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Terracina ricorda Auschwitz "lager costruito con perfezione scientifica per dare morte o ridurre in fumo e cenere migliaia di esseri umani". Quando bambino è costretto nel carcere di Regina Coeli a lasciare le impronte digitali, scoppia a piangere. "Il padre si rivolge ai noi figli: mi raccomando siate sempre uomini, non perdete mai la dignità"

27 gennaio 1945: “Se le truppe sovietiche tardavano qualche giorno non ci avrebbero trovati in vita”

27-01-2010

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Quello di oggi non è un giorno uguale agli altri. È il Giorno della Memoria. Giorni della Memoria ci sono sempre stati: un Santo, una ricorrenza civile o religiosa, un evento che col tempo è diventato tradizione, prevalentemente si tratta di ricorrenze liete. Quello di oggi invece, è un giorno della Memoria diverso perché propone ai cittadini, e in particolare ai giovani, di fare memoria di una grande tragedia della Storia: lo sterminio perpetrato nei lager nazisti di 11.000.000 di esseri umani di cui 6.000.000 ebrei. E ancora prigionieri politici, Sinti e Rom, militari sovietici, disabili, malati di mente, testimoni di Geova.

Un massacro senza fine. Numeri enormi, ma se non riflettiamo su di essi c’è il rischio che vengano percepiti come un dato statistico. Provate a contare da 1 a 6 o a 11 milioni, e a considerare che dietro ad ognuno di essi c’è un volto, una storia, una famiglia. Soltanto così ci si può rendere conto dell’immensità della tragedia.

E noi, ormai pochi sopravvissuti, abbiamo il dovere di testimoniare, di ricordare, anche di gridare se è necessario, affinché la memoria della grande tragedia non vada perduta. La memoria non riguarda soltanto il passato; pensarlo sarebbe riduttivo; la memoria non è una riserva né un patrimonio cristallizzato. E la memoria della Shoah, parola ebraica che significa catastrofe, deve far rivivere il passato per servire il presente ed il futuro. Ricordare il passato significa strapparlo all’oblio, serve ad impedire che quanto accaduto si ripeta, che si passi dall’ignoranza al pregiudizio, quindi all’intolleranza, e dall’intolleranza all’odio. E quando ciò avviene, allora, come ha detto Primo Levi. “al termine della catena, c’è il Lager”

27 gennaio, questo è il giorno della Memoria, fissato in questa data perché, in quel giorno di 65 anni fa, le truppe sovietiche liberarono il campo di Auschwitz, luogo di vergogna per l’umanità intera; indicato come paradigma di tutti i campi di sterminio nazisti in Germania. Austria e nell’Europa dell’est, ma anche in Italia nella Risiera di San Sabba nei pressi di Trieste. Auschwitz è quel campo costruito dalle SS con perfezione scientifica per dare la morte e ridurre in fumo e cenere un numero enorme di esseri umani. Un apparato statale di civili e militari, di ingegneri, di chimici, di contabili, di forze di sicurezza, di medici, di specialisti di ogni disciplina, che si mobilitò per condurre la terribile campagna di morte, quella che venne chiamata dai nazisti “soluzione finale del problema ebraico”.

Quel 27 gennaio 1945 ero lì, uno dei pochi che ancora riuscivano a reggersi sulle proprie gambe. Molti si trascinavano sul terreno gelato senza più la forza di stare in piedi. Se le truppe sovietiche avessero tardato ancora qualche giorno non avrebbero trovato nessuno in vita.

Con l’arrivo delle truppe sovietiche aveva fine un massacro che in quel luogo era iniziato nel gennaio 1942, quando nel comprensorio di Auschwitz venne attivato il lager di Birkenau, attrezzato con quattro camere a gas e relativi forni crematori, costruito con criteri scientifici da gente colta e intelligente. I prigionieri arrivavano dopo un viaggio allucinante, con la sete che faceva perdere la ragione, compressi su carri bestiame, sigillati “come merce da dozzina” ( sono ancora parole di Primo Levi), 64 persone in un carro come nel mio caso, in mezzo alle proprie urine e ai propri escrementi. Un viaggio verso il fondo, all’ingiù, verso l’abisso. Nel lager si parlavano tutte le lingue d’Europa. Erano padri, madri, figli e figlie, mogli e mariti, fratelli e sorelle che lì arrivarono e lì ebbero termine i loro giorni, per la sola colpa di essere nati. Una fila interminabile di esseri umani; una fila ininterrotta che entrava in quegli orrendi stabilimenti da dove non usciva mai nessuno. E i pochi che scampavano alla prima selezione dell’arrivo – uno scarso 20% – venivano poi ridotti in stato di schiavitù fino a morirne in pochi mesi o in pochi giorni per la fame, le sevizie, la fatica immane, le malattie. Per gli ebrei le selezioni si susseguivano anche dopo la selezione dell’arrivo. Arrivavano trasporti da tutta Europa e il posto per i nuovi arrivati doveva essere lasciato da quelli arrivati prima, resi ormai deboli.

