La gestione dei rifiuti in Campania è un problema di difficile amministrazione.
La struttura a cui istituzionalmente è stata affidata la gestione dell’intero ciclo è la FIBE, azienda facente parte del gruppo Impregilo. La società FIBE in questi anni ha operato in maniera obiettivamente pessima e il risultato di questa cattiva gestione sono le numerose situazioni di emergenza che si continuano a susseguire. La produzione dei rifiuti non conosce sosta, continua inesorabile e la situazione ambientale va peggiorando. L’emergenza rifiuti campana, che tanto emergenza non deve essere visto che perdura da almeno 15 anni, ha reso possibile il crearsi di un circolo vizioso che rende sempre più difficile la radicale soluzione del problema.
Preso atto dell’incapacità dimostrata dall’apparato istituzionale di risolvere il problema, il perdurare dell’emergenza costituisce una spinta al malcostume di rivolgersi sempre più spesso alla camorra, l’unica organizzazione che sembra in grado di farsi carico del problema.
In realtà la camorra gestisce lo smaltimento dei rifiuti in una maniera tale da causare un problema ben peggiore di quello rappresentato dalla minaccia alla salubrità dell’ambiente rappresentata da ammassi di immondizia accumulati ai lati delle strade. La criminalità organizzata procede interrando o bruciando i rifiuti senza preoccuparsi di quale sia la loro natura, domestica o industriale. Fenomeno che porta ineluttabilmente all’avvelenamento profondo e irreversibile di tutto l’ecosistema.
L’esempio più clamoroso è rappresentato dallo smaltimento di rifiuti tossici prodotti dalle industrie, un operazione molto costosa per i manager aziendali in quanto il materiale dovrebbe essere stoccato rispettando rigidi parametri che permettono all’ambiente circostante di non venire contaminato.
La camorra gestisce questo tipo di rifiuti in maniera molto semplice: il materiale tossico-nocivo che spesso parte dal nord-est Italia in virtù di accordi intercorsi tra la camorra e alcune aziende, durante il tragitto si vedono falsificare le etichette e le bolle d’accompagnamento. Questa semplice operazione permette di far credere che i rifiuti tossici trasportati siano normali rifiuti. Arrivati nel territorio campano il materiale viene semplicemente interrato in cave, in zone boschive o agricole, o addirittura approfittando di scavi effettuati per costruire case o strade, vengono direttamente sversati nei pilastri e nelle fondamenta delle costruzioni.
La condizione indispensabile affinché questo avvenga è l’esistenza di una politica compiacente che di fatto impedisce che l’emergenza venga adeguatamente affrontata e che colpevolmente è stata nel tempo carente nei controlli.
Grazie alle rivelazioni di alcuni pentiti si è venuti a sapere che nel 1989, durante una cena che verrà ricordata come la “riunione di Villaricca”, si raggiunse un accordo tra la famiglia Schiavone e alcuni politici napoletani in cui veniva decisa che una parte del profitto ricavato dallo smaltimento illegale dei rifiuti veniva ceduto a politici compiacenti in cambio della possibilità di utilizzare per l’interramento rifiuti, un territorio della zona dell’agro aversano, in provincia di Caserta, in una situazione di impunità.
Il clan dei casalesi, in quel momento rappresentati dalla famiglia Schiavone, di fatto sono stati i primi ad intuire la potenzialità di arricchimento derivante dal business dello smaltimento rifiuti.
Resta memorabile l’affermazione, risalente al 1992 di un pentito illustre come Nunzio Perrella che lasciò attoniti i magistrati dichiarando ” non tratto più cocaina. Adesso ho un altro affare, rende molto di più e soprattutto si rischia molto meno. Si chiama monnezza, dotto’ perché per noi la monnezza è oro”. Gli inquirenti fino ad allora non avevano pensato che con i rifiuti ci si potesse arricchire tanto.
A dimostrare l’integrazione profonda avvenuta tra camorra, politici locali e imprenditori operanti nel settore si ricorda l’operazione “Green”, compiuta nel 2006 dal centro operativo DIA di Napoli. L’operazione si è conclusa con 18 mandati d’arresto rivolti a criminali, imprenditori e politici. Con questa opera di investigazione si è reso evidente come le aziende operassero soprattutto per agevolare gli interessi patrimoniali del clan dei Casalesi piuttosto che quelli dei cittadini.
Sono numerose le indagini svolte nell’ambito del business dei rifiuti che evidenziano il rapporto tra le organizzazioni criminali e il mondo imprenditoriale e che dimostrano che questa relazione non è fondata sull’estorsione e sul ricatto ma si sta evolvendo creando un rapporto di tipo “simbiotico” al fine di poter trarre un vantaggio comune.
La potenziale vastità di questo settore della malavita, il fatto che sia fortemente remunerativo unito alla consapevolezza che più vasta è la zona disponibile per interrare o scaricare rifiuti più aumentano le possibilità di guadagno, ha creato i presupposti perché si creasse una holding criminale formata da più clan, si ipotizza siano più di 30, della zona del casertano. Oggi questo cartello è conosciuto con il nome di casalesi. L’organizzazione dei casalesi è dunque una confederazione di clan che detiene il controllo di tutto il territorio che va da nord di Giugliano lungo quasi tutto il Casertano, arrivando fino al Basso Lazio.
