La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

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Abbiamo perso anche il G8

21-05-2009

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Tra i bar e le biblioteche nell’ex triangolo del malessere sardo: Orgosolo, Orune, Lula

Il maestrale della crisi economica è un vento freddo che graffia particolarmente l’interno della Sardegna. In previsione del G8 dei grandi della Terra, previsto in luglio all’arcipelago della Maddalena,. i sindacati della Sardegna, insieme con i rappresentanti dell’associazionismo organizzato, della nebulosa dell’emigrazione e della Chiesa, pensavano di organizzare in maggio, sempre alla Maddalena, il “G8 dei poveri”, un incontro-dibattito sulle misure da prendere per affrontare la drammatica situazione dei 380.000 sardi che vivono sotto la soglia della povertà.

In generale, il prodotto sardo pro capite è pari ad appena il 77% di quello nazionale. Le previsioni di crescita sono inferiori a quelle di altre regioni del meridione. Cresce il divario tra l’Italia e la Sardegna.

Le zone più penalizzate sono naturalmente quelle interne, in particolare quelle della provincia di Report tra i ginepri senza nome della Barbagia: Orgosolo, Orune, Lula

Nuoro, scesa al 96 posto nazionale per i livelli di consumo.

Secondo Ignazio Ganga, leader della CISL nuorese, il lavoro manca, le fabbriche chiudono, le campagne disperate. L’indicatore più drammatico sono gli attuali 2,5 milioni di ore di cassa integrazione, di cui 1 milione e 700 mila di cassa integrazione straordinaria, che scatta quando la crisi aziendale diventa strutturale ed è sommamente improbabile che i lavoratori rientrino in azienda. Il sindacalista sgrana un rosario infinito di aziende in difficoltà: Montefibre, Larica, Antica Forace, Idea Matore, Queen, Lepler, Rosmary, Platinum, Maffei, Mastersarda, Consorzio Latte, Salumificio Murru, ecc. Lapidaria la sua conclusione: <In questa zona, per vivere, ora non restano che le pensioni e i soldi della cassa integrazione. Finchè ci saranno. E le rimesse dei migranti in continente e fuori>.

Di giorno e d’inverno, la Barbagia è vuota di uomini; moltissimi giovani laureati migrano, senza ritorno. Mancanza totale di opportunità e di futuro. D’estate ritornano per qualche settimana di ferie, e riempiono i bar di notizie e di informazioni di tutto il mondo. Ogni mese, inviano una parte della busta paga ai vecchi genitori; così vengono rifiniti i secondi piani delle case ristrutturate.

Per contrastare la crescita del disagio sociale nell’isola, i sindacati hanno chiesto alla regione del neopresidente PDL, Cappellacci, un progetto speciale in grado di aggiungersi agli interventi ordinari contro la povertà pronti a decollare con la Finanziaria 2009. Per gli operatori sociali che vivono nell’interno del nuorese si profilano all’orizzonte anni di lavoro per mettere l’emergenza povertà al centro di politiche di corresponsabilità e di inclusione, coinvolgendo tutti i livelli della governance.

I sardi dell’interno sono come i ginepri

Ajiò, nel linguaggio quotidiano sardo, può indicare un veloce <come stai?>, <andiamo!>, un saluto <a presto>. Ma anche <lo sapevo già, ho altro da pensare. M’hai scocciato, cambia argomento>: Spesso, <chi se ne frega, la mia vita non sarebbe comunque cambiata>.

– Non ci sarà più il G8 alla Maddalena. Cosa ne pensa?

– Ajiò, mi risponde un barista di Orgosolo.

(Fate un po’ voi per l’interpretazione semantica). In Barbagia, mai iniziare una conversazione con temi di carattere politico. Le troppe promesse e le frequenti beffe hanno pietrificato la diffidenza. Meglio, cominciare soft con il paesaggio, il porcheddu rosolato e il cannonau, e questo barista si rivela un universitario all’ultimo anno di lingue a Pisa, con esperienze di Erasmus a Barcellona e a Londra. Mi spiega che è in via di definitiva estinzione lo stereotipo sardo del pastore muto, dalle sopracciglia folte su una faccia torva, silente migrante dalla pelle di mulo, che canta in coro il bimberomboi con i tenores.

