterà a un calo delle entrate fiscali e farà aumentare i sussidi di disoccupazione e le altre prestazioni sociali. Il tentativo di frenare la crescita del debito serve a concentrare la mente – obbliga i paesi a mettere a fuoco le priorità. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, è improbabile che nel breve termine vengano adottati dei massicci tagli di bilancio, come nel Regno Unito. Ma la prognosi a lungo termine – a causa soprattutto dell’incapacità della riforma sanitaria di incidere se non in minima parte sull’aumento dei costi della sanità – è abbastanza desolante. Il presidente Barack Obama ha nominato una commissione bipartisan per la riduzione del disavanzo, i cui presidenti ci hanno recentemente fornito un assaggio di quello che potrebbe essere la loro relazione. Tecnicamente, la riduzione di un deficit è una questione semplice: bisogna o tagliare le spese o aumentare le tasse, tuttavia, che l’ordine del giorno di riduzione del disavanzo, almeno negli Stati Uniti, va oltre: si tratta di un tentativo di indebolire le protezioni sociali, ridurre la progressività del sistema fiscale e ridurre il ruolo e le dimensioni del governo – lasciando i più intatti possibile tutti gli interessi consolidati, come il complesso militare-industriale. Negli Stati Uniti (come anche in alcuni altri paesi industriali avanzati), qualsiasi programma di riduzione del disavanzo deve essere inserito nel contesto degli avvenimenti degli ultimi dieci anni:

– un aumento massiccio delle spese per la difesa, alimentato da due guerre inutili, ma che vanno avanti nonostante tutto;

– una crescita ·nelle disuguaglianze, con l’1% della popolazione che guadagna più del 20% del reddito del paese, accompagnata da un indebolimento della classe media – il reddito medio delle famiglie americane è diminuito di oltre il 5% negli ultimi dieci anni, ed era in declino già prima della recessione;

– un sottoinvestimento nel settore pubblico, comprese le infrastrutture, drammaticamente evidenziato dal crollo delle dighe di New Orleans;

– una crescita dei profitti aziendali, dai salvataggi bancari ai sussidi per l’etanolo continuando con i sussidi all’agricoltura, nonostante che tali sovvenzioni siano state dichiarate illegali dalla World Trade Organization.

Tenendo conto di questo, si puo’ con relativa facilità formulare un pacchetto per la riduzione del disavanzo che incrementi l’efficienza, sostenga la crescita, e riduca le disuguaglianze. Cinque ingredienti di base sono richiesti. In primo luogo, deve essere aumentata la spesa per investimenti pubblici ad alto rendimento. Anche se questo provoca un aumento del deficità nel breve periodo, nel lungo periodo ridurrà il debito pubblico. Chi non si butterebbe su opportunità di investimento con rendimenti superiori al 10%, se potesse prendere in prestito capitali a meno del 3% di interesse, come il governo americano? In secondo luogo, le spese militari devono essere tagliate – non solo i finanziamenti per le guerre inutili, ma anche per le armi contro nemici che non esistono. Siamo andati avanti come se la guerra fredda non fosse mai finita, spendendo per la difesa tanto quanto il resto del mondo messo insieme.

Ancora, vi è la necessità di eliminare i sussidi alle imprese. Anche se l’America ha smantellato la rete di sicurezza sociale per i cittadini, ha tuttavia rafforzato il sostegno alle imprese, come risulta chiaramente evidente dai salvataggi di Aig, Goldman Sachs e altre banche durante la Grande Recessione. I sussidi alle aziende dell’agro-business ammontano a quasi la metà del reddito complessivo, con miliardi di dollari di sussidi al cotone, per esempio, che vanno a pochi agricoltori ricchi – mentre si abbassano i prezzi e aumenta la povertà tra i concorrenti nel mondo in via di sviluppo.

Una forma particolarmente eclatante di trattamento speciale è quello previsto per le società farmaceutiche. Anche se il governo è il più grande acquirente dei loro prodotti, non è autorizzato a negoziare i prezzi, alimentando cosi un aumento stimato dei profitti aziendali – e dei costi per il governo – che si avvicina al trilione di dollari in un decennio.

Un altro esempio è la varietà di prestazioni speciali previste per il settore energetico, in particolare petrolio e gas, che nello stesso tempo impoveriscono il tesoro, distorcono l’allocazione delle risorse, e distruggono l’ambiente. Poi ci sono gli omaggi apparentemente infiniti di risorse nazionali – dalle frequenze gratuitie alle emittenti, ai canoni di bassissimo livello per le società del settore estrattivo, ai sussidi alle imprese del legname.

È anche necessario un sistema fiscale più equo e più efficiente, che elimini il trattamento speciale delle plusvalenze e dei dividendi. Perchè coloro che devono lavorare per vivere devono essere assoggettati ad aliquote fiscali più elevate rispetto a quelli che traggono il loro sostentamento dalla speculazione (spesso a scapito di altri)?

Infine, con oltre il 20% del reddito che va all’1% della popolazione, un lieve aumento, diciamo del 5%, delle imposte effettivamente versate porterebbe un aumento del gettito di 1.000 miliardi di dollari in un decennio.

Un pacchetto di riduzione del disavanzo predisposto in questo senso sarebbe più che soddisfacente anche per le richieste dei più appassionati falchi del deficit. Aumenterebbe l’efficienza, promuoverebbe la crescita, migliorerebbe l’ambiente, e andrebbe a beneficio dei lavoratori e della classe media.

C’è solo un problema: non andrebbe a vantaggio di coloro che stanno ai vertici, degli interessi corporativi e di tutti quegli interessi particolari che sono arrivati a dominare le politiche dell’America. La sua logica è stringente, e proprio per questo ci sono poche possibilità che una tale ragionevole proposta possa mai essere adottata.

Joseph E. Stiglitz è professore universitario alla Columbia University e premio Nobel per l'Economia. Il suo ultimo libro, “Freefall: Free Markets and the Sinking of the Global Economy”, è disponibile in francese, tedesco, giapponese e spagnolo.
 

Commenti

  1. mario

    Di fronte al parossismo politico di coloro che difendono l’elettorato forte, più che un Presidente con le mani legate ci vorrebbe uno psichiatra con poteri divini.

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