Paolo COLLO – 25 aprile: 65 anni dopo la Liberazione, sopportiamo una dittatura casereccia (implacabilmente ad personam)
21-04-2010E anche quest’anno ecco il 25 aprile, festa della Liberazione. Una data che dovrebbe servire a ricordarci migliaia di persone che hanno sofferto e che hanno dato la loro vita per permetterci, adesso, di godere di quella libertà per cui “loro” hanno combattuto, contro i nazisti e contro i fascisti di Salò. Sessantacinque anni dopo la Liberazione ci troviamo in mano una ben strana libertà. Ed è probabile che abbiano ragione i vari Travaglio, Di Pietro, Santoro, Vauro & C.
Perché stiamo forse vivendo sotto una strana – tutta italiana, molto originale, casereccia – forma di dittatura. Un momento. Non una dittatura “classica”, ma una dittatura che ha modificato coscienze e comportamenti.
Perché quanto a libertà – parola che la dittatura classica cancella per prima – ce la caviamo ancora benino: possiamo andare all’estero col nostro bravo passaporto; possiamo iscrivere i figli alla scuola che vogliamo (soldi permettendo); possiamo professare la religione che più ci aggrada; andare a votare; comprare libri e giornali; vedere la tivù (bè, qui ci sarebbe da dire qualcosa…); navigare su internet; eccetera.
Non dobbiamo stare a sentire per quattordici ore filate i deliranti quanto inutili e ripetitivi discorsi di Fidel; i nostri figli non sono costretti a imparare a memoria le mirabili poesie del compagno Breznev; né studiare sui libri di testo scritti dalla signora Elena Petrescu in Ceausescu; né, assistere alle parate militari di macellai alla Videla, Pinochet e via dicendo.
No. La nostra è una dittaturella, che però ha convinto (o costretto, per interesse personale) centinaia di persone grandicelle e istruite a diventare dei “signorsì”. O dei “quaquaraquà”, come avrebbe detto Totò. Il Capo utilizza un palazzo patrimonio dello Stato per andare a mignotte? Va bene. Usa aerei dell’esercito per portare i suoi amici in vacanza? Benissimo. Si fa incatramare la capoccia, si mette le scarpe col tacco nascosto e usa più cerone di Moira Orfei? Niente da ridire. Scrive e canta orrende canzonette? Nemmeno una critica piccola piccola.
Decide di far cantare ad attempati e potenti ministri, sindaci, governatori, deputati l’improponibile e patetica “Per fortuna che Silvio c’è”? E che sarà mai.
Tutti a dirgli di sì, a difenderlo qualsiasi cosa faccia, a sparare contro chiunque provi solo a fare una critica. Un consiglio (o “coniglio”) dei ministri più efficiente del suo squadrone di guardie del corpo. Non uno (a parte Fini) che osi non dico criticare, almeno dissentire, scuotere impercettibilmente il capino da destra a sinistra, fare “musetto” quando gli sente sparare cazzate fuori luogo e fuori misura, non ridere a una sua volgarità contro donne, ebrei, gay, partigiani, ecc., o a una barzelletta già sentita tremila volte…
In un brillante passaggio del “Diciotto Brumaio di Louis Bonaparte”, Marx definiva il cretinismo di certi parlamenti “una malattia che imprigiona coloro che ne sono contagiati quindi perduti in un mondo immaginario, privati della ragione, della memoria e di ogni contatto col mondo che si agita dietro le porte del loro servilismo considerato privilegio”. Tornando ai nostri giorni, potremmo tranquillamente fare nostre le parole di Roy, il replicante di Blade Runner: “I miei occhi hanno visto cose…”
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.