Lampedusa, punta estrema dell’Europa che si protende verso sud, è da sempre stata un crocevia di persone razze e colori, sempre diversi.
Un luogo di passaggio che, fin dalla notte dei tempi, ha unito l’Europa alla terra d’Africa.
Quando la ricchezza proveniva dalle coste settentrionali del continente africano era da qui che ori, tessuti preziosi e incensi dovevano far tappa prima di raggiungere stabilmente il nostro continente.
Ora che quella terra è stata depredata, saccheggiata, avvilita e resa sterile, è sempre da qui che la gente – con un flusso inverso – si trova a passare per cercare rifugio. Chi dalle guerre, chi da un futuro di miseria e povertà.
Comunque sia Lampedusa ha sempre accolto chi attraccava alle sue coste. 20 km quadrati di roccia, arsa dal sole e battuta dal vento, che si è sempre aperta a chi l’avvicinasse.
Così è stato fino a che la politica e l’economia non hanno avuto il sopravvento sul senso di fratellanza tra uomini che vigeva silenziosa in questi luoghi. L’accoglienza qui è sempre stata una regola fino a quando gente venuta da fuori, priva di quell’antica saggezza che insegna che chiunque arriva aggiunge e non toglie qualche cosa, ha deciso il contrario. Eppure nonostante questo piano, anche contro tutti i pronostici, Lampedusa e i suoi abitanti sono rimasti accoglienti.
E’ questo spirito di apertura che, paradossalmente, ha causato il disastro a cui siamo stati costretti ad assistere, piegando la testa per la vergogna, questa primavera; quando gente disperata arrivava e le mani che si aprivano per accoglierli degnamente, come esseri umani, non bastavano più.
E’ stato tutto, semplicemente, frutto di un gioco sfuggito di mano al suo croupier.
Quest’anno non si sono toccate cifre stratosferiche di migranti approdati in cerca di un futuro migliore, una quantità tale da destabilizzare una consuetudine di accoglienza consolidata dal tempo.
Quando la “delibera di emergenza” è stata emessa – ad aprile- erano circa 25.000 le persone sbarcate sull’isola. Una cifra lontana dai 38.000 che si erano contati anni prima, nell’agosto 2008.
Eppure quest’anno è successa una vergogna che gli anni precedenti non si era mai paventata.
Perché?
Perché c’è stata la precisa volontà di causare un malessere enorme a chi arrivava stremato e a chi l’isola la abita?
Perché creare un tappo per cui i migranti arrivavano a centinaia ogni giorno ma quelli che venivano trasferiti altrove erano solo poche decine? Tanto pochi da poter essere accolti anche in un solo, comunissimo, volo charter di quelli che, nelle estati passate, solcavano i cieli a decine ogni giorno, per trasportare i turisti.
Chi aveva organizzato questo indecente piano, però, non si aspettava che i lampedusani ci mettessero tanto ad arrivare ad un punto di rottura e urlare “basta”. Aveva fatto i conti male e il gioco gli è sfuggito di mano.
Secondo i piani, probabilmente, l’isola si sarebbe dovuta ribellare presto. Poco spazio, tanta gente e quasi nessun aiuto esterno. Si sarebbe potuto invocare l’aiuto (e i soldi) della Comunità Europea quando il numero di persone “da gestire” era più limitato. Un numero che, una volta tolto il tappo, avrebbe garantito una risoluzione veloce e brillante tanto da poter essere anche un vanto per chi l’avrebbe gestita. E invece è stata una vergogna.
E’ stato lo spirito di accoglienza e di sopportazione degli abitanti a rappresentare la variabile che ha fatto infrangere il gioco. La gente dell’isola, saggia di storia, ha continuato a sopportare e accogliere … 1000, 2000, 5000 persone ospitate senza quasi nessun aiuto “da fuori”. Erano le donne dell’isola che, per prime, hanno portato cibo e coperte per i nuovi venuti. Sono stati gli uomini che abitano quest’atollo a costruire, per primi, rifugi di fortuna che riparassero gente stremata dalle intemperie.
Il croupier non se lo aspettava che l’isola sopportasse così tanto, così tanto da rendere impossibile anche a lui di risolvere la situazione con un tocco di bacchetta magica. L’egoismo della gente venuta da fuori non prevedeva di incontrare una popolazione che ricordava ancora così bene il significato della parola solidarietà.
Si è dovuti arrivare ad accogliere sull’isola 7.000 migranti contro 6.000 abitanti , prima che il filo si spezzasse.
E a quel punto è toccato usare il jolly. Un jolly che però è risultato falso e amaro.
In un isola priva di ospedali, dove le donne che devono partorire, per questioni di sicurezza, si devono trasferire a spese loro in Sicilia fin dal settimo mese di gravidanza; dove non esiste rete idrica e l’approvvigionamento dell’acqua alle case si fa ancora con le autobotti; in un luogo dove non c’è una rete fognaria cittadina; si è arrivati a promettere casinò e campi da golf.
Come marziani che parlano di luoghi a loro sconosciuti.
Lampedusa oggi paga la sua capacità di accogliere. E’ colpa dei lampedusani se ancora oggi non hanno ne campi da golf, ne casinò, ne tantomeno un ospedale o la rete idrica. Al posto di queste promesse però si ritrovano una camionetta militare ogni 50 mt.
E’ a causa loro che il turismo, che da lavoro a tutti qui, quest’anno piange alberghi vuoti, ristoranti desolati e magnifiche spiagge quasi deserte.
Ad oggi la situazione migranti è tornata sotto controllo, con questa gente di cuore a dare una mano ci sono voluti solo pochi giorni di spola di una nave passeggeri qualsiasi per tornare ad una situazione di normalità.
Ma le immagini che sono rimbalzate nelle case della gente, immagini che rilanciavano solo la miseria frutto di un gioco politico finito male e non il cuore di un popolo che vive un isola da sogno … sono rimaste impresse nella mente. E la gente qui non vuole venire.
La prossima volta imparate lampedusani.
Imparate dagli altri vostri concittadini italiani che è l’egoismo che paga. Bisogna guardare solo al proprio stretto tornaconto, e che il resto del mondo vada al diavolo. L’umanità non vale più la pena serbarla, per nessuno.
(Intanto nella notte é arrivata una barca con 25 profughi morti. Li ha uccisi il gas della sala macchine dove sono stati costretti a viaggiare perché ogni buco del peschereccio era occupato. – ndr)
Susanna A. Pejrano Ambivero (Milano, 06 Agosto 1971) ha una formazione medico scientifica, spesso impegnata in battaglie sociali e culturali soprattutto nell ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Vive nel profondo nord, a Cologno Monzese (MI), località tristemente nota per fatti di cronaca legati a 'ndrangheta e camorra.