Fino a pochi anni fa, qualche giornalista-trombone si dava le arie del kamikaze nel buco nero della barbarie quando descriveva, con una certa acredine lombrosiana, i baristi di Orgosolo, Orune, Lula, tre paesi sulle montagne attorno a Nuoro, come il triangolo del malessere sardo.

Quando la cronaca ritorna a bussare alla porta di questi paesini, una certa stampa continua a sguazzare immancabilmente nel polverone degli stereotipi precotti legati a vecchi episodi di banditismo e a questioni di terre e abigeato.

– Quanto razzismo contro di noi. Le cose sono molto cambiate. Venti di cambio anche qui ci sono.

A suo giudizio, perfino i colori della protesta e i toni della proposta sono mutate. Sia per l’incuria degli uomini sia per l’azione implacabile degli agenti atmosferici, oggi ben poco rimane dei murales di Pinuccio Sciola a San Sperate nel Campidano e dei 250 murales di Orgosolo. Quando non c’era la televisione, il murale era il mezzo di comunicazione e formazione di massa. Sulle orme di Clemente Orozco, Diego Rivera, David Alfaro Siqueiros e degli esuli cileni, con un’impronta stilistica picassiana e postcubista, i pugni chiusi, le vedove dal velo nero come le pentole della fame, le bandiere rosse al vento degli scioperi. Nel 1995 gli studenti dell’Accademia di Brera di Milano dipingono un murale a Onanì (Nuoro) dove i protagonisti de ” Il quarto Stato” di Giuseppe Pelluzza da Volpedo vengono abbigliati con abiti tipici sardi, indicando la comunione di lotta tra contadini e operai. A Lula, c’era un murale di R. Cossu dove il volto di Gramsci si scomponeva nella sagoma della Sardegna. I tempi sono mutati al punto tale che talora i padri, impenitenti fedeli di Baffone e della Vergine del Soccorso, non riconoscono più i figli che corrono dietro al Cavaliere di Arcore. Quello di Enrico Berlinguer, a Orgosolo, sembra il ritratto dell’ultimo risorgimentale.

L’amico barista ritorna sul tema della crisi e del vento. Il maestrale è lo spazzino dei cieli, arriva da nord-ovest. Raffiche irruenti, instabili, schiaffi sul viso. Porta nubi cumuliformi, a volte cumulonembi temporaleschi. Per non essere divelti dalle raffiche del vento, i ginepri si piegano rasenti il suolo, vivono bassi, fitti e a cespuglio, tutto s’inventano per sopravvivere. Come molti sardi dell’interno: non si aspettavano niente dal G8 della Maddalena. Da sempre sanno che devono cavarsela da soli.

– Se qui c’è malessere, altrove in continente, c’è metastasi.

– Come ti chiami?

– Non scrivere il mio nome.

Chi è stato scottato dall’acqua bollente, diffida anche di quella fredda. A ben pensarci, i ginepri non hanno certo bisogno del nome per svolgere la loro funzione.

Il sistema bibliotecario a Bitti e a Lula: cultura contro i grumi del tempo, per una crescita democratica

Oltre ai bar, i punti di ritrovo sono le biblioteche. Tutti i paesini dell’interno nuorese sono collegati dalla rete del sistema bibliotecario. Un servizio culturale attento alle primizie letterarie-artistiche e a quanto si muove nel campo politico nazionale e internazionale. Negli studenti che ne usufruiscono, vedo lo stesso stupore e sgomento dei coetanei che vivono nelle metropoli. Mi fermo a Bitti per contemplare tra i sugheri il villaggio nuragico di Romanzesu (cento tracce di abitazioni, due templi e il pozzo sacro dell’acqua) e visitare la biblioteca. Vi è appena passato il Premio Nobel della Pace, Pérez de Esquivel, argentino, per riproporre la necessità che si istituisca un Tribunale Penale Internazionale che giudichi e condanni chi si rende colpevole di disastri ambientali. Alcune persone hanno fatto allusione ai detriti inquinanti delle vecchie miniere sarde abbandonate. Il ruolo di traduttore e coordinatore del dibattito era svolto da un distinto cinquantenne dallo strano accento sardo-gaucho: uno nato a Bitti, emigrato poverissimo all’età di 23 anni in Argentina, residente a Buenos Aires dove dirige con successo un’ impresa di costruzione. Uno dei tanti migranti sardi, che sono partiti, senza mai lasciare la loro terra. Sono raggruppati in associazioni molte attive, collegati ogni giorno via internet. In un mondo globalizzato, il locale rivive in altri paralleli, lavando le identità, e ritorna adeguando gli innesti e collegando i simboli, in una rete che trasforma e rinnova. Come il maestrale.

