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Dopo Martini e Tettamanzi arriva il cardinale Scola: a Milano tramonta la speranza aperta dal Concilio su un cristianesimo democratico. Le nomine dei vescovi possono ancora uscire dai segreti delle gerarchie?

26-09-2011

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Chiesa e cantiere - Foto di Paride de CarloÈ evento recentissimo l’ingresso nella nostra diocesi il nuovo vescovo Angelo Scola. Lo accogliamo con sincero spirito di comunione ecclesiale, coerentemente con la scelta del nostro movimento, espressa fin dallo stesso nome, che è da sempre quella di essere dentro allo spirito e alle strutture della nostra Chiesa.

Ma tanto più è interna questa nostra collocazione tanto più essa ci invita, e ci “costringe” quasi, a esprimerci con parole di verità, a maggior ragione in questo periodo in cui le strutture ecclesiastiche sono reticenti, più facili al mormorio che alla chiarezza. Diamo così voce a opinioni e a sofferenze non poco diffuse nel popolo cristiano.

La nomina dei vescovi

L’attuale sistema di nomina dei vescovi non può continuare a lungo. Da anni ne abbiamo denunciati tutti gli aspetti e le degenerazioni (1). Esso è alla base, molto più di quanto si possa pensare, delle difficoltà della nostra Chiesa; anche il card. Martini ha fatto osservazioni critiche in merito. Con gli ultimi due pontificati la situazione è peggiorata perché il metodo, gestito nella tradizionale segretezza e mai sottoposto al dovere di motivazioni trasparenti e conosciute né a consultazioni significative, ha portato a evidenti e gravi errori, verificabili quasi in ogni chiesa locale dell’universo cattolico. Le scelte fondate sempre sul criterio di una completa ortodossia rispetto alla linea pastorale e politica del Vaticano, hanno mortificato i carismi presenti nella Chiesa, hanno impoverito di possibili guide profetiche il popolo cristiano. Diversa era la situazione negli anni ’50, ’60 e ’70 del secolo scorso; anche il nostro paese ha avuto pastori di grande credibilità pastorale e afflato spirituale. Le recenti nomine alle cattedre più importanti nel nostro paese sono state tutte contrassegnate dal criterio dell’ortodossia e, molto spesso, come indiretta conseguenza, dalla loro mediocrità. Ci sembra che non sia così che si debba gestire la Chiesa avendo come obiettivo la cosiddetta “nuova evangelizzazione”, il confronto con la modernità e con i problemi posti dalle crisi della nostra società.

La nomina di Scola, un messaggio contro il pluralismo nella Chiesa e il cattolicesimo democratico

Anche nel caso della nomina del nostro nuovo arcivescovo il metodo usato da Benedetto XVI è stato quello consueto e, quindi, al solito, più che autoritario. A quanto ci risulta, le stesse consultazioni svoltesi tra il clero ambrosiano hanno dato indicazioni che sono state disattese (come quella di avere un vescovo che avesse davanti a sé un periodo di ministero sufficiente per impostare un piano pastorale di buon respiro). Con Scola il criterio dell’ortodossia è stato integralmente osservato mentre, contrariamente al solito, non si tratta di personalità di basso profilo. Le obiezioni di fondo alla nomina di Scola ci sembrano siano quelle ben espresse da Vito Mancuso (su “la Repubblica” del 29 giugno) che ci ha rubato le parole di bocca. Questa nomina “riguarda un’eredità trentennale e, più in generale, il ruolo del cattolicesimo democratico in Italia….suona, per esso, come un’umiliazione pesante, forse l’ultima. Dopo gli episcopati di Martini e di Tettamanzi la diocesi milanese era rimasta l’unico punto di riferimento nazionale per quei cattolici che ancora non hanno dimenticato le speranze conciliari di rinnovamento”. Nella gerarchia italiana -conclude Mancuso- ora nessuno rappresenta o è capace di ascoltare voci diverse.

In effetti, i due ultimi episcopati a Milano, anche se non hanno potuto procedere sulla via di un concreto e diffuso rinnovamento conciliare, sono stati percepiti, qui e dovunque, diversi dal clima di crociata identitaria e di diretto presenzialismo in politica dei vertici vaticani e italiani della Chiesa. Essi si sono posti il dovere primario dell’evangelizzazione nei confronti dei tanti credenti o uomini in ricerca che aspettano parole di speranza, di misericordia, di vero Vangelo e che sono molto infastiditi dal vedere sempre una Chiesa “forte” e che pretende di essere l’unica ad avere “valori veri”, che tutti sono invitati ad accettare senza alcun vero dialogo. Martini con la comprensione della Scrittura, Tettamanzi con azioni concrete di fronte al vissuto delle persone e con denunce di ogni prevaricazione nella società e nelle istituzioni, hanno rappresentato un segno diverso e sono stati ascoltati, ben al di fuori del circuito del popolo cattolico.

