Sta scritto, dal 1776, nelle prime righe della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti d’America, dei quaccheri, puritani e calvinisti bianchi, che tutti gli uomini sono creati uguali e dotati di certi diritti inalienabili, come la vita, la libertà, la ricerca della felicità. Evidentemente, già due secoli e mezzo fa, anche in America, c’erano uomini più uguali e che godevano di diritti negati ad altri; ne erano esclusi i neri e i nativi.
A dimostrazione di ciò, il 29 dicembre del 1890, uno squadrone del famigerato 7° Cavalleria, quello di Custer, quello che aveva perpetrato le eroiche stragi di nativi americani a Sand Creek ed a Washita, chiuse l’abominevole serie di plurisecolari genocidi ed etnocidi di popolazioni indigene negli USA, massacrando centinaia di uomini, donne, vecchi e bambini, a Wounded Knee. Fu l’ultimo atto esecrando portato a termine da una banda di criminali, sbandati, delinquenti ed ubriaconi, il peggior reparto dell’esercito statunitense. Quello che, come inno del reggimento, suonava e cantava il “Garry Owen”, che citava:
Siamo l’orgoglio dell’esercito ed un reggimento di grande fama. Il nostro nome è inciso nelle pagine della Storia, dal ’66 in poi. Se pensate che possiamo esitare ed essere fermati, mentre si va a combattere, guardate bene il nostro passo e le nostre teste alte, quando la banda suona il Garry Owen!
E difatti, con impavido coraggio, sommo sprezzo del pericolo ed alto senso del dovere, questi sterminatori di un gruppo di poveracci semicongelati, affamati, assetati, coperti di stracci, aprì il fuoco, senza alcun motivo plausibile, contro poche centinaia di nativi; per essere certi che nessun colpo fosse sprecato inutilmente, usarono dei cannoncini a ripetizione Hotchkiss da 37 mm, roba da spezzare in due un corpo umano, ad ogni impatto. Evidentemente ai coraggiosi soldati blu, specializzati in operazioni di pulizia etnica, anticipatori degli Einsatzgruppen nazisti in Polonia, prudevano le mani, in un irrefrenabile pulsione di vendetta per la sconfitta subita, 14 anni prima, a Little Big Horn. Spararono talmente all’impazzata ed in modo così sconsiderato che accopparono persino 25 dei loro, secondo la regola del “fuoco amico”, cui sono abituati i soldatini USA.
Alla fine del massacro, i feriti vennero portati in una chiesuola, lì vicino, addobbata per le festa natalizie; fuori spiccava una scritta: “Pace in terra agli uomini di buona volontà”, validissima per l’impegno con cui la banda di assassini in divisa aveva volonterosamente ammazzato 230 donne e bambini e 120 uomini di varia età, ma soprattutto vecchi. Costoro, siccome il terreno era gelato e duro come una roccia, non furono seppelliti subito; lasciati irrigiditi in pose ridicole ed oscene, dal capotribù in giù, vennero seppelliti in una fossa comune solo in primavera.
In compenso, nel 1924, finalmente, gli amministratori USA, anche se a malincuore, concessero a quei rompiscatole dei loro discendenti la cittadinanza americana, a loro, che ivi abitavano migliaia di anni prima dell’arrivo dei coloni europei e, udite! udite!, nel 1980 i Sioux Dakota ricevettero, per la perdita delle Black Hills, le loro montagne sacre, profanate e sventrate dai cercatori d’oro bianchi, ben 100 milioni di dollari,quale tardivo risarcimento dei danni. Meglio tardi che mai! Invece, subito dopo l’onorevole impresa, gli ufficiali del 7° ricevettero ben 25 medaglie al valor militare. E rimane comunque ancora in vigore, nello Stato del Montana, una legge per cui, ancor oggi, sarebbe legittimo far fuoco, come difesa preventiva, contro un gruppo di indiani superiore ai sette individui.
A Wounded Knee, me lo ricordo bene, numerosi nativi, esasperati, nel febbraio del 1973, si riunirono per protesta contro la pessima amministrazione degli USA nei loro confronti, facendo a pezzi i passaporti e dichiarando di non sentirsi affatto cittadini americani, dopo che diecine di trattati tra le loro tribù ed il governo centrale erano stati vilmente disattesi e traditi. Apriti cielo! Furono circondati da migliaia di soldati armati fino ai denti, con tiratori scelti, carri armati, elicotteri; ci furono alcuni morti e poi i poveri nativi, ancora una volta, dovettero arrendersi, consapevoli, se non altro, di aver acceso, sul loro caso disperato, l’attenzione del mondo intiero, ad ulteriore onta e vergogna dei signori di Oh, my God e di In God we trust.
Giustamente, sul cartello verde, piantato nella zona in cui avvenne il terribile eccidio, qualcuno sostituì la scritta di Battle of Wounded Knee con quella di Massacre of Wounded Knee. I discendenti WASP di quei coraggiosi, che cannoneggiarono un gruppo di poveracci indifesi, stanno comunque riscattando il loro onore, ripetendo le stesse, identiche e medesime imprese, prima in Vietnam, ora in Iraq ed in Afghanistan, anche se con mezzi e e metodi più sofisticati. Ma loro sono più eguali e godono di maggiori diritti degli altri.
Franco Bifani ha insegnato Lettere in istituti medi e superiori dal 1968 al 2003. Da quando è in pensione si dedica essenzialmente alle sue passioni: la scrittura, la psicologia e il cinema.