A Pisa mentre passa ferragosto. Tutte le persiane delle case sono chiuse nei vicoli antichi del Lungarno; turisti internazionali stipati come galline d’allevamento nella Piazza dei Miracoli immancabilmente fotografati con le braccia alzate per la finta di sostenere la Torre pendente.
Dove sono i pisani? tutti in ferie? Macché, mi risponde un operatrice Caritas, un italiano su cinque finge di andare in vacanza. Per nascondere la crisi e ostentare lo status-symbol dell’abbronzatura, finge di essere fuori città. Di aver staccato. Cosa resta a chi non si può permettere neppure il viaggetto low cost o quello last minute, da pagare in comode rate mensili fino ad agosto 2010? Finge. Inventa. Di sana pianta. E magari osa raccontare di code all’autostrada e di formicai di cinesi ai ristoranti. In realtà non si mai spostato. Non ha quattrini. Prende il sole in terrazzo, si tappa in casa per giorni per non farsi vedere dai conoscenti. Chi può va a trovare i parente. I più, la domenica mattina, prendono l’autobus per Marina di Pisa, a 11 chilometri da qui, con i panini pronti da mangiare in pineta e il vecchio termos con il thè freddo. Niente più. Dietro tutte quelle imposte chiuse, c la solitudine e la cinghia tirata di molti anziani italiani assistiti da Caritas.
Il malessere Caritas, tra bisogni, risposte e complicità
Negli ultimi 12 mesi, sono aumentate del 20% le persone italiane sfibrate dalla crisi, costrette a ricorrere a Caritas come alla piazza del miracolo per la sopravvivenza. Qui, non ci sono le statistiche truccate della macroeconomia e degli imbonitori televisivi. Qui, agli sportelli Caritas, non si finge. Hai voglia della panzanate ottimiste del Berlusca! La microeconomia familiare pendente, più inclinata della famosa Torre. Mense popolari, assistenza domiciliare con pacchi viveri, medicine, colloqui di psicologi e di avvocati, prestiti per pagare le bollette e le tasse, vestiti riciclati, accompagnamento per le problematiche mentali, coniugali e carcerarie, per i disagi giovanili, per le emarginazioni. Elaborazione del lutto, monitoraggio della solitudine.
E sono aumentati anche i volontari italiani a disposizione dei servizi Caritas. Non sempre un buon segno, secondo la mia interlocutrice. Molti lo fanno semplicemente perché disoccupati, non ce la fanno più a stare in casa. Sono nervosi, hanno altro a cui pensare. Non danno garanzia di continuità, alla prima occasione se ne vanno. Fingono di essere volontari; in realtà, sperano di essere contrattati e assunti dalla stessa Caritas.
Ma non una finzione, il malessere che serpeggia fra gli operatori Caritas nei confronti di alcuni vertici della Conferenza Episcopale e contro il Governo Berlusconi. E uno sconcerto profondo, indignazione e sorda ribellione. La causa dirompente dopo il cosiddetto decreto-sicurezza, che prevede il reato di immigrazione, criminalizza indistintamente gli immigrati irregolari, istituisce le ronde, penalizza in forma crudele il calvario dei cittadini stranieri che intendono integrarsi, respinge in terre libiche i sopravvissuti ai naufragi del Mediterraneo cimitero nostrum, senza verificare le possibili urgenze di rifugiati politici, violando le norme consuetudinarie del mare e facendosi beffa di quelle accordate dallONU.
Caritas Italiana ha molto a che fare con gli immigrati. Regolari e in via di regolarizzazione. Lavora attraverso le Caritas nazionali- in paesi stravolti dalle guerre civili, dalle dittature liberticide, dai disastri naturali e dalla fame. La migrazione una necessità di vita o di morte, in molti casi. Sa delle tratte internazionali di carne umana, sa che il lavoro in nero praticato in Italia quello che contribuisce ad attirare i flussi migratori. Conosce certamente le frange delinquenziali perché presente nelle carceri italiane, gonfie anche di stranieri. Ma vicina alla maggioranza di migranti, che cercano di sbarcare il lunario della propria famiglia, lavorando con dignità. E che, talora, hanno bisogno. Come lo hanno molti italiani, dentro le persiane chiuse.
E che, come tutti, hanno doveri e diritti. I diritti umani, senza distinzione di pelle, sesso, cittadinanza e religione. E, tra i diritti umani, esiste anche quello di migrare.
