Abbiamo bisogno di costruire un partito forte e radicato, popolare e non leaderistico. Ne ha bisogno il paese, dove la destra ha messo radici profonde e sta cambiando i connotati della nostra democrazia; dove la crisi economica – a cui il governo non dà risposte efficaci – rischia di esasperare le disuguaglianze sociali e territoriali, gli egoismi corporativi, le paure e le insicurezze delle famiglie. In questi tre mesi di campagna congressuale ho partecipato a centinaia di incontri per presentare in tutta Italia la mozione Bersani. E’ falsa l’immagine, che molti avversari ci vogliono cucire addosso, di un partito chiuso in se stesso, alle prese con scontate divisioni interne. Ho visto invece una bella discussione sui problemi del paese e un confronto vero, a volte aspro ma sempre salutare. Per me è un segnale, il più importante, che il Pd, malgrado gli errori e le sconfitte di questi due anni, è un progetto vitale che appassiona ancora e sul quale in tanti continuano a scommettere. Ma è un progetto da rilanciare.
A due anni dalle primarie del 2007 è arrivato il momento di definire il profilo e la funzione del Pd e completare davvero il processo costituente, cambiando passo. Altro che ritorno al passato! Sto con Bersani perché, come abbiamo scritto nella nostra mozione, bisogna ritrovare l’ispirazione originaria del Pd, non solo il nome dell’Ulivo, spesso usato come un logo pubblicitario, ma la sostanza di quella feconda innovazione che ha liberato e mescolato nuove energie e nuovi pensieri nella politica e nella società italiana.
Nel solco di quella intuizione il Pd deve diventare sul serio un partito plurale e laico, rispettoso delle differenze e capace di fare sintesi tra le diverse posizioni. Un partito aperto e davvero democratico, che fa leva sui militanti ma ascolta gli elettori e li fa contare. Un partito che rafforza il bipolarismo e la democrazia dell’alternanza.
Molti mi chiedono come mai ulivista e prodiana, cattolica democratica ho scelto fin dall’inizio di sostenere un ex ds quando nella competizione c’è anche un ex popolare. La mia risposta è sempre la stessa: scommetto sulla contaminazione delle culture e nel Pd ci si sta da democratici e non da cattolici. I miei maestri, da Aldo Moro a Vittorio Bachelet, da Leopoldo Elia a Pietro Scoppola, mi hanno insegnato che i cattolici che vogliono bene al paese non scelgono sulla base dell’identità culturale ma stanno con chi ha un progetto che fa bene al paese.
Nella mozione Bersani questo progetto c’è. E c’è l’ambizione originaria del Pd, quella di restituire credibilità politica alla nostra capacità di governare il paese. Non ci basta l’opposizione ferma e intransigente, culturale e morale, al berlusconismo. L’opposizione non è la ragion d’essere del Pd. Siamo nati per essere una grande forza di governo e il compito prioritario è quello di mettere in campo un programma per l’Italia che affronti le sfide del nostro tempo: una iniqua distribuzione della ricchezza e la scarsa mobilità sociale che penalizza soprattutto i giovani e le donne. Il mercato del lavoro, la scuola e il sistema formativo, la cultura e i media, la piccola e la grande impresa, le politiche ambientali: tutto in Italia è bloccato e occorre liberare le energie migliori. E’ fallito il modello neoliberista che ha esasperato la precarietà dei rapporti di lavoro e il fai da te, la ricerca del profitto per il profitto. C’è bisogno di rilanciare le politiche pubbliche per la salute e l’istruzione e rafforzare il sistema del welfare, puntare ad uno sviluppo economico che fa leva sulla dignità del lavoro, la qualità dell’ambiente e delle risorse umane che premi il merito e l’innovazione. C’è bisogno di riaffermare il valore della legalità e il rispetto delle regole contro una destra che riduce gli spazi di libertà, minaccia l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, mortifica il ruolo del parlamento. C’è bisogno di costruire un modello di convivenza multietnica e multiculturale, per affrontare in modo giusto il fenomeno dell’immigrazione, puntando all’integrazione e contrastando le paure e le pulsioni xenofobe alimentate dalla Lega.
Con un programma per l’Italia occorre anche ricostruire il campo di un nuovo centrosinistra alternativo alla destra. Il Pd deve pensare se stesso come partito unitario e al tempo stesso come fattore di unità del centrosinistra, come il motore e il timone di una seria alleanza riformatrice.
Per questo bisogna cambiare il percorso avviato con la “nuova stagione” del Lingotto che pretendeva di mettere tra parentesi i quindici anni dell’Ulivo.
In un congresso si sceglie un segretario e una strategia ed è inevitabile tirare le somme di ciò che è stato fatto e fare un bilancio di questi ultimi due anni.
E’ stato disperso il patrimonio di oltre tre milioni di elettori delle primarie senza valorizzare gli iscritti col risultato di non avere né un partito solido né un partito liquido, con una debole democrazia interna senza luoghi di elaborazione e condivisione comuni, con una classe dirigente cooptata con le logiche di corrente. Abbiamo pagato a caro prezzo una interpretazione della “vocazione maggioritaria” che si è risolta in una “vocazione minoritaria”. La pretesa di “correre da soli” – che proprio soli non era – ha spianato la strada agli avversari di Prodi, il governo è caduto, abbiamo perso le elezioni politiche e poi le europee perdendo quattro milioni di voti in pochi mesi.
Abbiamo avuto un’opposizione altalenante e non ci siamo distinti con l’energia necessaria.
Questi errori vanno corretti. Non può farlo Franceschini che di Veltroni ha condiviso ogni scelte. Vogliamo costruire il futuro e per questo dobbiamo cambiare strada.
Politica italiana, attuale presidente del Partito Democratico e vicepresidente della Camera dei deputati.