Eccomi a Lula. Prima di arrivarci fisicamente, ho cercato di preparami il meglio possibile, ascoltando l’opinione di varie persone e leggendo quanto è stato pubblicato sulla storia complessa di questo paese di 1600 abitanti, sulle pendici del monte Albo. In particolare mi sono studiata

<Lula. Trent’anni di viaggio per un tempo che esiste> , un volume nato perché i giovani lulesi possano trarre dalla storia del passato più recente elementi di stimolo con cui vivere meglio l’attualità. Vi si coglie rigore e dignità. Un esercizio puntuale di memoria, contro le superficialità e le semplificazioni. Ricostruzione delle proprie radici e valori, riconoscimento onesto e disincantato delle contraddizioni e dei nodi ancora irrisolti del proprio processo.

Questa lettura mi consente di collocare in una prospettiva diversa quanto, a suo tempo, era stato contrabbandato da una certa stampa senza rigore d’analisi come un caso di violenza continuata. Mi riferisco al fatto che nel 1992 un’amministrazione comunale, quella del sindaco Marras, fu mandata via a colpi di attentati e che, per i dieci anni seguenti, la casa comunale non ebbe un sindaco, dato che andarono a monte 18 tentativi di voto.

Ci furono alcuni mezzi di comunicazione, che certamente non si sforzarono molto per cercare di capire le cause profonde del disagio e ridussero il tutto – semplicisticamente- a una questione di terre rivendicate dal demanio su cui volevano pascolare le pecore di privati.

Scoppiò un caso sulla stampa nazionale, ne parlarono tutti i media del mondo. A Roma, i divi della politica-spettacolo si sciacquarono la bocca all’ora del thè, con il vessillo della legalità tricolore da piantare a Lula.

Ma, le radici profonde dell’anomalia erano dovute esclusivamente ad un conflitto di terre? I capitoli seguenti mi aiutano a capire meglio e, con il senno del poi, ho il forte sospetto che Lula stava solo anticipando una sfiducia verso un certo modo di fare politica, sfiducia che ora è generalizzata.

C’è da aggiungere, poi, che come conseguenza dell’ingiusta criminalizzazione di tutti i lulesi operata in quell’epoca da una certa stampa-avvoltoio, ci poteva essere negli anni seguenti la rassegnazione di chi attende fatalmente la venuta di Redenta Tirìa di Salvatore Niffoi: <Il tuo tempo scadutto è>. Ci poteva essere la resa di fronte al tempo rappreso. O, meglio, di fronte alla difficoltà del tempo di essere fattore di composizione comunitaria.

Invece, è iniziata una reazione straordinaria – finora ignorata dai media nazionali- che ha visto da un lato, il rifiuto compatto di ogni forza esogena, e dall’altro, l’avvio di un nuovo capitolo di vita sociale, animato dall’interno. Con semina quotidiana, senza spettacolarizzazione.

Chiudo il libro e scendo a Lula, non per scavare nel vecchiume ma per constatare quello che si muove. In punta di piedi.

Uno dei vettori del nuovo è certamente la qualità umana delle persone che lavorano nel campo educativo. Il numero e qualità delle iniziative culturali, sono indicatori di quanta dignità e impegno civile ci siano a Lula, un angolo di Sardegna in fondo molto piccolo e con ridotte risorse.

Incontri, dibattiti, convegni, proiezioni cinematografiche, manifestazioni di ogni tipo, ritrovi vengono organizzati da varie professionalità e con competenze variegate. Dall’ambito pubblico. Ma non solo. Il festival del teatro, per esempio, pur avendo visto la luce nei servizi sociali del Comune, da qualche tempo viene organizzato dall’associazione Ilos.

Sono le undici di un giorno chiaro di maggio e trovo aperta la biblioteca municipale.

