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Norberto LENZI – C’è follia in questo metodo?

04-05-2010

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Ei fu. Tre volte nella polvere per ora, poi si vedrà. In questi giorni di maggio la gente, orba di tanto spiro, si sta interrogando: che cosa sarà successo? Perché lui sì e Lui no? Eppure l’uomo era potente e abile: ci voleva fiuto per trovare quell’appartamento con vista sul Colosseo e tatto sulla Lory Del Santo. Un tempo se ne sarebbe fatto un baffo della gogna mediatica attivata dalla sinistra. La sua fine è cominciata quando ad alzare il dito medio sono stati Libero e il Giornale.
Possiamo pensare che sia stata una operazione di difesa ambientale per arginare la marea nera che si sta avvicinando a Lunardi, a Gianni Letta e chissà chi altro? Nel mondo animale alcuni rettili davanti ad un pericolo sacrificano la coda, come male minore, certi che nella nuova stagione ricrescerà.

E come si inserisce in questo convulso contesto il disegno di legge anti-corruzione, con le sue false partenze e suoi tuttora incogniti punti di arrivo?
Nella ormai consueta spola con il Quirinale non c’è il rischio che questi testi di legge redatti a quattro mani finiscano per includere una sorta di contrattazione che incide sul principio di terzietà? Non c’è un po’ di follia in questo metodo?

Agli avvocati, che si battono vigorosamente perché i giudici si collochino chiaramente e visibilmente nel loro ruolo di terzietà, a volte rivolgo domande solo apparentemente provocatorie: voi chiedete a un giudice, semplice vincitore di un concorso, non solo di essere, ma di apparire indipendente. Giustissimo, ma è un principio che a maggior ragione dovrebbe valere per il Presidente della Repubblica, suprema magistratura dello Stato (il primo tra i terzi).

Che cosa penserebbe la gente di me se un avvocato, dopo avermi proposto una istanza per la liberazione di un suo assistito, venisse ripetutamente nel mio ufficio per verificare gli aspetti giuridici o concordare gli argomenti che ne possano consentire l’accoglimento? Perché la politica dà risposte diverse a situazioni simili?

Purtroppo etica e politica sono termini che ci vengono tramandati come quasi necessariamente confliggenti e come prevalentemente situati su piani ideali diversi: l’uno spesso confuso con la morale individuale, e quindi accompagnato da dettami morali più stringenti, l’altro più elastico per la necessità di rapportarsi ai più complessi interessi della Polis. Con semplificazioni devastanti che hanno da un lato accostato l’etica alla utopia e, dall’altro, la politica al malgoverno, come se l’uno fosse un bene impossibile e l’altro un male necessario.

Io penso invece che ci debba essere una tensione diretta a verificare le possibilità di coincidenza tra i due valori, un dovere di scandagliare i mezzi e i modi che li possono rendere sovrapponibili, come a volte sarebbe possibile. E accettare le discrasie (che non dovrebbero avere carattere generale o prevalente) solo dopo accurata osservazione e motivata decisione.

Altrimenti ci troveremmo in un campo di ipocrisia, lassismo e prepotenza che sono gli spettri che hanno fatto allontanare i cittadini dalla politica, senza trovare nemmeno la consolazione dell’etica, vista ormai come puerile ingenuità e valore comunque perdente. Bisogna andare a scoprire se è ancora possibile assegnare un atout all’etica, perché anche le battaglie più nobili necessitano di un fine e di una speranza: “in hoc signo vinces” non è solo uno slogan ben riuscito, ma è la molla che crea la condizione per lo slancio. Se nella scritta apparsa a Costantino fosse stato aggiunto un “forsitan”, una piccola crepa di incertezza, qualcuno vi si sarebbe insinuato e forse la storia del mondo occidentale sarebbe stata diversa.

Quale il “signum” che possiamo proporre? Ne vedo tre: libertà, pace e giustizia. Si può scegliere a caso perché quasi sempre ognuno di questi simboli include gli altri due.

Norberto Lenzi, magistrato in pensione. Pretore a San Donà di Piave e a Bologna fino all'abolizione delle Preture (1998), è stato giudice unico del Tribunale e consigliere della Corte di Appello di Bologna.
 

Commenti

  1. gino spadon

    “Oh, come soffro!”, piagnucola il buon Scajola. “Ti siamo accanto” lo rassicurano gli ex-colleghi compunti e contriti. “Perdiamo un ministro capace” sentenzia, afflitto, il gran Capoccia. Insomma nessuno che faccia un po’ di chiarezza. Avrei voluto che il primo si difendesse magari dicendo: “Mi punite per una fesseria se paragonata allo scippo della Villa San Martino ad Arcore operato ai danni della povera Casati Stampa”. Che i secondi lo coccolassero sì, ma come si coccola un povero di spirito, che, visto l’andazzo, ha ciecamente creduto nell’impunità. Che il terzo sbottasse in un “Ma cribbio, questo Scajola non ha imparato una mentula da me!!!” E invece son tutti lì a frignare, a rammaricarsi, ad accusare quei delinquenti che sborsando 900.000 euro per completare l’acquisto di casa Scajola hanno finito, premeditamente e proditoriamente, col mettere nei guai l’innocente proprietario. Ma si può continuare a vivere così ?!?!

  2. sarebbe bello che qualcuno sottolineasse l’affermazione di Berlusconi che definì Scajola: ” uomo che ha il senso dello Stato” perché dovette dimettersi.
    Ne deduco che Berlusconi non ha senso dello Stato in quanto ha deciso di non dimettersi. E’ una falsa interpretazione la mia?

  3. Mi spiegate come si concilia l’affermazione di Berlusconi che Scajola, dimettendosi, ha dimostrato “senso dello Stato”ed invece, Lui, Berlusconi, indagato per cose ben più gravi non ha fatto la stessa scelta? Deduco che Berlusconi NON ha senso dello stato, Sbaglio?

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