Chiesa italiana, a che gioco giochiamo?
Lo scandalo avvertito da molti operatori Caritas che – di fronte ad alcuni punti del decreto-sicurezza che possono violare i diritti umani- sia iniziato ancora una volta il pirandelliano gioco delle parti, all’interno dei vari livelli in cui articolata la Chiesa italiana. Monsignor. Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i migranti e gli itineranti, denuncia che il nuovo decreto porterà molte sofferenze.
Subito, il portavoce del Vaticano si affretta a precisare che non parla a nome della Santa Sede. Come a tutti noto, infatti, i Sacri Palazzi trattano da Stato a Stato con l’Italia; quindi, si interessano solo di rapporti diplomatici, di concordati, senza intervenire su questioni interne. Salvo poi scatenare i cardinali di vari dicasteri sul caso Englaro, sui finanziamenti alle scuole private cattoliche, sull’esenzione di tasse agli alberghi e pensioni gestiti dalle congregazioni religiose per i pellegrinaggi di tutto il mondo e, recentemente, sulla pillola RU486.
A parlare fa capire tacitamente la Santa Sede- deve essere la Conferenza Episcopale Italiana (Cei). Che lo fa. Una volta che si riunisce. Con la lentezza finalmente accelerata dall’ultimo massacro e dal cinismo diplomatico-istituzionale dei colpevoli in maschera che rifiutano le responsabilità della legge firmata, rifugiandosi negli specchi distratti dell’Europa in questo caso senza fretta. A fine ottobre la commissione di Bruxelles se ne occuperà. Prima no. Da principio le gerarchie vaticane hanno seguito questa cautela. Con il solito linguaggio studiato. Il card. Bagnasco ammonisce a non considerare gli immigrati zavorra da scaricare a piacere quando la barca dell’economia entra in crisi. Mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei, in una conferenza stampa, boccia l0impianto del pacchetto sicurezza e ricorda che lItalia multietnica e multiculturale un valore. Il quotidiano della Cei, Avvenire, non d’accordo con Maroni, ospitando soprattutto le lettere di lettori ed affidando a Marina Corradi il compito di lanciare il primo vero sasso nello stagno delle diplomazie.Quanto possono incidere queste dichiarazioni a fronte del bombardamento sulle varie reti televisive che cavalcano elettoralmente la paura?
Dato che la Chiesa articolata in presenze territoriali, a parlare devono essere soprattutto i vescovi diocesani. Qualcuno lo fa, come il vescovo di Alba, mons. Sebastiano Dho, con un’accorata lettera con la quale si chiede: Com’é possibile che molti cristiani (almeno quelli che si dicono tali e ci tengono a esibire questa qualità) sostengano in maniera determinante e si glorino di propugnare e attuare, quale programma di governo, teorie razziste e xenofobe, chiaramente in diretto contrasto con i principi evangelici? E tacere o rispondere con mezze parole all’attacco di Bossi all’insospettabile Vaticano ?
Molti altri si tappano il naso ed entrano nell’umana comprensione del confessionale: non parlano mai di razzismo, non citano mai il nome del ministro degli interni, meno ancora del premier (gaio peccatore, generoso sultano delle Noemi e delle DAddario in feste innocenti sul lettone di Putin, giocondo giocoliere di veline e di ministeri, garbato sciupa femmine e sorridente salvatore di immondizie e terremoti ma anche di vite terminali, di alberghi per pellegrini e di finanziamenti a scuole private).
Per quanto riguarda la legge antimigranti, indossano la tuta mimetica del dire, senza farsi notare. Facendo apparire oh, sforzo coraggioso! – una nota di perplessità sul proprio settimanale diocesano, che riporta interessantissimi articoli su liturgie domenicali, sagre paesane, inaugurazioni, sport locale e anniversari di nozze doro sacerdotali, ma i cui articoli di fondo spesso non sono letti neppure dal proprio direttore. Si può parlare di politica in un settimanale diocesano? Certo, basta che non si parli male, in forma troppo esplicita, delle politiche del governo. Qualcosa si può far trapelare, certo. Qualcosina, come di critica annacquata. Un catino di Pilato, per intenderci. Prudenza, mi raccomando. Equidistanza, niente di più. Perché il parroco di un paesino deve restare al di sopra della destra e della sinistra. Deve stare semplicemente con il sindaco. Chiunque egli sia e a qualunque partito appartenga. Deve stare con il potere locale. Semplicemente.
