Ho ancora impresse nella memoria le dichiarazioni fatte nei giorni scorsi durante la trasmissione di Gad Lerner da parte di alcune deputate e/o senatrici del Pdl. Alla base di queste dichiarazioni, mille volte ripetute, c’è un indecoroso oblio che le falsa tutte. Quante volte si dovrà mai ricordare, a questi difensori dell’indifendibile, che a parlare per prima di “uomo malato”, di frequentatore di “minorenni”, di giovani “offerte al drago”, di “ciarpame politico” è stata Veronica Lario, la moglie di Berlusconi, e non i magistrati o i giornalisti?
E non sono venute poi, a confermare la verità di quelle affermazioni, le accorate parole della figlia Barbara che, pur nel ritegno e nella sobrietà, avevano fatto capire quanto condividesse il giudizio della madre? Ma ciò che più disgusta non sono tanto questi premeditati oblii quanto due controverità accreditate o per interesse o per pigrizia mentale. Prendiamo, ad esempio, la convinzione, espressa da tutte le intervistate, secondo la quale le giovani frequentatrici delle ville berlusconiane erano e sono perfettamente in grado di valutare e quindi di decidere i loro atti.
Certo, non c’è nessuno che le convinca con la forza a fare ciò che non vogliono fare, ma non c’è bisogno di essere un conclamato strizzacervelli per capire che ci sono altri mezzi di coercizione, soprattutto quando si hanno di fronte giovani schiacciati dalle necessità materiali oppure giovani cui sono stato offerti come unico modello di comportamento l’etica dell’apparire e come unico obbiettivo il successo ad ogni costo. Tanto più se a far scintillare davanti ai loro occhi il brillio del denaro, del lusso, del facile successo ci sono subdoli lenoni, dotati di qualche potere, che hanno fatto delle “offerte al drago” uno stile e una ragione di vita.
Ma l’infamia peggiore di tutte si ha quando si afferma (ed è penoso sentir parlare così una donna) che il “drago” non sforza nessuna nel proprio letto, che è anzi un generoso e che comunque ha il diritto di trascorrere nel chiuso nella sua dimora alcune ore di svago in compagnia di quella che Iva Zanicchi ha chiamato (senza cadere stecchita sopraffatta dalla vergogna) “carne fresca”. Basti, per mettere a nudo la bassezza di questa giustificazione, immaginare che una delle nostre figlie segua i corsi di un professore il quale, aiutato da scagnozzi più o meno mandrilli, se la spassi, nel chiuso e nell’intimità della sua casa, in compagnia di giovanette coetanee di questa nostra figlia. Con quale ardire, con quale autorevolezza potrà costui, l’indomani, tornato a scuola, sfatto nel viso e vinto dal sonno, parlare alle sue allieve, di quei valori che sostanziano l’umano? E non sarà forse un dovere imprescindibile, da parte del genitore, denunciare agli occhi della figlia il giovanilismo ebete di questo professore, l’insulsaggine delle sue lepidezze, il pericolo delle sue lusinghe, l’indecenza delle sue promesse di facili promozioni, il vuoto della sua anima?
Gino Spadon vive a Venezia. Ha insegnato Letteratura francese a Ca' Foscari.