“Riuscire a operare in questo scenario (le trasformazioni tecnologiche, sociali, organizzative, ma anche l’esperienza soggettiva del cambiamento) è la sfida con cui dovrebbero confrontarsi in primo luogo quelli che hanno il compito di elaborare e comunicare informazioni e saperi: intellettuali, opinionisti, gente dei media, e certo chi ha ruoli di responsabilità pubbliche. Ma ci riguarda tutti.”
Sono molto affezionata al libro di Laura Balbo, “Il lavoro e la cura”, da cui è tratta questa citazione, per l’analisi che compie sul rapporto tra nuova società e cultura del lavoro. Per imparare a cambiare (questo il sottotitolo), bisogna mettersi in gioco, dis-abituarsi, moltiplicare i punti di vista, assumerci le nostre responsabilità. E questo riguarda soprattutto chi ha il compito di elaborare, comunicare, trasmettere informazioni e saperi. Impresa sempre più ardua in un presente in cui come scrive Slavoj ŽiŽek “il dire stronzate si estende a macchia d’olio”.
Le parole di Laura Balbo le ritrovo con piacere nel bel libro sulla critica teatrale “Questo fantasma. Il critico a teatro” curato da Andrea Porcheddu, insieme a Roberta Ferraresi, per Titivillus Editore. Già il solo parlare di critica teatrale oggi sembra un atto eroico, un gesto coraggioso e controcorrente, una lotta (da aggiungere a tutte le altre) in difesa del pensiero critico, qualunque esso sia.
“Questo fantasma” in realtà è molto di più di un ‘manualetto’ di critica teatrale come umilmente ci vuol far credere l’autore nell’introduzione: è prima di tutto una dichiarazione d’amore, testarda e ostinata, per il teatro e per un’esercizio intellettuale (ma vorrei anche dire per una professione! dato non scontato in una realtà italiana che ancora fatica a considerare gli intellettuali e gli artisti come lavoratori a tutti gli effetti) che combatte per difendere i suoi (pochi) spazi a disposizione.
Strutturato come una ricognizione ‘affettiva’ della scena italiana (il teatro che si è amato) e il tentativo di riflettere sullo stato e sul futuro della nostra critica, gli autori ripercorrono in modo libero le teorie critiche del Novecento applicate alla nostra scena e critica quotidiana. In questi ultimi anni abbiamo assistito ad una riduzione di tutti gli spazi ad essa dedicati; in quei pochi rimasti la scrittura si è fatta sempre più contratta e frettolosa, scegliendo la forma di recensioni ‘bonsai’ (a volte anche un pò indecifrabili nella formulazione del giudizio critico), di pensieri pseudo futuristi correlati di stellette o pallini, di faccine tristi o sorridenti per esprimere il giudizio e ridurre il tempo di lettura a disposizione.
In realtà di critica teatrale si sta tornando a parlare, sia con il proliferare di iniziative di incontro e confronto ritrovato tra artisti e critici sia grazie all’avvento dei nuovi strumenti di comunicazione. Nel web ad esempio si respira un’aria diversa, nascono nuove scritture, nuove sfide, nuove figure (a volte preferiscono definirsi cronisti piuttosto che critici), che cercano di non soccombere nell’universo dell’idiozia e di ottenere, con fatica, un proprio riconoscimento professionale (ed economico).
Insomma, in un momento in cui si è costretti a ricominciare da zero, a ridefinirsi, a ripartire, anche la critica si ribella alla sua morte annunciata e, anche grazie al libro di Andrea Porcheddu e Roberta Ferraresi, si sta reinventando e ritrovando una nuova funzione, sta cercando di costruire un’alternativa alla ‘vecchia critica’ e di ridefinirsi sia rispetto al tempo che stiamo vivendo, sia rispetto all’autoreferenzialità tipica teatrale. “Bisogna abbandonare i gerghi e tornare a saper mostrare l’inesauribile ricchezza della lettura”, scrive Mario Lavagetto, a proposito di critica letteraria in “Eutanasia della critica”, mostrando il suo sguardo desolato alle macerie della critica.
In una società in cui tutto è basato sul consenso, sulla semplificazione e sull’abbassamento di linguaggi e significati, il lavoro critico è più importante di quello che potrebbe sembrare agli occhi dei più: affondando nella memoria, compie un’azione di scavo, di scoperta, di elaborazione, illumina, testimonia, porta a galla. Insomma, una bella responsabilità per gli artisti, per i lettori, per coloro che verranno! Per questo, la scrittura critica ha bisogno da una parte di competenze, dall’altra di cura, di sguardi aperti e curiosi.
Se come scrive Michael Walzer “l’attività critica è propriamente opera di uomini e donne attenti e impegnati, che si muovono all’interno della società di cui mettono in discussione le politiche e le pratiche e che hanno a cuore quanto ad essa accade”, ecco il legame forte tra teatro e politica.
A tal proposito, molto interessante è l’ultima parte del libro rivolta proprio al teatro politico: il teatro è luogo sociale, del pensiero, del politico, dell’incontro, ma anche luogo di critica al politico.
Ecco allora, per ritornare alla citazione di Laura Balbo, che il concetto di critica ha a che fare con le nostre responsabilità perché è prima di tutto un discorso di attenzione e cura. Un modo per allargare lo sguardo, per leggere la complessità e le sfumature, per uscire dal pericolo di qualsiasi pensiero unico. Per alzare il livello e non accontentarsi di ciò che non ci piace.
È nata a Parma il 15 dicembre 1971, città nella quale tutt'ora vive. Lavora da ormai numerosi anni in ambito culturale, occupandosi prevalentemente di comunicazione e organizzazione presso istituzioni e festival teatrali nazionali.