Il primo pensiero alla sveglia del mattino era se saremmo arrivati a sera, con molte probabilità di non arrivarci. Eravamo condannati a morte e lo sapevamo, anche perché erano gli stessi carnefici a ricordarcelo ad ogni occasione: “Uscirete tutti attraverso i camini dei crematori” dicevano. E fu così che persi tutta la mia famiglia: i genitori, i miei fratelli, mia sorella, il nonno e uno zio. E rimasi solo, disperatamente solo a dover lottare ogni momento per sopravvivere, in un ambiente spaventosamente ostile, senza più la dignità di essere umano. C’era chi manteneva la dignità: erano coloro che si ribellavano, – accadeva ogni tanto – ma andavano incontro alla tortura prima e alla morte poi; gli altri prigionieri dovevano assistere alla tortura e alla morte. A volte, quando uscivamo dalle nostre baracche al mattino, trovavamo attaccati al filo spinato, dove passava la corrente ad alta tensione, quelli che avevano cercato così la libertà: con la morte. Ma io avevo 15 anni e non volevo morire. A quell’età si rimane aggrappati alla vita anche per vivere soltanto qualche altro giorno o qualche altra ora e per farlo, nel Lager, ci si piegava a qualsiasi sopruso, senza più dignità. Quando si guardava con occhi supplichevoli l’aguzzino che ti stava versando la brodaglia, con la vana speranza che affondasse un po’ di più il mestolo per ricavarne qualcosa di più solido, significa che non c’era più dignità. L’aguzzino si odia, l’aguzzino non s’implora.

Mio padre, la sera dell’arresto, nel carcere di Regina Coeli a Roma, aveva capito tutto. Quando si accorse che stavo piangendo dopo che mi avevano imposto di lasciare l’impronta dell’indice della mano sinistra, sotto la scheda di ingresso nel carcere, sentì il bisogno di rivolgersi a noi figli con queste parole: “Mi raccomando, siate uomini, non perdete mai la dignità”. Aveva capito papà che perdere la dignità era il rischio più grande.

Provate ad immaginare di perdere da un momento all’altro, tutti insieme, i genitori, il nonno, i fratelli e la sorella, lo zio, molti amici, di non avere più nessuno, neppure i cimiteri dove piangerli; in quel momento anche la fede vacilla o la si perde del tutto e non rimane niente e nessuno a cui aggrapparsi, con cui piangere insieme. Nel cimitero a Roma c’è una tomba: è quella di mia nonna che, per fortuna dico io, è morta pochi giorni prima che venissimo arrestati. Quante sofferenze le furono evitate! Ho fatto mettere sulla sua tomba una lapide con i nomi di tutti i miei cari, assassinati. Porto dei fiori a lei e mi illudo di portarli anche a loro, ma là sotto oltre mia nonna non c’è nessuno. Così resta soltanto la disperazione con cui è necessario imparare a convivere per sopravvivere alla sopravvivenza ed è necessario fingere una normalità che non può esserci. Poi, col tempo, dopo il Lager è iniziata una nuova vita, durante la quale ho avuto gioie e dolori come tutti, ma il peso di quel passato a tratti ritorna ed a volte diventa insopportabile.

La Germania nazista non fu sola nel massacro. Trovò validi alleati in tutta Europa, che prima perseguitarono gli ebrei e poi si dedicarono alla loro caccia per consegnarli alle SS e mandarli a morire nelle camere a gas. Quando la sera del 7 aprile 1944 arrivarono nel nostro rifugio le SS che venivano ad arrestarci, armati come se dovessero partecipare ad una azione di guerra, erano accompagnati da due fascisti italiani, gente come noi, che parlavano la nostra lingua. Ci avevano venduti per il compenso di 5.000 lire che i nazisti pagavano per ogni ebreo consegnato loro e da mandare a morire.

