La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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L’ironia di Jacques Prévert, poeta del surrealismo, versi e canzoni nei bistrot di Parigi, accompagna la decadenza della casa reale: Luigi Primo, Luigi Secondo, Luigi Terzo… Luigi XVI al quale la rivoluzione taglia la testa: “Che dinastia è mai questa se i sovrani non sanno contare fino a 17”. Un po’ la storia di Domani: non riesce a contare fino …

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

Inchieste » Quali riforme? »

Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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Il governo Monti ha perso il primo round con Susanna Camusso che fa la guardia alla civiltà del lavoro, fondamento dell’Europa Unita. Sono 10 anni che è morto Marco Biagi, giuslavorista ucciso dalle Br. Si sentiva minacciato, chiedeva la scorta: lo Scajola allora ministro ha commentato la sua morte, “era un rompicoglioni”. Rinasce l’odio di quei giorni? Risponde Cesare Melloni, …

Società »

Capricci e dispetti trasformano i campioni strapagati in ragazzini che non diventano mai uomini. Vent’anni fa Michel Platini racconta alla scrittrice Margherite Duras: “sono diventato uomo durante finale di Coppa Europa con la Juventus quando è crollata una tribuna e sono morti 39 spettatori. Questa, la gloria, pensavo, mentre alzavo la coppa della vittoria?”

Sudafrica: la Coppa del Mondo è una spugna che beve e risputa i malumori del mondo

21-06-2010

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Molti i litigi e gli insulti a margine di questi Mondiali in cui i presunti favoriti soffrono, i piccoli scorgono la luce e i medi riprendono a sperare. L’ultimo sgarbo, quello di Anelka nei confronti del suo ct, il controverso selezionatore francese Raymond Domenech, ha provocato un caso nazionale in Francia, la crisi depressiva dell’intera compagine dei Bleus, l’espulsione del giocatore linguacciuto dal campo base, il ritiro dello sponsor Quick dalla maglia del reprobo e la caccia al traditore, la gola profonda portavoce dei complimenti scambiatisi tra i due nello spogliatoio.

Poi ci sono dispetti e rancori coltivati a distanza. Chi si consola per essere stato lasciato a casa prendendo moglie, chi manda a quel Paese i politici che si impicciano e chi dichiara acido di non piangere sugli assenti neanche si trattasse di assenteisti.

Campioni o no, le meglio gambe del calcio mondiale (e i loro coach) si comportano da ragazzacci, un po’ discoli di natura, un po’ maleducati per esposizione al cattivo esempio.

Che cosa sta accadendo ai protagonisti di questa Coppa sempre più lontana dai desideri di quel Rimet che la concepì in tempi sì turbolenti ma cavallereschi? Perché questo torneo sta diventando sempre meno sportivo da un quadriennio all’altro? E pure meno epico, si potrebbe aggiungere.

Succede che la Coppa del Mondo con la maiuscola è diventata una spugna e, come qualsiasi assorbente, si imbeve dei malumori del mondo con la minuscola. Succede che si impregni degli stessi vapori mefitici di cui la società è aureolata. Se il pianeta puzza, perché mai il calcio dovrebbe olezzare di incenso e gelsomino?

Quelli che si intendono di calcio, quelli che lo seguono e lo amano da sempre, dicono che il bel gioco è morto. Sostengono che non si può più assistere alle partite della Coppa del mondo con il batticuore di quando eravamo bambini, con gli slanci e le urla di quando eravamo adolescenti, con le birre a portata di mano dell’età adulta o giù di lì. Ma quand’è, chiediamo noi che di calcio non ci intendiamo e che abbiamo sbriciolato i nostri sogni altrove, inseguendo altre frenesie, è avvenuta questa morte?  Chi l’ha decretata o per colpa di chi è avvenuta?

Il saggista e romanziere francese Ollivier Pourriol sostiene che un primo indizio di questo cambiamento risale al 1985, ma si trova in un passo dell’intervista rilasciata da Michel Platini a Marguerite Duras pubblicata dal quotidiano Libération nel dicembre del 1987.

Rievocando il dramma dell’Heysel del 29 maggio 1985, quando, durante la finale della Coppa d’Europa, il crollo di una tribuna provocò 39 morti e 600 feriti, l’allora capitano della Juventus dice: «Quel giorno sono diventato un uomo». Perché? Lo incalza la scrittrice. Il giocatore francese artefice delle glorie juventine le spiega allora che quella sera provò la più grande gioia e la più grande vergogna per essere stato felice malgrado i morti. Disse esattamente: «Diciamo che sono passato da un mondo in cui il calcio era un gioco a un mondo in cui il calcio era una specie di violenza».

