Lo ha fatto: rapimento Cirillo. Dopo il rapimento di Aldo Moro che, per “principio etico”, nessuno ha voluto salvare per non trattare con le Brigate Rosse. Ma quando le BR portano via il notabile della Dc napoletana, i servizi segreti cominciano subito a parlare con Cutolo…
La cronaca degli ultimi periodi insistentemente riferisce della possibilità che uno scellerato accordo intervenuto tra Stato e cosa nostra abbia potuto interferire nella stagione stragista del 1992/1993. Purtroppo se questa ipotesi fosse dimostrata non si tratterebbe della prima volta che si documenta il tradimento che uomini dello Stato hanno compiuto scendendo a patto con chi le istituzioni si prepone di distruggerle. Il pentito Francesco Di Carlo infatti rivelò come, mentre era detenuto nel carcere inglese di Full Sutton nei primi anni ’90, ricevette una visita di uomini dell’intelligence che volevano da lui un consiglio per poter individuare un killer per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino ma ancor prima avvenne nel 1981 a Napoli durante le concitate fasi del rapimento dell’onorevole Ciro Cirillo. Chissà perché nessuno lo ricorda. Ecco la cronaca di cosa accadde allora.
Ore 21,45 del 27 aprile 1981. Le Brigate Rosse sequestrano, nel garage del suo palazzo a Torre del Greco (Napoli), il democristiano Ciro Cirillo, assessore all’urbanistica con delega per la ricostruzione post-terremoto. Sono cinque le persone che eseguono il sanguinoso rapimento in cui perdono la vita l’agente di scorta Luigi Carbone, l’autista Mario Cancelli e resta ferito Ciro Fiorillo, segretario dell’assessore.
Nel comunicato numero uno i brigatisti rivendicano il rapimento e chiedono la liberazione di otto attivisti. Inizialmente la decisione presa dagli uomini delle istituzioni è quella di non voler scendere a patti con i terroristi ribadendo in questo modo la strategia della fermezza che si era deciso di intraprendere tra anni prima durante il rapimento di Aldo Moro.
In realtà a sedici ore dal rapimento i servizi segreti iniziano già a muoversi prendendo contatti con il boss della camorra Raffaele Cutolo, in quel momento incarcerato ad Ascoli Piceno. L’uomo infatti mantiene saldamente l’assoluto controllo del territorio anche dalla prigione.
Il funzionario del SISDE, il servizio segreto civile per le informazioni e la sicurezza democratica, Giorgio Criscuolo si reca ad Ascoli Piceno ad incontrare Cutolo così da ottenere notizie sull’ostaggio, si presenta al boss come “avvocato Canfora” ma viene immediatamente smascherato dallo smaliziato padrino che, in un impeto di orgoglio che purtroppo è allora mancato alle istituzioni, lo caccia.
Intanto i giorni passano e il 9 luglio 1981 i sequestratori annunciano di aver preso la decisione di giustiziare Cirillo. I servizi segreti si affrettano a tornare da Cutolo, questa volta viene proposto in maniera esplicita di barattare la collaborazione del camorrista con benefici giudiziari ed economici. Cutolo chiede di avere una figura di garanzia e la possibilità che ai colloqui presenzino anche due suoi uomini di fiducia. In qualità di referenti della Democrazia Cristiana gli vengono presentati Giuliano Granata e Flamino Piccoli e, sempre grazie alla complicità dei servizi segreti, vengono fornite nuove identità ai latitanti di camorra Enzo Casillo e Corrado Iacolare che possono quindi partecipare in tranquillità alle trattative accanto al loro boss Cutolo. Ai due camorristi viene anche concessa la tessera dei servizi segreti per mezzo della quale possono introdursi nel carcere di Palmi a caccia di informazioni utili.
Quasi contemporaneamente e apparentemente senza motivo le brigate rosse si contraddicono comunicando che non giustizieranno Cirillo ma potrebbero liberarlo in cambio del pagamento di un salato riscatto.