Memoria è ricordare le leggi razziali emanate a partire dal settembre 1938 dal governo italiano fascista di Mussolini, tra l’indifferenza generale, contro una minoranza, gli ebrei, che pure in oltre 20 secoli di storia avevano tanto contribuito alla civiltà e al progresso del nostro Paese. Leggi che toglievano agli ebrei non soltanto il diritto di possedere beni essenziali ma anche quello di esistere. Le leggi razziali furono studiate, come ha scritto Michele Sarfatti, storico del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea, con singolare abilità legislativa e giuridica, per certi versi furono addirittura più efficaci delle analoghe leggi germaniche

Oltre alla proibizione di frequentare le scuole pubbliche, anche non governative recitava la legge, agli ebrei veniva tolto il lavoro: oltre alla cancellazione dagli albi professionali era vietato anche il commercio ambulante che era l’attività prevalente tra gli ebrei di Roma e di Livorno, era vietato commerciare in lane da materassi, materiali ferrosi, divise militari nuove e usate; gli ebrei non potevano vendere carte da giuoco, allevare piccioni viaggiatori; era proibito fare un bagno al mare perché tutte le coste, e quindi tutte le spiagge, erano state dichiarate di importanza strategica e vietate agli ebrei. Non potevamo possedere un apparecchio radio ricevente, che ci venne prima sequestrato e poi confiscato – il ricavato della vendita dei beni degli ebrei doveva servire a risarcire coloro che erano stati danneggiati dai bombardamenti aerei alleati – non potevamo far pubblicare il nostro nome su annuari ed elenchi telefonici, non potevamo pubblicare un libro, un articolo, un trattato scientifico. E questa è soltanto una piccola parte dei provvedimenti presi dal governo fascista contro gli ebrei.

Il 13 dicembre 1938 tutte le leggi sulla razza, fino ad allora proposte, approdarono in Parlamento, a Montecitorio, e furono messe in votazione una per una. Erano presenti 349 deputati e per ogni votazione si ebbe l’unanimità. Poi, tutto il “pacchetto” di leggi concernenti “la difesa della razza” fu messo in votazione a scrutinio segreto ed il risultato fu lo stesso: 349 deputati presenti, 349 votarono si. E alla fine della votazione dicono le cronache parlamentari, tutti i deputati in piedi, al grido di “Duce, Duce”, intonarono l’inno Giovinezza. E al giubilo dei deputati si unì unanime anche il pubblico nelle tribune. Leggi infami, ma ancora più infami furono i deputati che le votarono. Ebbe così iniziò il cammino durato cinque anni che, passo dopo passo, provvedimento dopo provvedimento, legge dopo legge, circolare dopo circolare, avrebbe portato 8.566 italiani di religione ebraica, residenti in Italia e nel Dodecaneso, anch’essi cittadini ebrei italiani, sull’orlo dell’abisso di Auschwitz dove fummo fatti precipitare.

Non racconterò l’orrore; non amo farlo. L’esperienza del sopravvissuto si colloca oltre quello che comprende chi non è stato testimone. Elie Wiesel ha scritto: “Chi non ha vissuto quegli accadimenti non potrà mai conoscerli. E chi li ha vissuti non potrà mai svelarli. Mai fino in fondo”.

Ma c’è un particolare che oggi sento il dovere di raccontarvi perché si tratta di uno sterminio di cui si parla poco e che riguarda una minoranza ancora oggi perseguitata nei loro stessi Paesi. Si tratta dei Rom e Sinti che erano a Auschwitz, nel recinto E, separato dal recinto D dove ero rinchiuso soltanto dal filo spinato dove passava la corrente ad alta tensione. Il campo degli zingari, lo Zigeuner Lager, era un campo diverso da quello dove stavo io. Il nostro era un campo di soli uomini; non c’erano bambini, assassinati, tutti, subito all’arrivo. Nel recinto D la morte era sempre presente. Eravamo vestiti con le divise del lager a righe, e completamente rasati. Dall’altra parte invece era pieno di colori. I Rom avevano conservato i loro abiti, tutti avevano i capelli, sia uomini che donne, c’erano tanti bambini che si rincorrevano, giocavano, gridavano. Avevano lasciato loro anche gli strumenti musicali e la sera spesso li sentivamo suonare e cantare. Certamente avevano fame ma ci sembrava che quella fosse un’ oasi felice anche perché le famiglie erano riunite e poi dove ci sono i bambini c’è futuro, c’è vita.

