La storia è questa. C’è un investigatore privato di Venezia, si chiama Tommaso e fa questo mestiere da una dozzina d’anni. Come per tanti suoi colleghi, anche per lui i casi di corna e di sospetti familiari vari sono quelli più diffusi, ma ogni tanto inciampa in qualche vicenda strana. E davvero strana era quella portata nel suo ufficio un paio d’anni fa.
Inizia così. “Dopo aver ricevuto una telefonata”, racconta Tommaso, “fisso un appuntamento a un potenziale nuovo cliente che dice di non voler anticipare l’argomento della sua esigenza. Un mercoledì pomeriggio d’autunno, intorno alle 15, eccolo che entra e già dall’aspetto ne rimango colpito”.
L’uomo sembra decisamente benestante. Anzi, il suo abbigliamento ha i tratti un po’ vetusti di qualcuno che vuole conservare, avendone diritto o meno, un blasone nobiliare. Oltre a un cappello a falde larghe, lo testimoniano due dettagli: una sciarpa di un qualche tessuto che sembra seta e un simbolo, ricamato sia sul bordo che sul taschino del soprabito, che richiama uno stemma di famiglia.
“È antico?” chiede Tommaso.
“Abbastanza. Ma non sono qui per spiegarle l’origine di questo simbolo né per parlarle di me”, ribatte lo sconosciuto.
L’investigatore privato rimane interdetto per la risposta tagliente. Ma decide di andare oltre e allora si sente porre una questione che davvero non si sarebbe aspettato. “Voglio fondare un nuovo Stato, indipendente, che non abbia più niente a che fare con l’Italia né con nessun’altra nazionale esistente”.
“Scusi? Mi sta prendendo in giro?”
“Nient’affatto. È un’intenzione seria”.
“E io come potrei aiutarla in questa sua velleità?”
“Affiancandomi con le verifiche del caso”.
Tommaso pensa che l’unica ribattuta possibile sia una risata ed è tentato di fare quello che, fino a quel momento, non ha mai osato: mandare a quel paese il suo interlocutore. Ma qualcosa, oltre alla prospettiva – già di per sé potente – di emettere una parcella, lo trattiene. Forse contribuisce il fascino di un Principato di Sealand novello. Allora correvano gli anni della seconda guerra mondiale e al largo di Suffolk, contea orientale della Gran Bretagna, si tentò – senza che mai venisse riconosciuta ufficialmente – di fondare una micronazione. Oppure con l’Isola delle Rose, vissuta dal 1 maggio al 25 giugno 1968, una dozzina di chilometri al largo delle coste romagnole, latitudine di Rimini.
“È proprio questo il modello a cui mi richiamo”, afferma il visitatore. E si riferisce appunto a quell’esperimento messo in piedi da un ingegnere emiliano-romagnolo, un ex della Rsi, che con altri sei professionisti (qualcuno veniva da Roma e qualcun altro da altre zone) aveva ficcato nel fondale adriatico pali per 400 metri quadrati. Moneta, bandiera e francobolli c’erano, così come i progetti di espansione. Ma poi si erano messi di mezzo militari e forze dell’ordine e poi ancora le mine piazzate sui pilastri e nel giro di qualche settimana tutto era colato a picco.
“Ma perché vuole fare una cosa del genere?”
“Perché non ne posso più di questo Stato, dell’Italia”.
“Per via della corruzione e delle sperequazioni sociali?”
“No, no, per via delle tasse. Sono stanco di pagarle. Voglio decidere io cosa fare con quel denaro”.
“Votare per la Lega Nord?”
“Non basta, questi non raggiungeranno mai un risultato che sia uno”.
“Dunque lei vuole fondare uno Stato nuovo per non pagare le tasse, se ho capito bene”.
“Esattamente”.
Tommaso a quel punto congeda in via tombale il suo interlocutore. Di quel caso non vuole occuparsi e le verifiche se le faccia da solo, il presunto aristocratico che gli siede di fronte. Ma una curiosità gli è rimasta: è mai possibile fondare una nuova nazionale, sulla scia delle piattaforme in mezzo ai vari oceani su cui sono insediate infrastrutture tecnologiche che tengono in piedi un pezzetto delle telecomunicazioni mondiali?
E allora si imbatte nella convenzione di Montevideo, approvata il 26 dicembre 1933, in base alla quale servono una popolazione residente stabilmente su un territorio definito, avere un governo e tessere relazioni diplomatiche con altre nazioni. A Tommaso sembra la facciano troppo facile che i signori riuniti in Uruguay nell’anno in cui in Germania si organizza il primo boicottaggio alle attività economiche degli cittadini di religione ebraica. E che creare un nuovo Stato sia fuori dalla portata della maggior parte delle persone. Però, forse, un giorno – e per motivi un po’ più etici di quelli accampati dallo sfumato cliente dell’investigatore veneziano – chissà che non ci torni sopra. E ci provi.
Giaime Garzia, politologo di formazione, è un giornalista e un critico letterario. Ha collaborato con varie testate nazionali.