I soliti preti di strada e la leadership di Famiglia Cristiana
Ma, allora, chi é cripticamente delegato a parlare contro alcune disposizioni del decreto-sicurezza, violatorie dei diritti umani? Risposta: chi non a contatto quotidiano, diretto, con il potere locale o regionale o nazionale.
I religiosi, per esempio, come i comboniani di Nigrizia alla Alex Zanotelli, e le altre congregazioni missionarie riunite nella MISNA (Missionary International Service News Agency), che nelle loro riviste mensili denunciano apertamente come anticristiano il decreto-sicurezza. Sono da segnalare, tra le altre, le prese di posizione dei saveriani e dei missionari della Consolata. Quelle degli aderenti allassociazione Beati i costruttori di pace e alla Commissione Giustizia e Pace.
Alzano la voce in favore dei diritti degli immigrati, gli isolati profeti, alla Ettore Masina e Paolo Farinella, Arturo Paoli, mons. Giovanni Nervo e don Tonio DellOlio. Quelli di Pax Christi, che descrivono il decreto-sicurezza come unoffesa, un atto eversivo e bestemmia. Esprimono orrore e dolore per una legge che rompe lunit della famiglia umana e ne offende la dignit. Con questa legge, prende piede lidea che esistano esseri umani di seconda e terza categoria, un popolo di non persone, di invisibili. Una perdita totale di senso morale e di sentimento dell’umano. Il dolore nasce dall’orrore giuridico e civile del reato di clandestinità, dall’idea del povero come delinquente e della povertà come reato. La legge votata, sostiene Pax Christi, non solo contraria alla nostra Costituzione ma a tutta la civiltà del Diritto. Punisce una condizione di nascita, l’essere straniero, invece che la commissione di reato. Dichiara reato una condizione anagrafica.
Chi assume la leadership mediatica del malcontento cattolico contro il decreto-sicurezza, sono i religiosi paolini, attraverso il settimanale Famiglia Cristiana e il suo direttore, don Antonio Sciortino, che nel n. 32 di agosto, ospita addirittura un grido di esecrazione di un prete fuorilegge che, in nome del Vangelo, si dichiara contro chi ha voluto una legge così punitiva e cattiva, e descrive l’altro Nord, quello dei sacerdoti, frati e suore che sono obiettori, dei preti di strada che contestano pubblicamente la legge imposta dalla Lega di Bossi e votata e difesa dal PDL.
Sotto sotto, per, le varie diocesi si muovono. Il card. di Milano, Tettamanzi, mette a disposizione una cifra considerevole per contribuire ad affrontare le vecchie e nuove povertà. E imitato da molti presuli. Si preferisce agire nel silenzio per lenire gli effetti della crisi, parimenti patita dagli italiani e dagli immigrati. Si evita lo scontro aperto con la Lega domus del governo Berlusconi. Si opta per l’azione concreta, principalmente attraverso la Caritas. Sempre attraverso l’assistenza?
Lo sportello Caritas non deve essere l’oppio dei popoli
Ecco, ritorna così il punto iniziale della presente inchiesta, l’interrogativo emerso anche nell’ultimo congresso istituzionale al Lingotto di Torino: la crisi si aggrava ogni giorno di più Non solo per gli immigrati. Dietro le persiane chiuse anche degli italiani. Allunga ogni giorno di più la rete dei servizi Caritas e il suo potere.
Che ne facciamo di questo potere?, si sono chiesti molti operatori. Ce ne serviamo per crescere ancor di più, cioé a più crisi, più risposte Caritas, tappando -con pastiglie placebo di volontariato- le lacune strutturali del sistema e del modello economico, lasciando che lo Stato e le amministrazioni pubbliche si deresponsabilizzino rispetto ai settori sociali vulnerabili?
Certo, nessuno vuole insinuare che Caritas sia un oppio dei popoli che impedisce una presa di coscienza delle cause dei problemi e la loro possibile modificazione.
La riflessione, che inquieta alcune coscienze, ruota piuttosto attorno a quella sottile linea di demarcazione tra organizzazione pianificata della carità ai poveri, e il rischio di una silenziosa complicità istituzionale con gli interessi forti che gestiscono i meccanismi generatori di povertà e partoriscono norme contrarie ai diritti umani?
