Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni e sono un pastore sardo. Allevatore ovi-caprino per l’esattezza. Vivo a Mara con la mia famiglia, una moglie bellissima e tre figli, uno più vivace e disgraziato dell’altro. Ho un gregge di 35 pecore e ogni mattina mi sveglio alle cinque per pascolarle e sistemare l’ovile. La sera rientro tardi, in questo periodo, d’inverno, la luce ci abbandona prima e devo fare tutto di fretta, ma prima delle sette e mezza non metto piede in soggiorno. Il mio lavoro, comunque non mi abbandona mai, che sia domenica o che sia Natale o Capodanno, le bestie devono mangiare. Francamente la cosa non mi dispiace, rispetto i miei animali, mi permettono di sopravvivere e in qualche modo di tirare avanti. Spesso mi porto i miei figli, anche se il lavoro che faccio, a loro, poco interessa. Studiano tutti e il più grande fa medicina veterinaria a Roma, non lo vedo che saranno passati ormai tre mesi. Il medio è appena ventenne, dice che vuol fare il filosofo, spero si guadagni bene a fare il filosofo, per ora so solo che quando non legge o studia certi manuali, mattoni in carta, lo trovo davanti alla televisione che gioca alla playstation.
Amo la mia famiglia. Li vedo pochissimo, tutti, moglie compresa. Mia moglie mi adora, nonostante tutto. Nonostante a volte io puzzi in maniera insopportabile. Nonostante non ci sia mai, nonostante spesso sia costretto ad alzare la voce perché non capisco né lei, né i miei figli. Nonostante non mi accorga quando si tagli i capelli per apparire più soave di quanto già sia. Nonostante non apprezzi i vestiti che si compri per apparire più elegante di quanto già sia. Ah! Che ne so io di vestiti? di capelli? conosco appena appena la lana che toso alle mie belve.
Amo la mia famiglia e non sopporto l’idea che non possa vivere nella dignità di una famiglia normale. Lavoro dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno affinché mia moglie non debba vergognarsi di uscire di casa perché non ha un abito che le piace e affinché i miei figli possano studiare e vivere il loro tempo e i loro divertimenti in totale serenità.
Che cosa ho io in meno di un impiegato di banca, di un direttore di banca? Il direttore di banca produce forse latte da bere, formaggio da mangiare? il direttore di banca produce debiti eppure la comunità lo apprezza più di quanto apprezzi me che mi preoccupo di sfamarla. Il mercato del latte è diventato impossibile, 25 anni fa un litro di latte ce lo pagavano 1.320 lire. Oggi ci danno appena 55/60 centesimi, l’equivalente di 1.100 lire. In 25 anni quanto è aumentato il costo della vita? si è almeno triplicato, e il valore che danno al nostro lavoro è diventato un quarto, è qualcosa di raccapricciante. E poi ci chiedono di collaborare, di avere fiducia nel futuro. Ma quale futuro? Quello che non riusciamo a dare neppure a chi abbiamo concepito? Già, perché se continua così io sarò costretto a far rientrare mio figlio da Roma, sarò costretto a interrompere i suoi studi.
Lavoro dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno e se non accetto quel prezzo imposto dai grandi acquirenti (quelli che poi, magari vanno in Romania a trasformare, a quattro soldi di salari, e ci ricaricano il 500%) e dalla fantasmagorica Unione Europea, posso anche morire di fame. Ma la vita di un uomo si misura in qualcosa di più di un pezzo di pane.
Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni, quattro bocche da sfamare, 35 pecore da pascolare, e nonostante tutto mi sono svegliato alle 4 per venire ad un sit in davanti alla Regione Sardegna. Non disprezzo chi mi governa, voglio solo che rispettino la costituzione e i diritti al lavoro e ad una vita dignitosa. Chiedo solo quello e lo faccio pacificamente. A gran voce, ma pacificamente. Ogni tanto sento i miei figli che mi dicono di stare attento. Chiedo a Luca, il più piccolo, com’è andata al liceo. Poi sento Dario, gli dico di guardare le news e di lasciar perdere i videogiochi, ma so che non lo farà. Luigi non lo sento, è in laboratorio tutto il giorno, lo chiamerò stanotte penso. Ma stanotte è già arrivata. Dal lato destro del corteo qualcuno che non conosco, qualcuno che non riconosco, ha lanciato una bottiglia contro una vetrata. Chi è? continuo a chiedermi impaziente, chi è?
Ma non ho il tempo di rispondere. In preda allo stress, al nervoso, alla stanchezza, attaccano anche i miei amici e colleghi. Bottiglie, una, due, tre, finché non si sentono gli scarponi degli sbirri marciare verso di noi. E poi uno sparo, un altro, sono lacrimogeni. Qualcuno è ad altezza uomo. Mi guardo intorno, guardo chi è con noi per capire come finirà. Nessun politico. Siamo spacciati. Non c’è neppure Irs, qualche sparuta presenza di Sardigna Natzione. La marcia si fa più fitta e i manganelli si alzano.
Io mi chiamo Andrea, ho 55 anni, sono un pastore sardo. Ho una moglie e tre figli da sfamare, 35 pecore da pascolare, lavoro dodici ore al giorno, 365 giorni all’anno e ho un braccio spezzato. Sento le sirene dei carabinieri che hanno arrestato altri 14 padri di famiglia. Sento le sirene dell’ambulanza che mi sta portando via. Mentre mi caricano in lettiga, sento anche un ragazzo in divisa ridere e dire che lui ha colpito dove capitava, che problemi non se n’era posti, che aveva anche calpestato con gusto una donna inciampata mentre scappava.
Lo guardo senza odio. Sorrido pensando che ha l’età di mio figlio, l’età di Dario. Dovresti essere a giocare alla playstation, penso. Ma forse, in fondo, tu credi che sia la stessa cosa.
(Attenzione: questo è un racconto fantastico. Raccoglie le testimonianze di una notte passata a parlare con i pastori del sit in davanti alla Regione Sardegna, in un unico personaggio immaginario)
Gaetano Luca Filice (Monza, 12 maggio 1979), laureato in letteratura, musica e spettacolo alla Sapienza di Roma, è scrittore e giornalista. Dal 2006 vive stabilmente in Sardegna. Fra i suoi libri: "Webbe Grillo", "Cicche BeH" e "40 notti e la ballata del giorno nuovo". Il suo primo romanzo si intitola "Qui non si può fare". Il suo blog è http://gaetanolucafilice.blogspot.com/.