Ricompare Noriega: dittatore di Panama, spia della CIA
04-02-2010
di
Alessandra Riccio
Ha finito di scontare la galera negli Usa dopo un processo secretato per ragioni di stato negli anni del Bush padre (che governava la CIA). Ma resta in galera perché gli Usa non vogliono rimandarlo a Panama. Sa troppe cose, ha troppi amici
“Cara e piña“, faccia di ananas, come era chiamato in Panama, il generale Manuel Noriega proprio venti anni fa, nel gennaio del 1990, veniva stanato dal suo rifugio nella Nunziatura apostolica della capitale. La sua resa avveniva dopo un lungo assedio da cui usciva assai malridotto a causa del supplizio dei decibel con cui gli assedianti statunitensi avevano cercato di far capitolare un impaurito e ormai sconfitto Presidente della Repubblica del Panama, reo di aver contrapposto brogli elettorali a brogli elettorali, ma soprattutto di aver osato ribellarsi a Washington dopo essere stato per anni nel libro paga della CIA. Inghiottito nell’anonimato di un carcere nella Florida – che molti indizi suggeriscono come più che confortevole – Noriega fu giudicato come prigioniero di guerra anche se non fu lui a scatenare la guerra contro gli Stati Uniti, ma gli Stati Uniti a invadere e bombardare quel paese dopo aver chiuso gli aeroporti e aver tenuto i giornalisti assolutamente “embedded”. Tutto quel che si è saputo è che il quartiere di El Chorrillo, duramente colpito da proiettili al fosforo bianco, ha dovuto lamentare alcune migliaia di morti e che il paese fu messo in ginocchio in poche ore, mentre Endara, una grassa marionetta al servizio degli yankee, giurava come Presidente in una base panamense degli USA. Una giovane cineasta nordamericana ci ha lasciato l’unica documentazione filmata di quegli avvenimenti in un bel documentario che vinse anche un Oscar, a riprova di quanto sia intoccabile l’impunità del potere della nazione più forte del mondo che con una mano premia e con l’altra insabbia.
Oggi, un dispaccio della Reuter ci informa che Noriega ha già finito di scontare da due anni la sua condanna ma che non esce dal carcere perché non vuole essere estradato in Francia, la cui giustizia lo reclama per poter eseguire una sentenza che lo condanna a dieci anni per lavaggio di denaro sporco frutto del traffico di cocaina investito nell’acquisto di immobili di lusso in quel paese. Non potendo essere rimandato al suo paese che pure lo reclama, Noriega preferisce restare nella comoda prigionia di Miami che essere estradato in Francia; eppure, negli anni in cui era al potere, esibiva con grande orgoglio e presunzione il nastrino della Legion d’Onore di cui era stato insignito dal Governo francese. I suoi avvocati sostengono che, in quanto prigioniero di guerra, Noriega deve essere rimandato in Panama, una tesi che il Tribunale Supremo degli Stati Uniti non intende accogliere sostenendo che la Convenzione di Ginevra che regola il trattamento dei prigionieri di guerra non può essere applicato a “Faccia d’ananas”. Adesso tocca a Hillary Clinton firmare l’autorizzazione all’estradizione, ma qualcuno ci dovrebbe pur spiegare perché la Giustizia statunitense è così ben disposta verso l’estradizione di Noriega in Francia mentre invece si oppone fieramente all’estradizione richiesta insistentemente dal Venezuela, di Posada Carriles, reo confesso del sabotaggio dell’aereo delle Bahamas in cui morirono più di settanta persone. Un qualche funzionario USA aveva, a suo tempo, sostenuto che la giustizia venezuelana non offriva garanzie per il prigioniero, ma dopo l’11 settembre e le tante, scandalose violazioni dei diritti dei prigionieri, nessuno ci può più credere.
Alessandra Riccio ha insegnato letterature spagnole e ispanoamericane all’Università degli Studi di Napoli –L’Orientale. E’ autrice di saggi di critica letteraria su autori come Cortázar, Victoria Ocampo, Carpentier, Lezama Lima, María Zambrano. Ha tradotto numerosi autori fra i quali Ernesto Guevara, Senel Paz, Lisandro Otero.E' stata corrispondente a Cuba per l'Unità dal 1989 al 1992. Collabora a numerosi giornali e riviste italiani e stranieri e dirige insieme a Gianni Minà la rivista “Latinoamerica”. E’ tra le fondatrici della Società Italiana delle Letterate.