Ginepro con nome, la signora che mi accoglie: Maria Teresa Rosu, autrice di vari saggi e libri di poesia, nata ad Orosei ma da decenni profondamente radicata a Lula dove è bibliotecaria.

Mi fa subito capire che, per quanto riguarda le attività culturali del sistema bibliotecario, non viene al caso evidenziare protagonismi di singoli. Poi dice che Lula non è migliore nè peggiore di altri paesi del mondo. Ci vivono belle persone. E’ vero che la sua storia recente ha evidenziato una grossa lacuna di comunicazione creativa. L’amministrazione municipale è’ stata commissariata per dieci anni. Il paese sì è negato, per lunghissimo tempo, al governo democratico della sua cosa pubblica. E, con tutto l’amore che gli si porta, bisogna onestamente ammettere che qualcosa vorrà pure dire.

Ma, sottolinea, non meritava, comunque, la montatura mediatica e il clamore negativo che l’hanno proiettato in una dimensione nazionale e non solo, lasciando una nube sul suo cielo.

<Chi ne ha il compito, dovrebbe adoperarsi per dileguarla>.

Maria Teresa suggerisce di accostarsi al suo paese come alla storia di uno dei tanti lembi della Repubblica italiana.

Accostarsi con empatia, per lei significa conoscenza del contesto, delle appartenenze, della maniera con cui atavicamente la gente viene creando relazioni. Non per seguitare in una linea di analisi di società “altra” e di “repubblica malintesa” quanto invece per stabilire una continuità di recupero di voci se non dal basso perlomeno dalla fonte diretta.

Nella difficoltà è sorto il desiderio di sciogliere i grumi del tempo e consolidare basi di dialogo e di convivenza, per i giovani e per tutti, anche tramite la cultura.

Cultura, come riappropriazione di un diritto da parte di chi si è visto spesso negare la parola. Come strumento di sviluppo endogeno. Come capacità di analisi finalizzata alla proiezione di senso capace di futuro. Ma con i piedi attaccati alla propria terra, il che dona consapevolezze di identità, coscienza del tempo e dello spazio come dimensioni dinamiche dell’esistenza. Perché <un uomo senza radici è come un gigante con i piedi d’argilla>, ha detto il saggio archeologo Giovanni Lilliu.

Cultura, come strutturazione in forma identitaria tanto delle dure esperienze di vita scolastica patite dai bambini sardi di qualche generazione fa quanto della catarsi e riscatto che hanno provocato. <Le bacchette di Lula> di Albino Bernardini simboleggiano la <scuola nemica> di castighi e di sconfitte cocenti, prima ancora che inizi l’inferno della vita.

Con la sua sapienza pedagogica, Mastru Bernardini, che qui ha insegnato, ha preceduto di decenni Paulo Freire, Freinet, Piaget, don Milani e Gianni Rodari.

Cultura, come rielaborazione di vita vissuta da fratelli lulesi Deledda (Salvatore e Sebastiano) e da Luigi Bianco, che non scrivono libri localistici ma utilizzano il concetto <Lula-Sardegna> nella sua più vasta estensione simbolica, dove l’utilizzo della lingua materna diventa tramatura artistica del racconto. Senso della perdita, come quella sperimentata da Gavino Ledda, rubato alla scuola dal padre-padrone per la <scuola impropria dell’ovile-montagna>. Sensazione di distacco-impotenza, come quelli provati da Mario Puddu. Paura dell’abbandono, come quello che si respira nei cunicoli delle miniere dismesse della Sardegna.

Ma anche, cultura come riconquista e valorizzazione delle proprie capacità analitiche ed espressive, attente al presente e al futuro. Come grammatica di civiltà ed esercizio di cittadinanza, in un mondo globalizzato.

Tutte le iniziative della biblioteca mirano all’autovalutazione, al riconoscimento dell’altro, alla spesa dei diversi livelli di competenza, all’entrare nel gioco delle parti, all’elaborazione di spinte sociali in chiave autenticamente comunicativa e progettuale.

Nel corso dei dibattiti svoltisi in questi anni, si stimola l’analisi della <non etica del risentimento>. Si incentiva <la passione del ragionare>. Un gruppo di educatori facilita con Pietro Calia l’organizzazione del Consiglio Comunale per gli studenti, coinvolgendo anche i Servizi sociali e la scuola media.

