Il Berlusconi cileno sta per entrare alla Moneda, dove è morto Allende. Skarmeta, autore de “Il postino di Neruda”, esule negli anni della dittatura, racconta come il paese può cambiare.
Quando Pinochet viene arrestato a Londra, cerco Antonio Skarmeta all’università di Sant’Antonio (Texas), dove insegnava letteratura spagnola. Sbaglio il fuso, gli rubo il sonno. Volevo sapere con quale felicità accoglieva la notizia: il dittatore che l’aveva obbligato all’esilio era finito sotto chiave. La voce di Skarmeta era la voce della notte. Incredula: “Perché mi svegli con un sogno?”. Dieci anni dopo il sogno sembra finire. La destra si riprende il potere. La gente ha cambiato idea.
I governi Lagos e Bachelet hanno ridotto la povertà trasformando il Cile nel paese meno disuguale dell’America Latina. I senza niente erano il 40 per cento quando Pinochet ha perso il referendum nel ’90. Sono scesi al 3 per cento e la popolarità della Bachelet supera l’80. Alla fine del mandato presidenziale non era mai successo. Se vince la destra cosa cambia?
«Se la destra vince farà ciò che sa fare molto bene: smonterà la protezione di stato per i ceti deboli e annacquerà l’attenzione sociale costruita con pazienza negli ultimi vent’anni dal centrosinistra dei governi della Concertazione. Approverà leggi che flessibilizzano il lavoro in modo da licenziare rapidamente i dipendenti appena il mercato ribassa. Bisogna dire che i governi Lagos e Bachelet sono applauditi dagli imprenditori e mi riesce difficile immaginare perché dovrebbero cambiare rotta. Cosa può fare la destra che già non ha fatto la sinistra trasformando il paese in quello che è? Privatizzare imprese e beni di stato, diminuire le imposte delle industrie e difendere gli interessi della conservazione. Ma se la destra dovesse proprio vincere avrà in parlamento una forte opposizione che la obbligherà a negoziare ogni decisione».
Il Cile è il laboratorio nel quale gli Stati Uniti hanno sperimentato modelli politici che permettevano il controllo delle risorse del continente. Nel ‘73 il colpo di stato di Pinochet e l’arrivo dei Chicago’s Boys aprono la porta al liberismo imposto dai militari in Argentina, Uruguay, Paraguay e Brasile. Se le vecchie idee tornano al potere nel paese più europeo del continente, possono trascinare a destra i paesi latini governati dalla sinistra?
«È difficile che la destra cilena allarghi l’influenza nelle realtà che la circondano. I tempi sono cambiati. Nessuno può influenzare nessuno. Le vecchie definizioni non rispecchiano la realtà. La sinistra della Bachelet è diversa dalla sinistra del Brasile di Lula, né somiglia alla sinistra di Chavez o di Morales per non parlare di Argentina e Uruguay. Quattro realtà che restano lontane dalla dottrina di Fidel Castro. Credo che ogni paese dell’America Latina – ammirata per lo sviluppo cileno degli ultimi anni – guarderà con curiosità ciò che farà Piñeira. Solo curiosità».
Pinochettismo senza Pinochet?
«Per carità. La destra cilena rispetta le regole della democrazia e ha preso le distanze dal ricordo di Pinochet. Il sentimento generale è cambiato. Un nipote di Pinochet si è presentato alle elezioni candidato indipendente nei dipartimenti di Las Condes, Vitacura e Heuchuraba dove vivono i protagonisti più ricchi della realtà cilena. Non ce l’ha fatta a diventare deputato. Ha ottenuto 20021 voti, il 9,81 per cento. Se nello zoccolo duro della nostalgia per la dittatura i profughi del pinochettismo raccolgono questo magro risultato, si può dire che ammirazione e memoria del dittatore nel resto del paese non esistono più».
«Tutti lo sanno. Nel plebiscito del 1988 convocato da Pinochet per riguadagnare l’investitura popolare, Sebastian Piñeira ha votato contro. È un impresario liberale e democratico. Se vince, vince grazie alla capacità di affascinare la gente, grazie al potere (tv, radio, giornali) che gli permette di raggiungere ogni persona. Vince anche per l’infiacchimento del centrosinistra dopo 20 anni di governo».
Centrosinistra fiacco, perché?
«Per tre ragioni. Per aver mantenuto una dirigenza immobile, non cambiando le facce, non rinnovando le proposte. I ragazzi l’hanno abbandonato alla ricerca di novità. Si erano stancati di una conduzione politica che trascurava la gente trincerandosi nelle cupole della militanza ormai appassita. Poi scandali, inefficienza e corruzione dilatate dai media che in Cile, bisogna dirlo, sono quasi tutti nelle mani della destra. Si è sentito il bisogno di cambiare potere per depurarlo. E poi novità che non erano novità ma solo irrazionalità, hanno offuscato lo straordinario lavoro del centrosinistra: sulle ceneri della dittatura ha saputo pacificamente organizzare una economia stabile e in continuo progresso, uno stato attento al sociale e un prestigio internazionale inedito nella storia dell’America Latina. Peccato».
Malinconia di Skarmeta che si consola col successo dell’ultimo libro: “Un padre de pelicula”, un padre da film. Uscirà in Italia da Einaudi. Ma è il cinema a tentarlo col brivido dell’Oscar: dopo la vittoria con “Il postino di Neruda”, il regista Fernando Trueba è stato scelto per rappresentare la Spagna nel teatro di Los Angeles: quel “Ballo della vittoria”, romanzo di Skarmeta che racconta la felicità di quando Salvador Allende entra alla Moneda. Due libri, forse due Oscar: si consola così.