Tutto accadde nella notte del 2 agosto 1944. Non potemmo vedere perché la notte le baracche rimanevano chiuse per il coprifuoco. Ma sentimmo tutto quello che accadeva dall’altra parte del filo spinato a pochi metri da noi. All’improvviso, preceduto dalle urla delle SS e dall’abbaiare dei cani, ci fu un grande baccano. Le urla dei prigionieri colpiti, il pianto dei bambini svegliati in piena notte; i prigionieri che avevano perso di vista i loro cari li chiamavano a gran voce. Ritengo ci sia stata anche resistenza da parte dei Rom. Poi, dopo forse due ore, all’improvviso, silenzio. La mattina dopo, appena suonata la sveglia alle quattro e mezza, andammo a dare uno sguardo dall’altra parte del filo spinato. Non c’era più nessuno: solo silenzio, un silenzio agghiacciante a paragone delle tante voci, suoni rumori di qualche ora prima. Alcune porte delle baracche lasciate aperte sbattevano con il vento. Ci bastò dare uno sguardo alle ciminiere dei forni crematori per capire che quella notte tutti gli “Zingari” del Lager E erano stati mandati a morire nelle camere a gas di Birkenau. Il giorno dopo quel campo era di nuovo pieno di ebrei, fatti arrivare dall’Ungheria; anche per loro i camini dei forni crematori andarono al massimo della potenza. Dicono gli storici che i Rom e Sinti assassinati nei vari campi di sterminio d’Europa furono circa mezzo milione.

In riferimento ad Auschwitz/Birkenau parlerò della quotidianità. Tutto era orrore, violenza, abbrutimento; ogni momento era quello in cui si poteva morire. Il prigioniero, sradicato e proiettato in un mondo inimmaginabile, era privato di ogni diritto. Migliaia di esseri umani venivano uccisi per gas e ridotti in fumo e cenere nei forni crematori o bruciati in quelle immense, orrende fosse ai margini del campo quando i crematori non furono più sufficienti.

Tutto era finalizzato allo sterminio dei prigionieri ma anche alla loro tortura, alla loro umiliazione, alla loro disumanizzazione. Il prigioniero non poteva avere una famiglia, non poteva avere ricordi – anche il ricordo delle persone care che erano state assassinate si affievoliva per la necessità per sopravvivere di pensare soltanto al momento che si stava vivendo. Di questo non sono mai riuscito a perdonarmi e il ricordo ancora mi angoscia.- Ridotto in stato di schiavitù, senza più nome – l’identità era quella del numero tatuato sull’avambraccio sinistro.- Durante l’appello, i prigionieri venivano contati come “stueke” ovvero pezzi, era negata ogni umanità. Erano alla mercé non soltanto delle SS ma anche dei famigerati Kapò, prigionieri anch’essi, per la gran parte ergastolani, che potevano disporre della vita e della morte dei prigionieri.

Ho raccontato di Auschwitz, della quotidianità e ho detto che la realtà di quel luogo di morte va ben oltre quello che avete ascoltato. Credo che l’incontro di oggi avrà un significato tanto più forte quanto più riuscirà a richiamare l’attenzione e a sollecitare la riflessione sui meccanismi che l’hanno reso possibile. Riusciremo a rispondere all’interrogativo di come le aberrazioni di cui sono stato testimone e vittima si siano potute verificare in un epoca civilizzata? Riusciremo a spiegarci la partecipazione diretta di un numero enorme di cittadini? il consenso di gran parte della popolazione – e non parlo soltanto della Germania – per cui lo sterminio di milioni di esseri umani era diventato solamente un problema di organizzazione? e ancora come fu possibile per tanta gente che pure sapeva di restare indifferente?

La specificità della Shoah non è dovuta alla qualità delle vittime – se si fosse trattato di qualsiasi altro popolo la gravità sarebbe stata la stessa – ma a quella dei carnefici che erano persone del tutto normali, spesso colte e intelligenti; non erano pazzi, non appartenevano ad un popolo barbaro, non erano inferociti da mortificanti condizioni di vita. Appartenevano alla nazione che era stata la più civile e progredita d’Europa, amavano le arti, la musica, la letteratura. Erano persone che non avrebbero mai buttato un pezzo di carta in strada, che amorevolmente addormentavano i figli facendogli recitare le preghiere.