Si favorisce così la comprensione di concetti legati alla cosa pubblica e alla formazione di una coscienza civile. Confronti e opportunità di crescita. Ostinazione a seminare speranza.

In biblioteca vengono organizzati dei laboratori di scrittura e da uno di essi scaturisce la raccolta <Un miscuglio libroso>, un’antologia di lavori dei ragazzi attorno al piacere di leggere. Tutti i vari personaggi hanno l’ossessione della perdita del libro. Come se un fuoco, un virus dovesse divorare la biblioteca e i suoi tesori. Perché le forze del Male non tollerano che la gente legga.

-Quale risultato?.

-<Chi osserva da fuori-, assicura Maria Teresa-, ha la tendenza a quantificare. A ignorare gli sguardi, la gestualità, le sfumature e i timbri di voce. Più che giudicare, dovremmo invece potenziare le nostre capacità di ascolto e di lettura delle cose e degli avvenimenti. Alle espressioni della comunicazione autentica, destiniamo solo scampoli trascurabili di tempo. Occorre guardare nei tempi lunghi. E dentro gli occhi. Per cogliere i nuovi atteggiamenti verso il sociale>.

Crescita civica è molto di più di issare una stoffa tricolore su un edificio pubblico, vuoto di idee e di partecipazione. E’ filare differenze. E’ sforzo per scansioni più articolate di pensiero.

Dopo le <batoste> di petrolchimica

Una certa stampa nazionale ha sempre preferito le semplificazioni della cronaca nera al cercare di cogliere le caratteristiche dei linguaggi e la specificità dei processi.

Negli anni ’70, ai tempi di Rovelli e della sua Società Italiana Resine (SIR), c’era chi pensava, con sarcasmo, che l’isola avesse bisogno di <batoste di petrolchimica>, insinuando l’urgenza della cultura della fabbrica come antidoto alla cultura del sottosviluppo pastorale. Lula nel 1973 rigettò la <batosta di petrolchimica> e disse no all’offerta di Rovelli di impiantare nel territorio comunale una fabbrica di produzione di filo continuo di nylon e di fibra polipropilenica, venne tacciata di <società arcaica, pastorale, retrograda, barbara e incivile>.

In realtà, l’opposizione veniva da due versanti. Secondo il primo, il tipo di industrializzazione proposto da Rovelli presupponeva un progetto neocolonialista di speculazione, si poteva concretizzare in una ennesima cattedrale nel deserto, e non dava garanzie di occupazione. Per il secondo, non dava sicurezze di rispetto dell’ecologia.

Rispetto al primo punto, Lula aveva ragione: Rovelli trasferì gli investimenti a Ottana, promettendo con tutti gli oscuri apparati parastatali dell’epoca, prima 12.550 posti di lavoro, poi 7500, ridotte a 4200 col tempo, per attestarsi sulla promessa di 2000 impieghi. Ma la fabbrica di Rovelli a Ottana non entrò mai in funzione, venne impiegato solo un addetto a guardia dei macchinari mai utilizzati.

Anche rispetto al secondo versante, Lula aveva ragione: è giusto, allora come adesso, chiedere che vengano effettuati studi di impatto ambientale. <Sta di fatto-, scrive nel 1981 il grande giornalista sardo Angelo de Murtas nell’articolo L’intelligente realismo di Lula, -<che la crisi dell’industria chimica, che si è addensata sulla Sardegna e vi ha lasciato i segni che tutti sanno, non ha neppure sfiorato Lula>, che ha proseguito un suo percorso. Con un suo ritmo e con le sue risorse umane.

Attualmente, i prodotti petroliferi (62%), chimici (15%), metallurgici (11%): rappresentano ben l’84% del totale delle esportazioni sarde. Tutti gli altri settori dell’economia si spartiscono il restante 16% secondo quote che raramente aggiungono l’1%; l’unica eccezione è rappresentata dal settore agroalimentare (4,7% del totale). La capacità di esportare della Sardegna, calcolata sul totale del valore delle merci vendute, si è tenuta ben al di sotto della metà della media nazionale (9,5% valore esportazione merci in % del PIL).

