Favola razzista che non è una favola, scritta pensando alla sua Calabria dove Ismail è l’uomo nero. Chi è nato li e chi deve scappare: “La vuole la verità? Ci trattano come bestie”
Ismail è un “uomo nero” di venticinque anni, uno dei tanti che è stato costretto ad andarsene dal paesino della Calabria dove sperava di poter almeno sopravvivere raccogliendo arance dall’alba al tramonto per la misera paga di venti, venticinque euro al giorno. Sfruttato dalle ‘ndranghete locali e accampato in locali fatiscenti, dormendo in scatole di cartone dove ci si sveglia a pezzi e gelati per dover subito ricominciare daccapo….
Tutto il resto, le violenze, l’esasperazione, vengono dopo, ma così poi si può tornare a dire che l’uomo nero è una bestia pericolosa. Finché accetta tutto in silenzio, lavoro immane, paghe inadeguate, pizzo, derisioni, pallottole, tanto si può anche pensare che sia pure una bestia scema, da poter sfruttare all’infinito…
Ma Ismail è scappato dal suo paese perché non poteva essere libero ed è arrivato in un paese “libero” ma dove la libertà non gli è stata ancora una volta riconosciuta, dove è stato, ancora una volta, costretto a subire maltrattamenti da schiavi pur di non morire…
E allora la fiaba dell’uomo nero, così popolare da non essere mai stata scritta da nessuno, ma così razzista da far credere che le leggende popolari forse volevano dire qualche altra cosa… potremmo inventarla di sana pianta così:
C’era una volta un ragazzo di colore che aveva vissuto tante vite, una più disgraziata dell’altra, perseguitato sia nella sua terra che in quella in cui era stato“importato” (così avevano scritto, per evitare ipocrisie, nella Costituzione americana, quando erano riusciti pure a mimetizzare lo schiavismo con l’immigrazione, ma per fortuna oggi se ne sono finalmente resi conto ed hanno pure eletto un Presidente di colore ).
Nell’Italia del Sud, dove l’uomo bianco delle ‘ndrine dovrebbe fare molto più paura di lui, e dove comunque i poveri cristi disoccupati sempre più spesso si confondono con quelli come lui, il ragazzo nero e i suoi compagni di sventura sono arrivati giù dal Nord, dove il troppo freddo e le fabbriche in chiusura li avevano già sacrificati abbastanza. Tra gli aranceti e un’accoglienza che sembrava più calda (in fondo la Calabria era un po’ come “l’Africa del nord”) speravano di poter trovare conforto e lavoro…
“Il lavoro al nero? Si dà, ma ‘al nero’”, disse spiritosamente qualcuno per indorare la pillola della misera paga senza garanzie (spese di trasporto escluse, ovviamente), e un letto di cartone in un locale fatiscente si può sempre trovare… “Cosa vuoi di più? Se no t’indi po’ iri d’undi venisti”. Una bella accoglienza, non c’è che dire, meno male che a Natale la pasta al forno e il Panettone qualche anima pietosa glielo ha portato, perché non si dica che non c’è solidarietà al Sud.
Ma poi….se ti deridono o addirittura ti sparano, forse proprio quelli che ti hanno trovato lavoro, così non ti viene in mente di fare storie… Che fai?!? Spacchi tutto? Diventi davvero l’uomo nero che spaventa a morte i bambini? Anche i tuoi compagni fanno lo stesso? Lo vedi, dunque, che siete davvero dei bestioni selvaggi? Proprio quello che temevamo!… Vai a fare del bene a questi animali!
Come dici? Eravate esasperati e non ne potevate più di essere umiliati così? Mah….
Non ho visto odio in quei volti, pubblicati su internet a decine. Solo dolore, anzi disperazione. E ho sentito una stretta al cuore nel vederli andar via in fila indiana,così soli, a testa china, ma pure così dignitosi e silenziosi, imbacuccati nei loro giubbotti e con i borsoni riempiti alla meglio, per un esodo che sembra senza fine.
Fuori dall’Italia, comunque, perché senza un lavoro regolare. O con una domanda d’Asilo che è già carta straccia gettata in mare.
“E ora chi le raccoglie le arance, compare?”.
“Tranquillo, compare. Ne arriveranno altri, più disperati di loro, quanto prima. Con un nuovo pizzo da pagare, oltretutto. Tanto, che ne sa lo Stato? Con tutti questi clandestini illegali vengono a guardare se gli illegali siamo noi? E poi c’è Bossi, compare, dalla nostra parte,ormai: o questi neri, per lui, non sono molto peggio dei terroni?”…
Giusy Frisina insegna filosofia in un liceo classico di Firenze