Il vescovo Angelo Scola, aldilà delle sue intenzioni, della sua buona volontà e delle sue qualità personali, non può che partire con il piede sbagliato per ciò che la sua nomina viene a rappresentare per la Chiesa milanese e italiana. E a noi appare poi palese la diversità del nuovo vescovo in pejus rispetto ai dai due episcopati precedenti, e ciò a causa della sua storia personale e della sua collocazione attuale nella Chiesa.

Che fare? Che dire? Quattro punti per il nuovo episcopato

La situazione è ora difficile per tutti, a partire da Scola, che percepisce di essere poco accolto dal clero, visto con dubbi da molti nell’opinione cattolica e osservato con molte riserve dalla cultura laica, in un momento in cui la città capoluogo si è collocata sulla strada di un vero rinnovamento, che è ben lontano dagli orientamenti politici nazionali della Segreteria di Stato e della Conferenza episcopale.

Anche per noi la situazione non è facile. Non possiamo che rifarci integralmente ai quattro punti che, insieme ad altri, abbiamo definito nel 2002 quando, terminando l’episcopato di Martini, abbiamo iniziato a riflettere sul sistema di nomina e li abbiamo indicati come fondamento per la nostra diocesi. Li trascriviamo integralmente, non abbiamo nulla di altro da aggiungere. Essi sono:

  • 1. l’ascolto della Parola di Dio, mediante la lettura e la meditazione del primo e del secondo Testamento, deve mantenersi al centro della vita di fede, personale e comunitaria, e non deve essere subordinato a precettistiche di ogni tipo, ad arroccamenti su proprie certezze di altra origine, all’efficientismo nell’organizzazione e nelle iniziative pastorali;
  • 2. devono essere garantiti il mantenimento e l’accrescimento dei rapporti ecumenici stabiliti a Milano: il percorso ecumenico è infatti condizione privilegiata di una fede autentica. Esso comporta il riconoscimento, ognuno per la propria chiesa, delle responsabilità delle divisioni esistenti e dell’impegno per una progressiva convergenza tra i credenti nell’Evangelo;
  • 3. il dialogo positivo con la cultura “laica” e il cammino comune con chi è in ricerca sono momenti irrinunciabili per l’evangelizzazione in un mondo secolarizzato;
  • 4. la pratica di rapporti sociali equi nel lavoro e in ogni altra attività, l’accoglienza dell’immigrato e il riconoscimento del suo pieno diritto alla libertà e alla pratica religiosa, la ricerca della pace fondata sulla giustizia tra sud e nord del mondo devono essere fondamento quotidiano della vita cristiana. I credenti nell’Evangelo devono contraddire le logiche idolatre dell’individualismo, del corporativismo, della mitizzazione del successo e del denaro che hanno avuto e che hanno una presenza particolare nelle “culture” presenti nella nostra diocesi. In questo senso si dovranno continuare gli interventi a favore dei soggetti più svantaggiati dalla crisi economica, dei rom e di tutti gli “irregolari”.

La gestione di questi quattro punti dovrebbe trovare nella struttura diocesana, decanale e parrocchiale la sua sede principale. I “corpi separati” all’interno della Chiesa – ne esistono nella nostra diocesi – non devono più porsi in alternativa ad essa. Sui punti che abbiamo indicato, sono tanti quelli che pensano che non debbano esserci arretramenti di nessun tipo o in nessun modo, magari non evidente. La disillusione sarebbe grande, il riflesso sulla vita delle nostre comunità sarebbe pesante, ci sarebbero tante sofferenze, l’annuncio dell’Evangelo nella nostra città e nella nostra diocesi sarebbe meno credibile. Ma siamo fiduciosi che ciò non avvenga, speriamo profondamente che uno spirito di fraternità e di comunione tutti possa coinvolgere, ognuno col suo carisma, ad aiutare in questa direzione il nuovo vescovo. Anche noi siamo impegnati con convinzione perché ciò avvenga, abbiamo ritenuto di esprimere questo impegno attraverso questo contributo e saremo disponibili ad ogni eventuale forma di dialogo su queste nostre riflessioni.

Note

(1) Il documento base della riflessione di NSC sulla nomina dei vescovi è leggibile su www.noisiamochiesa.org/Archivio_NSC/attual/ElezVescovi.htm; esso è del 15 febbraio 2002, data delle dimissioni del Card. Martini; i suoi contenuti sono stati ripresi nel testo del 30 novembre 2010, avvicinandosi il momento delle dimissioni del Card. Tettamanzi.

Vittorio Bellavite è il coordinatore nazionale di Noi siamo Chiesa
 

Commenti

  1. …solo una correzione: il portavoce nazionale di “Noi Siamo Chiesa” è Vittorio Bellavite (http://www.noisiamochiesa.org/contatti). Grazie.

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