In altre parole, chi parla più, ma davvero, di giustizia sociale in questo benedetto paese, stramaledettamente cattolico?
Il Papa. Certo. Dopo vari decenni rispetto alla Populorum progresio di Paolo VI, un pontefice ritornato sui temi sociali con lenciclica Caritas in veritate. Anzi, Benedetto XVI li affronta tutti, non ne dimentica nessuno. Ad ognuno dedica alcuni paragrafi, con un’ossessione enciclopedica e una precisione accademica all’altezza del prof. Ratzinger. Niente da eccepire: ogni problema ha trovato una sua casella, ex cathedra. Niente di nuovo, solo la continuità di un magistero che si deve far leggere tanto in Svizzera e sulle Ande peruviane come nelle sacrestie di Nairobi, Chicago e del Nordest leghista.
Chi all’interno di Caritas- vive la complessità operativa del locale, di fronte a scelte di coscienza. Da un lato, le direzioni diocesane di Caritas danno un implicito incoraggiamento a medici, infermieri, assistenti sociali, direttori di comprensivi scolastici ad obiettare, cioé a rifiutarsi di denunciare un migrante irregolare, assicurandogli, invece, i servizi a cui ha diritto come essere umano. Dall’altro, si intende evitare che Caritas sia lo specchietto per le allodole, strumentalizzato dal potere. Meno assistenzialismo, e più giustizia, ha tuonato don Ciotti, il fondatore del Gruppo Abele, alla riunione del Lingotto.
Contro i processi di domesticazione sociale. Anche tra i volontari Caritas, si vota allegramente Lega
Chi si spende per una concreata prossimità, non deve mai smettere di cercare criticamente le pause personali e strutturali (economiche, sociali, culturali, politiche, ecc.) che producono o almeno favoriscono la marginalizzazione dei più deboli. In tal senso, la prima forma di carità diventa la Giustizia, concretamente declinata sui diritti di cittadinanza di ogni persona.
Per questo, Caritas sta riscoprendo la sua natura pedagogica: prima che il fare, deve educare, animare, promuovere.
Il fare ha il valore di segno: far pensare, facendo. Ma, per questo, occorre che Caritas parli di più di giustizia, che approfondisca i suoi corsi di formazione. Né rivelazione, né scoperta: molti volontari Caritas, votano Lega. Non avvertono nessuna contraddizione tra la loro prossimità personale con i bisogni di un immigrato e il voto di delega a partiti che aggravano tali bisogni. Distratti da parole d’ordine come sicurezza e legalità, praticano una religione come un affare privato e un Dio come entità indifferente. Nigrizia di giugno 2009 parla di deriva dell’italiano cattolico medio, a cui bastano alcune manganellate mediatiche per tacitare la coscienza. Gioco fatto.
Per questo, monsignor Giuseppe Merisi vescovo di Lodi e presidente Caritas italiana (nonché presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e della salute) nell’aprire i lavori del 33 convegno delle Caritas diocesane italiane a Torino, ha detto che tra le altre sfide- la Caritas deve lottare contro i processi di domesticazzione sociale, cioé contro quei meccanismi mediatici che impediscono alle coscienze di molti cittadini e addirittura di alcuni dei propri volontari- di provare scandalo di fronte a schegge impazzite e crescenti dell’intolleranza che umilia il debole; contro l’inciviltà miope che irride al diverso, alla violazione evidente di alcuni diritti umani fondamentali. Occorre una nuova generazione di laici cristiani impegnati nel sociale, scrive Famiglia Cristiana denunciando la inconsistenza dei politici. Caritas daccordo: si sono accorciate le ombre dei campanili. E di molto. Piazza dei miracoli lontana. Sul Lungarno, le persiane delle case sono chiuse. Ma non sarà con l’assistenzialismo che si apriranno.
Specialista in cooperazione internazionale. Autrice di "Romanzo di frontiera" (Albatros, Roma 2011), magia e realtá delle donne latinoamericane alla frontiera Messico-USA; "In Amazzonia" (Milano, Feltrinelli, 2006); "La Ternura y el Poder" (Quito, Abya Yala, 2006); "Una canoa sul rio delle Amazzoni: conflitti, etnosviluppo e globalizzazione nell'Amazzonia peruviana" (Gabrielli Editore, Verona, 2002); co-autrice di "Prove di futuro" (Migrantes, Vicenza, 2010).