Impossibile essere felici se i disoccupati si arrampicano sui tetti
11-01-2010
di
Frei Betto
Ogni lettera che ricevo, ogni volta che incontro un amico, ascolto lo stesso augurio: che sia un anno felice. Sarà un anno felice per gli operai senza lavoro che in Italia e in altri posti del mondo si arrampicano sui tetti per manifestare la disperazione di chi perde il posto per i giochi delle aziende che scappano con i soldi dove la mano d’opera costa meno? Sarà un anno felice per gli afgani e gli iracheni e per i soldati Usamericani agli ordini di un presidente che ritiene “giusta la guerra di occupazione”? Saranno felici i bambini africani ridotti a scheletri dagli occhi vuoti per la tortura della fame? E saranno felici, o almeno serene, le coscienze impegnate a Copenaghen a salvare gli affari compromettendo una vita sostenibile?
Bisogna mettersi d’accordo sul significato della parola “felicità”. Aristotele afferma che è il bene più grande a quale tutti aspiriamo. E il suo collega Tommaso d’Aquino segnala: è qualcosa di lontano dalla pratica del male. Da Hitler a Madre Teresa di Calcutta tutti cercano la felicità nelle cose che fanno. La differenza é nell’equazione egoismo-altruismo. Hitler riponeva la felicità nell’allargamento dell’ambizione e del potere personale; Madre Teresa nella felicità di coloro che Frantz Fanon chiama “i dannati della terra”. La felicità, bene che tutti rincorrono, non figura nelle offerte del mercato. Non è possibile comprarla: bisogna conquistarla. La pubblicità prova a convincerci che felicità è solo il risultato di un accumulo di piaceri. Per Roland Barthes, il piacere è “la grande avventura del desiderio”. Stimolati dalla propaganda, il nostro desiderio si in cammina verso la montagna dei consumi. Vestire abiti firmati, comprare l’automobile alla moda, vivere in case o condomini di lusso – assicura la pubblicità – e sarete felici.
Desiderare un anno felice vuol dire sperare che gli altri siano felici. Ecco il dubbio: il grande proprietario che sdegna l’assistenza sanitaria e fa lavorare in nero, paghe inesistenti, i dipendenti la cui fatica lo arricchisce, davvero avrà un anno felice? Chi sfrutta gli schiavi dall’Africa all’Italia, è sicuro di un 2010 felice? Facendo il contropelo al consumismo, Jung dava ragione a San Giovanni della Croce: il desiderio cerca sempre la felicità ma la vera felicità é la “vita piena” manifestata da Gesù difficile da cogliere nei beni offerti dal mercato. L’arte della piena felicità consiste nel conservare il desiderio nel cuore guidati dalla fede e controllando le emozioni, soprattutto le emozioni che stravolgono la ragione. Un’avventura spirituale: essere in grado di togliere le maschere che coprono il nostro egoismo. Operazione non semplice perché spesso offendiamo chi mi amiamo, siamo sgarbati con chi ci si rivolge con delicatezza, egoisti con chi è generoso, prepotenti con le persone che non ci sono abbastanza grate. O con chi non ci lascia trapiantare i nostri soldi in terre lontane per aumentare i nostri benefici, pazienza se qualche centinaio di esseri umani si ritrovano senza lavoro e senza speranza. Per essere davvero felici è necessario processare i nostri impulsi. Un cammino lungo e profondo alla ricerca dell’amore, proprio come quando si è innamorati. È chiaro che certe conquiste (sociali e di ricchezza) procurano un’allegra sensazione di vittoria. Ma non bastano per renderci solidamente felici quando il mondo attorno è intristito dalla miseria, dal degrado ambientale e da politici corrotti. Realtà sgraziata nella quale siamo immersi e della quale siamo responsabili per scelta od omissione. È possibile cercare la felicità comune – duratura e consolante – solo se rimuoviamo le ingiustizie attorno.
È il vecchio mondo che all’inizio di ogni anno ci impegniamo a ripudiare per crearne uno nuovo. Via le vecchie abitudini. Vecchi abitudini vuol dire chiudersi in una felicità personale dimenticando la felicità di chi ci sta attorno. Bisogna riuscire a superare i modelli produttivi-consumistici per sostituire al Pil (prodotto interno lordo) il Fil, felicità interna lorda basata sull’economia della solidarietà. Ogni anno nuovo ci ripromettiamo di farlo e ogni anno nuovo ci si accorge che siamo sempre sulla strada delle intenzioni: crudeltà rivestita di dolci princìpi, odio ricoperto da parole d’amore. Nel 2010 ce la faremo? Eterna scommessa contro il pessimismo. Speriamo.
È una delle voci libere della Teologia della Liberazione. Frate domenicano, giovanissimo, è stato imprigionato e torturato dalla dittatura militare brasiliana. L'impegno umano, inevitabilmente politico, verso i milioni di diseredati che circondano le città e vivono nelle campagne del suo paese, lo ha reso pericoloso agli occhi dei generali che governavano il Brasile.
Ha scritto 53 libri. La sua prosa diretta e affascinante analizza l'economia e la politica, la vita della gente con una razionalità considerata " sovversiva " dai governi forti dell'America Latina, e non solo. Non se ne preoccupa. L'ammirazione dei giovani di ogni continente lo compensa dalla diffidenza dei potenti. Venticinque anni fa ha incontrato e intervistato Fidel Castro, libro che ha fatto il giro del mondo. Lula, presidente del Brasile, lo ha voluto consigliere del programma Fame Zero. Frei Betto è oggi consigliere di varie comunità ecclesiastiche di base e del movimento Sem Terra.
Ha vinto vari premi. L'Unione degli Scrittori Brasiliani lo ha nominato Intellettuale dell'anno. Il suo libro " Battesimo di Sangue ", tradotto in Italia, è diventato un film.