Pourriol, che ne ha scritto sul settimanale francese le Point, conclude che ai 39 veri morti bisogna aggiungere il quarantesimo, che è sì immaginario ma al tempo stesso reale: è «il fanciullo morto in Michel Platini».

Chiosa lo scrittore: «Un calcio adulto è un calcio che sa che non sarà mai più semplicemente un gioco». E Platini avvalora questa sua conclusione. In un’intervista a Le Monde del 2002, il campione constatava con malinconia che «non siamo più in un’ottica di bel gioco; la sconfitta è diventata un dramma finanziario più che un dramma sportivo».

Gli interessi finanziari fanno perdere l’interesse al gioco, smorzano la passione. Ci rendono cinici e smaliziati come spettatori di un match di boxe truccato. Come ci si può appassionare a ciò che fa gli abnormi interessi altrui senza suscitare in noi il minimo spassionato interesse?

Ed è a questo punto che Pourriol, autore dell’Eloge du mauvais geste («Elogio del cattivo gesto») giustifica la testata rifilata da Zidane a Materazzi durante la finale dei Mondiali del 2006.

«Quel che io credo, è che tutti, anche se non osano confessarlo, sono grati a Zidane di avere spezzato la gogna commerciale, educata, troppo educata, levigata, troppo lucida e lisciata, di un calcio sponsorizzato e  dominato dal risultato. Zidane, in un violento lampo di orgoglio, ha dato fuoco alle polveri della libertà, della passione brutale, della grandezza omerica. Ha riabilitato di colpo (di testa) il senso umano del gioco… A quattro anni da allora, Zidane non si è pentito del suo gesto. Apparentemente irriflessivo, ma profondamente giusto, al punto, lui lo sente, di non potervi rinunciare. “Quel gesto, comunque sia, lo custodirò tutta la mia vita. Fa parte del destino”. Un atleta che parla di destino, che usa queste grandi parole mentre è sponsorizzato, legato a grandi marche, sempre tentate di farne il loro schiavo, manifesta il valore del suo cattivo gesto, ultimo rifugio di una libertà che è quella del gioco. Un grande giocatore è qualcuno che è capace anche di rompere il suo giocattolo. Libertà negativa, ma libertà in senso stretto».

La maleducazione, il gesto scorretto, la cattiva azione, la lingua spiccia, sono dunque indici di libertà? Atti dirompenti in un mondo, come quello del calcio, dominato dall’ipocrisia e da interessi che con lo sport hanno solo rapporti di sfruttamento?

Può darsi che le tesi di Pourriol siano arrischiate, ma certo sono degne di discussione. In ogni caso, non tutti i maleducati che frequentano il terreno di gioco sono rivoluzionari o libertari nel senso più nobile di questi termini. Spesso prevalgono gli attaccabrighe, gli intemperanti, i maleducati tout court. Non basta mandare a cagare il proprio trainer per essere indicati come portabandiera di valori alternativi, dinamitardi che fanno saltare le ipocrisie e gli interessi finanziari in palio dietro il luccicare della coppa. Però ci sarà una ragione se il luccichio della coppa non ci abbaglia più. E non deve essere solo perché siamo cresciuti.

Ivano SartoriIvano Sartori, giornalista, ha lavorato per anni alla Rusconi, Class Editori, Mondadori. Ha collaborato all’Unità, l’Europeo, Repubblica, il Secolo XIX. Ultimo incarico: redattore capo a Panorama Travel.
L'APPUNTAMENTO SETTIMANALE CON FREI BETTO

Il Brasile aspetta il ritorno di Lula: il cancro non lo fermerà

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“Ricordo l’inizio della nostra amicizia quando ancora correva per diventare presidente: scarabocchiava su un pezzo di carta i temi per i quali battersi e saliva sul banco travolgendo chi ascoltava” continua »

Con questa faccia da straniero

Scrivere per Domani non mi fa sentire straniero

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La mia amica mi ha regalato un bellissimo quaderno. Il quaderno della fortuna. Sul davanti del quaderno c’è il disegno di un agricoltore con un carretto tirato da due mucche. Dietro una piccola spiegazione di cos’è il frumento. È scritto: … continua »