L’edilizia è stata il vettore dell’occupazione in questi ultimi decenni. Ora, si aspetta che i nuovi provvedimenti governativi diano la stura a una ripresa del mattone; molti temono che le colate di cemento arrivino fino a poche centinaia di metri dalle spiagge. Resta il turismo.

<Quale turismo?> chiedo, facendo sosta a Orune, al barista di turno, che sta avvolgendo con pane carasau bagnato una sequenza di fette di salsiccia di cinghiale. La risposta è una documentata analisi, con tanto di dati statistici (anche lui ha fatto qualche anno di università a Pisa, poi ha dovuto lasciare per motivi familiari). Mi spiega: c’è il turismo di lusso, quello della Costa Smeralda e dei club privè, sul quale non cala mai il sole né soffia alcun vento se non quello che alita sulle vele.

C’è un turismo medio-alto, quello dei tour operators che spalmano i pensionati tedeschi, svizzeri, francesi e spagnoli sulla rete degli esercizi ricettivi che supera le 2.000 unità (alberghi, villaggi albergo, residenze turistico alberghiere) e sugli esercizi extra-alberghieri: campeggi e villaggi turistici, abitative per uso turistico, residence e locande. Il tutto rappresenta solo l’1,5% degli esercizi ricettivi operanti in Italia, con posti letto 166,751 , appena il 3,9%. Molto poco rispetto alla domanda di qualità di servizi da parte di un’utenza specializzata (eventi internazionali, conventions, sale congressi, ecc.). C’è il turismo familiare italiano medio-basso, il cui flusso è diminuito del 20%. Ne risente soprattutto tutto il comparto ricettivo complementare, caratterizzato da un sommerso rilevante, fatto di alloggi in affitto, case e appartamenti per vacanze, affittacamere, ristorantini estivi, artigiani locali e le migliaia di bed and breakfast, dalla bassissima capacità di accoglienza. Ma ritorna feroce la domanda: come affrontare la crisi? Che risorse possono mettere in campo le zone dell’interno quando tutte le attenzioni sono riservate alla costa?

Mai più senza il mare: turismo sostenibile con cultura, storia e autenticità

<Se, per una volta sola, venite a tuffarvi in questo mare di Sardegna, nella lavagna della vostra memoria scriverete sempre con il colore blu>, è un spot che inorgoglisce il mio barista anche se ci tiene a puntualizzare:

– Ma il cuore di quest’isola non sta nella Costa Smeralda dei vip, delle veline e dei Billionaire dove i sardi vengono chiamati a fare i giardinieri e i camerieri. Il cuore sta in un altro posto.

– Mi faccia capire.

– A patto che non scriva il mio nome.

A suo giudizio, fino a pochi decenni fa, questo posto era tra le pieghe delle bandiere rosse dei murales, all’interno, lontano dal mare, da sempre percepito come nemico. Perché dal mare è sempre venuto l’assedio. Fenici, punici-cartaginesi, greci, romani, pirati, pisani, spagnoli, liguri, piemontesi, faccendieri, principi arabi, politici e portaborse, cavalieri e veline, commendatori brianzoli e divi del cinema sono sempre arrivati dal mare a portarsi via metalli, grano, silenzi di ragazzi testardi-mai stanchi di lavoro, la scogliera più bella, la sabbia più bianca.

Ora il cuore interno della Barbagia – quello che anche se sfibrato dalla crisi millenaria non rinuncia all’identità sarda – non pulsa più lontano dal mare. Anzi, si rende conto che se dal mare continueranno ad arrivare padroni, potrebbero anche venire alleati. E si fa paladino di proposte che salvano le memorie del patrimonio culturale dell’interno, cercando interlocutori tra gli appassionati del mare, tra i natanti e i turisti delle spiagge minori, provenienti ” da fuori”, dal “continente”, dall’Europa e dal campo internazionale.

Se non gestito in maniera adeguata, il turismo ha in sé una potenziale forza autodistruttiva, in grado di determinare il suo progressivo esaurimento. Oltre a causare degrado ambientale, può condurre ad un livellamento delle diversità culturali, che costituiscono la ragione ultima del turismo. In un mondo di “uguali”, il turismo non esisterebbe. Chi si scomoderebbe per visitare l'<identico>? Solo un’oculata gestione del turismo può garantire che questa fonte di reddito perduri nel tempo. In questo senso il coinvolgimento motivato di tutti gli attori delle zone interne della Sardegna rappresenta un’importante opportunità. Occorre andare oltre il pecorino, il porcheddu e il cannonau.

