Mi presento. Ho 69 anni e vivo a Genova. Sono iscritto alla mailing list di “Noi siamo Chiesa”. Sono un prete sposato. Ordinato nel ’68, stanco di una Chiesa che predicava bene, ma non ti lasciava libero di vivere secondo i dettami del Concilio Vaticano II. Stufo di una società borghese e capitalista, partii per il Cile, in un quartiere molto povero.
Ci vissi 11 anni: 5 anni come parroco e 6 anni come operaio, sposato ad una cilena, da cui ho avuto 2 figli. Rientrai in Italia nell’87 per far conoscere la mia nuova famiglia ai miei genitori. Scoprii che mio padre aveva l’Alzheimer. Era molto anziano, gli davano poco tempo di vita. Decidemmo restargli accanto il più possibile, finché, scaduti i biglietti di ritorno in Cile, ci trovammo costretti a restare in Italia. Vissi per mesi come strabico: il mio corpo in Italia, il mio spirito tra i poveri dell’altro continente.
Attualmente ed in breve. Faccio parte di una comunità cristiana nel mio quartiere (da 22 anni!), pur partecipando all’Eucaristia domenicale nella parrocchia di don Paolo Farinella. Sono iscritto a Rifondazione Comunista dalla sua nascita: mi pareva l’unico partito anticapitalista e alternativo, non altalenante. Ho collaborato a far nascere nel 2002 un Comitato per la Pace “Rachel Corrie, Valpolcevera”, svolgendo varie attività di sensibilizzazione, tra cui tre marce per la pace da Isola del Cantone (paese della mia prima esperienza parrocchiale) a Genova Centro.
Mi ha profondamente colpito e commosso la testimonianza di don Sandro Artioli, prete fedele alla propria vocazione di seguace di Gesù. Chiarissimo… Mi lascia tuttavia addolorato la sua attuale sofferenza a causa della malattia.
Dice: “Oggi i poveri stanno aumentando, sono oltre 1 milione: ogni giorno muoiono 30 mila bambini senza cibo e senza casa. Se io non avessi la tragedia della mia testa, senza memoria e molto dolorante, mi dedicherei a questi poveri del mondo, dando loro quello che posso”. Non vorrei apparire retorico, ma Sandro Artioli non ha bisogno di “dedicarsi ai poveri del mondo”. Ne è già parte a pieno titolo: è quello che ha fatto Gesù, facendosi povero tra gli ultimi e condividendo la sua vita tra essi e con essi.
Lo sento sincero quando scrive che “fin da bambino, e poi nel seminario, io ho capito che Gesù proponeva di mettersi in basso e aiutare i poveri e i massacrati”. E ha realizzato la sequela di Gesù dal momento che confessa che ha “fatto 27 anni di lavoro molto pesante perché, spinto dal mio Gesù, volevo affiancarmi agli operai più massacrati. Ho subito cinque infortuni (schiena, due braccia, ginocchio, mano)”.
Non solo. Dopo tanti anni che ha vissuto da povero tra i poveri, adesso ha una sofferenza in più: la malattia. Ed é più simile a tanti poveri che soffrono per malattie causate dalla loro situazione di povertà.
Un anno fa, quando scoprii d’avere un tumore al colon, ne ero stranamente contento: finalmente anch’io potevo partecipare delle sofferenze di tanti ammalati. Affrontai l’intervento chirurgico con gran serenità, affidandomi ai medici come al Padre stesso, il quale credo che non fa miracoli, ma che agisce attraverso gli uomini (questi sono i suoi angeli!). Fu allora che mi venne spontaneo correggere le parole bibliche di Giobbe, che mi parvero come una bestemmia, anche se involontaria: “Dio dà, Dio toglie: sia lodato il Signore”. No, mi dissi: Dio è amore quindi sempre dà, mai toglie. Chi ci toglie vita o ce la diminuisce è l’inevitabile limite umano, come nel caso di una malattia, o di un incidente; oppure, molto spesso, la cattiveria degli umani, come nel caso dei milioni di persone impoverite dal nostro ingiusto sistema di vita, contro il quale spesso ci scagliamo solo a parole, mai con uno stile di vita più essenziale e meno consumista.
In conclusione: mi tolsero un pezzo di colon, passai in ospedale 15 giorni senza mai una linea di febbre. Ho fatto la chemioterapia: accettai una forma sperimentale e intensiva di soli 3 mesi. Mi risparmiarono l’ultimo ciclo a causa di una forte infiammazione alle mucose orali e intestinali che mi impedivano di assimilare cibo. Persi rapidamente 12 kg di peso e fui obbligato a ricoverarmi nuovamente… Ad agosto ero al Campo Famiglie con la mia Comunità Cristiana. A settembre ero sui monti a camminare. In 4 giorni percorsi più di 60 chilometri attorno al Monviso: erano la migliore prova della mia ripresa. Da allora ho fatto altri due controlli con esami medici: pare che tutto sia tornato alla normalità.
Certo: di questo ringrazio il Padre. Ma lo faccio con grande delicatezza e timidezza: perché io sono salvo e Michele, un amico di 48 anni, è morto la vigilia di Natale per un tumore? Perché io sto bene e don Sandro continua a soffrire? È un mistero insondabile. Forse, per la Comunione dei Santi che ci lega, devo ringraziare anche don Sandro e le sue sofferenze se io e tanti altri stiamo meglio di salute! Forse, proprio per la stessa Comunione che ci lega, io dovrò continuare a fare quello che don Sandro vorrebbe fare, ma non può: lavorare e lottare per un mondo più fraterno ed Umano…
Insomma, io ringrazio e prometto di averlo sempre presente in spirito e di agire anche in suo nome… che è anche il nome di Gesù, povero e sofferente.