Penso che la memoria della Shoah rievochi il passato per servire il presente ed il futuro. Siamo qui riuniti oggi in questa bellissima assemblea per arricchire reciprocamente noi stessi. Cioè guardarci dentro e capire che gli esseri umani sono, siamo, uguali in dignità e diritti, capaci di solidarietà e nati per essere liberi. Questi valori non sono un dono del Signore ma un prodotto degli uomini; se nel nostro Paese i diritti sono garantiti, se possiamo parlare da uomini liberi è perché siamo saldamente in piedi sulle spalle dei nostri martiri. Su quei martiri è nata la nostra Costituzione, la più avanzata dell’Occidente. Ma attenzione: i diritti non sono una conquista per sempre. Vanno sempre sorvegliati e difesi e questo è un compito che spetta a voi giovani a cui il futuro appartiene. Soltanto così il passato non potrà tornare ed il futuro potrà essere migliore anche del presente. Impegnatevi giovani; fatelo per voi e per gli altri; fatelo per i vostri figli che verranno.

Intervento di Piero Terracina al Mandela Forum di Firenze – 27 gennaio 2010

Piero Terracina è nato il 12 novembre 1928 a Roma, dove tuttora vive ed ha svolto attività di dirigente d'azienda. E' sopravvissuto ad Auschwitz.
 

Commenti

  1. Ariel Paggi

    Sono uno che partecipa ai ricordi della Shoà cui la mia famiglia ha dato un grosso contributo;
    Nella mia vita ho fatto il tecnico alivello anche elevato e cerco di far parlare i fatti:
    questi mi dicono che occorerebbe prima di tutto ricordare inmsieme con gli ebrei i tedeschi che combatterono il nazismo e per i quali furono creati i lager; sono stato con la mia famiglia al confino del Fascismo era una cosa molto diversa dai lager.
    vorrei anche che si sottolineasse come nel dopo geurra gli ebrei furono discriminati nel processo di riparazione e che lo stato italiano condannò chi ucciase i partigiani che pure erano nemici e non chi gestìm e diresse i campi di concentramento in Italia che furono considerati legittimi; chi gestì tali campi continuò la sua attività entro lo stato Italiano.
    Ariel Paggi

  2. – GIORNATA DELLA MEMORIA: IL 27 GENNAIO E…
    OGNI ALTRO GIORNO!
    È possibile ottenere, gratis e legalmente, i capitoli con la descrizione di testimonianze relative alle tante assurde atrocità compiute in modi efferati dai nazisti nei campi di concentramento e di stermìnio. Si tratta di interviste esclusive, da me raccolte personalmente in tempi diversi.
    Il file tuttilibri può essere scaricato cliccando su uno dei seguenti link: http://www.tommasomazzoni.it oppure http://www.tommasomazzoni.eu
    I titoli dei capitoli sono i seguenti:
    ARBEIT MACHT FREI (5022)
    IN AMARITUDINE (9087)
    IN AMARITUDINE – CAPITOLO 2° (9087bis).
    A chi cortesemente mi ospita – che ringrazio per la generosa e da me assai gradita accoglienza – e a tutti i frequentatori di queste importanti Pagine desidero porgere il mio amichevole e cordiale saluto.
    Tommaso Mazzoni – thi5htm@alice.it

  3. piero deola

    …. lo sterminio perpetrato nei lager nazisti di 11.000.000 di esseri umani di cui 6.000.000 ebrei.

    Non è possibile consentire la pubblicazione di tali menzogne storiche da simulatori e profittatori orientati solamente all’illegale sottrazione di soldi ai creduloni.

  4. Desidero ringraziare, utilizzando nuovamente questo prezioso spazio, tutti coloro che, a seguito dell’inserzione postata qui sopra, hanno voluto gentilmente mandarmi una comunicazione di qualsivoglia contenuto tramite e-mail. Va bene comunque, poiché ciascuna notizia mi è molto utile per completare o comunque integrare il quadro delle assurde atrocità di cui ho parlato nei capitoli dei miei libri. Atrocità così pazzesche, come ormai tutti purtroppo sappiamo, da poterle contenere in una sola possibile parola: barbarie.
    A tutti coloro che mi hanno mandato notizie e suggerimenti, il mio rinnovato ringraziamento, accompagnato dal mio saluto amichevole e cordiale. Tommaso Mazzoni – thi5htm@alice.it

  5. Lorenzo

    Grande commovente intervento, di un martire, esempio di forza e di dignità umana.La sua testimonianza resterà sempre.

  6. Chi non crede a testimonianze dirette come queste, o ne fa una speciosa questione di numeri, ha ricevuto in sè l’eredità diabolica delle SS..

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