La formula per salvare l’anima è l’implementazione di una rete di turismo intelligente che abbini i piaceri del mare con gli interessi dei circuiti culturali nell’interno. Che faccia conoscere il cuore popolare dell’isola. I suoi siti archeologici-nuragici. I 169 siti minerari dismessi, che parlano la storia millenaria sarda, dai tempi romani dei dannati ad metalla fino agli scioperi violentemente repressi di qualche decennio fa. I minatori, colpiti dalla silicosi, si stordivano di vino appena usciti da quelle viscere; come cibo mangiavano fave lesse ma, di domenica, la loro era la camicia più bianca, sul sagrato della chiesa. Meglio la miniera che vivere “da meschini”. Dal 1997 l’Unesco impulsa una rete mondiale di geoparchi per tutelare il patrimonio ambientale, tecnico e culturale delle zone minerarie; dal 2001 riconosce il Parco Geominerario della Sardegna con otto aree protette, particolarmente presenti nel Sulcis-Iglesiente.

Son Enattos è la miniera abbandonata di Lula. Luca Loddo, ex minatore, ne cura la ristrutturazione storica e antropologica per gli studenti e i turisti, insieme con un’equipe di compagni di lavoro, per conto della Igea Spa e con finanziamento della Regione Autonoma della Sardegna.

Appena superati i quarant’anni, si sono trovati disoccupati perché Son Enattos è stata chiusa.. Si sono costruiti una casa grande e hanno smesso di fare figli. Per non finire al bar, sono ritornati alla “loro” miniera. Per farla respirare e continuare a vivere ancora con lei. Da minatori ad operatori culturali. Con dignità e orgoglio. Per evitare di essere dei testimoni sopravvissuti al grisou della globalizzazione. Per diventare agenti attivi di ecologia e di turismo sostenibile. Accompagnando i visitatori lungo il vuoto delle gallerie, tanto pieno di storie. Nella sala dell’argano, ci saranno le pitture di Diegu Asproni, ex minatore nella stessa miniera ed ora riconosciuto ed apprezzato muralista e artista. Verranno messi poster e grafici, lungo le vene del minerale. Si potranno vedere foto d’epoca, ai pozzi e ai fornelli. Non solo quelle che parlano di lavoro, di scioperi e silicosi. Soprattutto quelle che dicono di feste, di compleanni, di balli e di matrimoni. Di processioni di donne dal velo nero e priores, tra le candele colorate e l’incenso, al santuario di San Francesco. Di canti d’amore. Di notti di maggio dai cieli puliti e la luce ancora alta sul Supramonte.

Una volta risaliti, i turisti saranno accolti dal profumo di finocchio selvatico. Sotto un bel fico, tra arbusti verdissimi di lentischi, in un campo lasciato incolto ricolmo di asfodeli e cardi, aspetterà una tavola imbandita dall’ospitalità isolana, a batoste di rossi pregiati, formaggi pecorini e mirto.

Gli eucalipti posti a frangivento spezzano l’orizzonte; il G8 e la Costa Smeralda sono molto lontani. Oltre il Monte Albo.

Il mare dalle venature smeraldo e spiagge bianche, quello da dove potrebbero arrivare gli alleati, è dopo il bosco mediterraneo di lecci, corbezzoli, cisto e ginestre.

Qui ci sono le miniere, trasformate in monumenti del lavoro e dell’identità sarda. Margini residui di scelta in un’economia possibile al pianterreno della storia. Qui ci sono le biblioteche. Per capire le solitudini, le allegrie, le solidarietà e i mille significati di ajiò.

Qui, in Barbagia, ci sono i ginepri senza nome, dirimpetto al maestrale.

Azzurra CarpoSpecialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).
 

