QUEL DOLORE PER I MORTI DI KABUL NELLA RETORICA DELLA POLITICA FUNERARIA
19-09-2009
di
Ippolito Mauri
Dobbiamo prepararci alla retorica polverosa dei politici nell’addio ai ragazzi morti a Kabul. Prepararci all’uso di padri, madri, mogli, figli trasformati dalle tv in figuranti nello spettacolo del dolore ufficiale. Primi piani, lacrime, occhi spenti. Risentiremo parlare di eroi che riuniscono gli italiani attorno alla bandiera. Retropensiero mostruoso: per i turbamenti della politica diventa un dolore “provvidenziale”. Dietro questo dolore si nascondono polemiche e divisioni di protagonisti in affanno. Spazio delle mediazioni che si allunga. Intanto Berlusconi bacerà, accarezzerà, si commuoverà cancellando vecchie e nuove scorribande. Frattini si è già speso: “l’orgoglio dell’Italia è alto”. Schifani (nonno del lodo Alfano) non ha dubbi: “combattevano per affermare la democrazia”, che poi è la democrazia di un milione e mezzo di voti truccati nell’elezione del democratico Karzai, famiglia di signori della guerra e piantagioni d’oppio. Sottovoce cominciano a dubitare: adesso cosa facciamo? Aspettiamo i prossimi morti, poi si vedrà. I sei ragazzi assassinati dal terrorismo nell’angolo più sicuro dell’Afghanistan, avevano scelto il mestiere delle armi per amor patrio e fascino dell’avventura. Soprattutto perché senza scampo: sono poche le speranze del buon posto per chi cresce nel sud. Ecco la manna di 2000 euro al mese, paghe sicure alle quali aggiungere il salario della paura: 150 euro al giorno nelle presunte missioni di pace che nessuno ha ormai il coraggio di chiamare così. Ragazzi che devono mettere su casa, far studiare i figli, almeno la pizza il sabato. Vita grigia e normale. La crisi svuota uffici e fabbriche ma non svuota il terrorismo strascico di espansioni di un occidente che sbaglia i conti e li fa pagare agli incolpevoli. Insomma, lavoro che non smette di tirare.
Lavoro. Cristina Ballotelli di Radio 24- Sole 24 ore, era arrivata a Kabul con l’aereo militare dei ragazzi. Chiacchiere di viaggio e li ha visti sparire sulla macchina della morte, “veri professionisti che andavano al lavoro”. Lavoro è la verità amara che la retorica seppellisce perché non è bello ridurre le fanfare della missione in Afghanistan nella paga del soldato che ha famiglia. Tamburi e bandiere, fumo negli occhi per indignare senza risolvere. Gino Strada delle guerre ricuce gli strazi negli ospedali che inventa; Gino Strada da anni si arrabbia quando sente parlare di operazioni di pace. “Si fa la pace costruendo scuole, ospedali, non sparando. Con i 3 milioni al giorno che spendiamo per il nostro contingente, gli ospedali da aprire potrebbero essere 600. Prosciugare l’acqua attorno alla violenza talebana è il solo modo per costruire la democrazia. Forse è tardi…” . Continuano i pacchi della piccole carità.
Non si muore solo in divisa: un giorno dopo l’altro. negli angoli delle guerre “assimetriche”, dieci, trenta, cento persone senza nome perdono la vita, effetti collaterali, definizione educata per dire che si bombarda senza tener conto di chi abita o passa da li. Vittime da non considerare; numeri di una tabellina che svanisce nella memoria. Mentre scrivo le bare stanno tornando da Kabul. Madri, mogli, padri e figli aspettano accompagnati da psicologhe in divisa. Non immagino cosa si possa dire in questi casi; suppongo che tra le chiavi della consolazione sia contemplata la gloria di un figlio o di un marito caduti per la gloria dell’Italia. Comincia il dubbio: l’Italia dei politici di oggi o l’Italia dei costituenti di ieri, De Gasperi e Togliatti messi d’accordo da Giuseppe Dossetti diventato prete appena la costituzione è stata votata? Si era accorto che la politica non illuminava la sua fede nell’uomo e nell’eternità. L’articolo 11 proibisce alle nostre forze armate di attraversate armate i confini. Per la prima volta abbiamo confuso pace e guerra nel gennaio 1991 quando il bombardiere del capitano Cocciolone è stato abbattuto attorno a Bagdad. Non volava come colomba della pace e Dossetti ha rotto un silenzio lungo 35 anni per protestare contro il tradimento alla Costituzione. Che nessuno ha cambiato. L’articolo 11 regola ancora i regolamenti della politica e delle forze armate. Almeno da ieri non finge nessuno. Combattiamo in Afghanistan calpestando la Costituzione a viso aperto. Il ministro La Russa parla di guerra difficile. E Renato Farina, agente segreto in sonno e deputato per gioco, scrive sul Giornale di Feltri che l’anima di ogni guerra è l’intelligence, vuol dire spie e infiltrati, magari nel giornalismo. Purtroppo” l’intelligence italiana è stata distrutta per mano di magistratura e politica, dal 2006”, per caso l’ anno nel quale hanno pescato l’agente Betulla (sempre Farina) con le mani nel sacco.
Dopo le lacrime dei rotocalchi pettegoli, madri, i padri, le mogli, i figli spariranno dal dolore ufficiale. Solitudine che altre madri e altri figli continuano a testimoniare. Le loro voci riaffiorano ogni tanto come sono riaffiorate le voci di chi non si consola per i morti di Nassirya. Madri, padri, mogli e figli dimenticati da chi li baciava in Tv. Meno male che Napolitano sta tornando dal Giappone. La sua onestà intellettuale riuscirà per un momento a contenere la retorica dei professionisti del melodramma.