Il compenso viene pagato e Cirillo viene liberato il 24 luglio del 1981 dopo 89 giorni di prigionia.
Subito dopo la liberazione la macchina su cui viaggia Cirillo e che si dirige per ordine dei magistrati verso la Questura per raccogliere la testimonianza del politico viene raggiunta da quattro auto, un funzionario di polizia mai più individuato pretende che gli venga consegnato Cirillo e lo porta a casa dove è atteso dai leader del suo partito.
La paura è dunque passata ma le stranezze intorno alla vicenda rimangono e si notano.
Viene il tempo delle domande. Chi ha pagato il riscatto? Perché lo Stato si è abbassato a trattare con la camorra? A che prezzo? Cosa è cambiato da quando si era deciso di sacrificare l’onorevole Moro in nome della integrità morale dello Stato?
Libero Mancuso, il pubblico ministero di Napoli che seguì la vicenda non riuscendo a raccogliere la testimonianza di Cirillo dopo il suo rilascio avverte forte la pressione che esercitò sulla vicenda il mondo politico. Il magistrato indica Antonio Gava, democristiano in seguito accusato di associazione camorrista e assolto solo per “mancata impugnazione”, e Flaminio Piccoli, segretario del partito democristiano ammesso alla trattativa con Cutolo, come i veri protagonisti della liberazione.
L’anno seguente il ministro degli Interni Virginio Rognoni ammette il pagamento del riscatto e dalle indagini del giudice Carlo Alemi emerge che oltre ad essere stata versata la somma alle Brigate Rosse una notevole cifra viene intascata anche da Raffaele Cutolo. Sempre secondo le indagini condotte da Alemi sarebbero stati assegnati fraudolentemente anche alcuni appalti per la ricostruzione post-terremoto che aveva colpito il napoletano a ditte indicate personalmente da Cutolo.
La verità che deve essere ancora accertata e che rischia di rimanere per sempre uno dei segreti bui della nostra Repubblica è quella che circola intorno ai benefici riservati a Cutolo per ripagarlo della collaborazione e della merce che si usò come “scambio” con le BR. Sembra emergere che ai brigatisti vennero elargiti, oltre ai soldi del riscatto, anche armi ed una preziosa lista di indirizzi di magistrati impegnati nell’antiterrorismo oltre ad un elenco di esponenti delle forze dell’ordine.
Non si può non notare come le BR, esattamente un anno dopo il rapimento Cirillo, uccisero Raffaele Delcogliano, assessore campano alla formazione professionale, e solo tre mesi dopo freddarono con un colpo in pieno viso il capo della squadra mobile di Napoli, Antonio Ammaturo, che aveva redatto un dettagliato dossier sul “caso Cirillo” che misteriosamente scompare. Muoiono in circostanze misteriose Enzo Casillo e Corrado Iacolare, i latitanti che affiancarono Cutolo durante la trattativa con lo Stato e gli ufficiali dei servizi segreti che li favorirono, muore l’avvocato di Cutolo, l’ambasciatore delle Brigate Rosse e anche i compagni di cella del camorrista. Una scia di sangue impressionante.
Interrogato da un giornalista molti anni dopo Ciro Cirillo rispose così circa i misteri del suo rilascio “Signore mio, glielo dico subito, io non le racconterò la verità del mio sequestro. Quella, la tengo per me, anche se sono passati ormai venti anni. Sa che cosa ho fatto? Ho scritto tutto. Quella verità è in una quarantina di pagine che ho consegnato al notaio. Dopo la mia morte, si vedrà. Ora non voglio farmi sparare”.
Susanna A. Pejrano Ambivero (Milano, 06 Agosto 1971) ha una formazione medico scientifica, spesso impegnata in battaglie sociali e culturali soprattutto nell ambito del contrasto alla mentalità mafiosa. Vive nel profondo nord, a Cologno Monzese (MI), località tristemente nota per fatti di cronaca legati a 'ndrangheta e camorra.