Commenti

  1. Stefania Curci

    Mi sono commossa e quindi andiamo con ordine. Complimenti a Domani-Arcoris, che non conoscevo. Leggendo i vari articoli, sono passata da una iniziale curiosità e sorpresa alla commozzione per il modo veramente nuovo con cui viene avvicinata la mia terra, la Sardegna, nel bel servizio di Azzurra Carpo.
    Bello non solo per lo stile ma soprattutto per la verità che mette in luce rispetto a Lula, e per non limitarsi a intervistare i soliti personaggi ufficiali, preferendo invece mettere in luce i “ginepri sardi senza nome”, che operano quotidiamente attraverso la cultura.
    Grazie di cuore ad Azzurra Carpo. Davvero grazie per far conoscere che Lula, pur con le contraddizioni di ogni piccola o grande realtà italiana, ha avuto ragione tre volte(finora nessuno della stampa nazionale aveva avuto il coraggio intellettuale di ammetterlo)ma che la dignità è di casa a Lula.
    W la Sardegna dimenticata! Andremo avanti anche senza i G8, statene sicuri.
    Stefania

  2. Cesarina Munaretto

    concordo totalmente con il commento precedente…peccato ke questo articolo sulla “Sardegna dimenticata” non sia comparso finora sulla stampa nazionale..purtroppo non tutti navigano in Internet e conoscono DomaniArcoiris, io stessa l’ho saputo per caso da un passaparola ke mi auguro continui a passare…anch’io sono sarda,Oristano, anche se vivo a Milàn da sempre,e sono felice quando si parla correttamente della Sardegna, e non solo della costa smeralda di Noemi e affini.Si vede bene ke la giornalista è anche lei sarda o la conosce a fondo. Non potreste segnalarlo ai giornali e radio almeno di Nuoro? Solo in questa maniera forse qualcuno di Lula Orgosolo e dintorni lo viene a conoscere…comunque, molto bene. Spero che continuiate e vi facciate conoscere davvero. C’è tanto bisogno di un giornalismo così.
    Cesarina28

  3. anna maria perito

    G8? No Grazie. G(sott)8.
    Per la Sardegna, continua il G(sott)8.
    Comunque, w la Sardegna!
    Ho saputo per caso di voi da un’amica, e rimando. Complimenti. L’articolo anticipa l’iniziativa che si svolgerà nelle province del Sulcis Iglesiente e del Medio Campidano dal 2 al 6 luglio 2009, nella settimana che precede il G8 che ora si svolge in Abruzzo. Abbiamo chiamato G(sott)8 (leggi gisotto), perché si tiene in basso a sinistra sia idealmente, sia geograficamente rispetto alla mappa dellisola.
    Grazie per aver accennato al Parco geominerario del Sulcis,insieme a Son Enattos di Lula. E per far capire i limiti del modello di sviluppo industriale basato sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali, portando avanti invece le alternative produttive, economiche e sociali da contrapporvi dal basso.
    Spero che la giornalista possa venire qui e far conoscere il nostro G(sott)8.Anna Maria

  4. Paolino Frenu

    ben fatto..basta di batoste di petrolchimica in Sardegna e di morti bianche con ragazzi asfissiati in cisterne e inquinamento dappertutto. d’accordo: Gsott8,Gsott8!!!!

  5. caterina

    Benissimo.Grazie per avere aperto una finestra sulla Sardegna vera, la sola Sardegna.
    Grazie e continuare, per favore.

  6. Luca2009

    non sapevo di voi. Fatevi conoscere!!! Anch’io, sardo, Erasmus in Spagna. Stavolta in pochi abbiamo votato; la prossima, meno ancora. Comunque, anche se con alcune inevitabili imperfezioni, ottimo il servizio. Riguardo alla Sardegna, qualcuno fa foto “scandalose” su villa Certosa a Porto Rotondo del Berlusca erectus. Ogni volta che ne sente parlare, mio padre, pastore in pensione, per ore e ore impreca.Voi invece avete fatta una foto sulle persone sarde che hanno la schiena curva dalla crisi ma vanno avanti anche senza il papy. Interessante l’iniziativa sarda del Gsott8, da fare in parallelo a quella ufficiale. Chapeau per l’Abruzzo, ma noi sardi dell’interno, siamo terremotati storici…!!!
    Informate di altre iniziative attorno al G8. ARCI, ecc. Dai, occorre una rete informativa di quanto si sta facendo, di fianco al G8…!!! Dobbiamo migliorare l’immagine che all’estero hanno di noi, facendo vedere che c’è gente seria in italia, non solo veline.

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