Impazziscono i blog: le donne delle piazze della domenica si danno appuntamento a Milano il 6 aprile quando si apre il processo
Nelle mani di cinque magistrati donna il Cavaliere che paga le donne
15-02-2011
di
Giada Oliva
Cinque donne decidono il destino del Cavaliere che accarezzava le donne. Non è un maschio patriarcale con le ossessioni del «malato che frequenta minorenni», parole della moglie Veronica Lario prima di annunciare il divorzio. Non lo è, perché il machismo dei patriarchi assegnava alle donne il ruolo sussidiario di presenze senza diritti riconoscendo, però, uno spazio indefinito nelle pieghe della tenerezza. Nei racconti delle ragazze di Arcore (chiamiamole così) o di palazzo Grazioli, o del castello attorno a Roma, ogni donna è solo un corpo da esplorare col telecomando. «Avanti un’altra», confessioni di una vestale. E le donne diventano manichini da scaricare come cadaveri appena l’esplorazione è finita.
Adesso cinque donne hanno messo il naso nell’harem e si preparano a giudicare i peccati del paperone che comprava l’amore. In una solitudine terribile Cristina De Censo ha sfogliato prove e documenti raccolti dal pubblico ministero Ilda Bocassini e non ha tremato nel decidere pur immersa nei frastuoni, insulti, minacce, evviva di un’Italia divisa tra l’isteria dei cortigiani e le folle arrabbiate sotto il palazzo. Il silenzio ha accompagnato i giorni nei quali è maturata la sentenza che il 6 aprile porta in tribunale il capo del governo. A chi avrà confidato dubbi e certezze? Una signora di mezza età sola nel guado più complicato della vita con la dignità di chi amministra la giustizia, solo la giustizia. Nessuno sapeva chi era fino a qualche giorno fa. E nessuno potrà raccoglierne le parole nei prossimi giorni. Apparsa e scomparsa. E’ il profilo «catastrofico» dei magistrati che l’Italia azzurro-verde non sopporta.
Mentre scrivo impazziscono i blog: messaggi di cento e cento donne, le stesse – immagino – che hanno animato le piazze allegre di una domenica diversa. Danno appuntamento a Milano per quel 6 aprile che apre e forse chiude la pagina più malinconica dei 150 anni della nostra storia. Saranno ancora le donne a decidere colpevolezza o innocenza del sultano. Carmen d’Elia ha indossato la toga quand’era una ragazza, quel 1991, Cavaliere che cominciava a pensare alla politica mentre il grande protettore Craxi si infastidiva per le voci che lo assediavano. Il giudice D’Elia incontra subito gli uomini della corte berlusconiana. Condanna a cinque anni di galera l’avvocato Cesare Previti amico e ministro nel Berlusconi Uno: corruzione di magistrati, scandalo Sme. La prescrizione salva il Cavaliere considerato mandante del «delitto». Giulia Turri presiederà la corte. E’ vero che i girotondi berlusconiani avvolgono le notti italiane, ma il caso vuole sia stata proprio la signora Turri a condannare Fabrizio Corona: tra le foto ricatto, l’abbandono sentimentale di Barbara, Berlusconi-figlia, storia pulita con abito bianco e bambini in arrivo. Nei testimoni spunta Lele Mora, ministro delle notti di Arcore con un piede sulla porta del tribunale: Ruby è un suo prodotto. Giulia Turri ha anche accompagnato il primo inciampo di un uomo del Cavaliere, l’oggi onorevole Massimo Maria Berruti, capitano della Guardia di Finanza. Nel 1979 le sue Fiamme Gialle sfogliano i registri Fininvest-Mediaset, qualche pagina nera, ma poi Berruti va a trovare Berlusconi e tutto si aggiusta. Fino a un certo punto, perché un anno dopo viene arrestato con l’accusa di aver depistato le indagini: museruola ai finanzieri anche loro in galera, occhi addomesticati sulle divagazioni Fininvest. Condanna a 10 mesi; diventano 8 nella sentenza definitiva. Ma non si preoccupa. Berlusconi gli dà un posto: commercialista impegnato nelle società estere che sfiorano i paradisi fiscali. Per evitar chissà quali fantasmi finisce in Parlamento ed è ancora li, magra conclusione del processo della signora Turri . Orsola de Crisfofaro è la quinta toga rosa, quel rosa craxiano che il Cavaliere adorava sta diventando l’incubo della vecchiaia del nostro scontento. Il quale arriverà in tribunale (se mai arriverà) con i suoi avvocati maschi e onorevoli. Derby da vedere.
Giada Oliva, giornalista, si è occupata a lungo di Paesi in via di sviluppo e di cooperazione internazionale. Attualmente lavora nell'ambito della comunicazione politica e continua a seguire ciò che accade dall'altra parte del pianeta.