Esiste un altra incontrovertibile realtà che dimostra quanto la camorra abbia interessi nel campo dello smaltimento rifiuti e di come molte famiglie camorriste hanno legami con istituzioni e aziende compiacenti:
* Nella vecchia discarica di Ferrandelle, zona ora designata a svolgere funzioni di discarica provvisoria e che è stata recentemente catalogata come zona di interesse strategico nazionale e vincolata perciò al segreto di Stato, sono stati ritrovati un milione di metri cubi di rifiuti abbandonati senza controllo. L’area di Ferrandelle si trova in un’azienda agricola confiscata a Francesco Schiavone, Sandokan, il boss del clan dei casalesi.
*A Pianura, con l’inchiesta del pm Stefania Buda della sezione coordinata dal procuratore aggiunto Rosario Cantelmo, si stanno analizzando i casi di malattia e decessi che si sarebbero verificati a causa dell’inquinamento dell’area, ipotizzando i reati di disastro ambientale. Sembra risultare che centinaia di migliaia di tonnellate di rifiuti ospedalieri, fanghi speciali, polveri di amianto, residui di verniciatura e alimenti sono finiti a Contrada Pisani. Questa attività è stata regolarmente consentita dalle autorità provinciali di Napoli anche se apertamente in violazione delle norme sulla tutela dell’ambiente in vigore dal 1982. Il Pm ha ora ordinato il sequestro della discarica e dei dati relativi allo sversamento nel periodo che va dal 1987 al 1994.
* A seguito della proteste degli abitanti di Valle Masseria a Serre, nel salernitano, contro la proposta i sversare nell’oasi protetta dell’area naturale di Persano la spazzatura che finora non si era riusciti a togliere e a trattare, è stata emessa una sentenza datata 28 aprile 2007 del Tribunale di Salerno, I Sezione Civile, che ha riconosciuto validi i vari vincoli ambientali che tutelano l’area e che quindi rendono non idoneo il Sito di Valle Masseria per la realizzazione di una discarica regionale. Per consentire comunque la realizzazione della discarica di Serre si è ricorsi alla promulgazione del decreto legge n.61 dell’11 maggio 2007, dove si autorizza l’apertura della discarica anche se palesemente in contrasto con i diritti dei cittadini, anche se legittimati dalla sentenza del comune di Salerno. L’unica scusante addotta dal commissariato per autorizzare l’utilizzo del sito di Serre è quella secondo la quale il sito è raggiungibile comodamente data la vicinanza all’uscita dell’autostrada di Campagna. Il decreto-legge ha consentito l’uso delle forze di polizia, dei carabinieri e dell’esercito escludendo nella realtà dei fatti ogni controllo democratico sulla realizzazione di un impianto ad elevato impatto ambientale.
* Lo stesso parametro è stato utilizzato per individuare la discarica di Basso dell’Olmo, realizzata commettendo gravi errori di progettazione documentati da vari studi e che sta attualmente sversando percolato altamente pericoloso nel fiume Sele, una delle poche riserve idriche utilizzabili in Campania.
*Il caso Chiaiano è l’epilogo dell’emergenza rifiuti in Campania. Il sito non ha nessuna caratteristica per rispondere ai necessari requisiti di salubrità, protezione ambientale o anche solo per un adeguato smaltimento rifiuti. L’unico motivo per cui sembra sia stato scelto è perché vi era già il “buco” da riempire; con i rifiuti prima e con le ceneri del contestatissimo inceneritore di Acerra in seguito . Deve finalmente essere chiaro che nel “affare spazzatura” i cittadini campani sono la parte danneggiata, non certo gli artefici. Chi guadagna su queste speculazioni sono le imprese che vincono gli appalti, le aziende locali che realizzano i lavori, in altre parole la camorra. Il dott. Donato Ceglie, della Procura di Santa Maria Capua Vetere, ha calcolato che negli ultimi anni sono stati smaltiti 3 milioni di tonnellate di rifiuti in Campania e che 15 delle 18 ditte autorizzate non hanno mai avuto la certificazione antimafia, la quasi totalità di queste aziende erano e rimangono in odore di camorra. Sta diventando abitudine l’usanza secondo la quale si spiega agli italiani che i cittadini che protestano per la realizzazione delle discariche e degli inceneritori sono “oggettivamente” complici, sia pure involontariamente, della camorra.
Non è assolutamente così, purtroppo è vero il contrario.
Susanna A. Pejrano Ambivero (Milano, 06 Agosto 1971) ha una formazione medico scientifica, spesso impegnata in battaglie sociali e culturali soprattutto nell ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Vive nel profondo nord, a Cologno Monzese (MI), località tristemente nota per fatti di cronaca legati a 'ndrangheta e camorra.