Ecco, viste da lontano, le “debolezze strutturali” dell’Italia in rapporto agli altri paesi europei:
– la criminalita organizzata che controlla interi territori (questo non succede in nessun altro paese europeo)
– siamo decentrati rispetto al cuore dell’Europa (ci sono 2000 km dalla Sicilia alla Germania: pur essendo l’Italia un paese relativamente piccolo). Metà del paese è più vicino al nord Africa che all’Europa. Si dice che è un vantaggio essere un ponte con l’Africa e il Medio Oriente ma oggi è più teorico che altro. Gli stimoli di “modernità” oggi vengono soprattutto dalla Mittel Europa. Dall’unità d’Italia il divario nord-sud è sostanzialmente rimasto intatto. Il sud si è avvicinato al nord al livello dei consumi ma non al livello della produzione agricola-industriale. Siamo un paese “duale”
– la grande arretratezza delle strutture di trasporto ferroviario (almeno con 50 anni di ritardo rispetto alla Francia)
– una macchina pubblica lenta e costosa
– non abbiamo un grande “retroterra” internazionale come lo hanno la Germania, la Francia, la Spagna e, naturalmente, l’Inghilterra. Insomma l’italiano si parla solo in Italia. Questo in un’epoca di mondializzazione conta molto. Siamo, anche per questo, un mercato relativamente ridotto
– una fragilità del territorio (lo vediamo in questi mesi) insieme alla frammentazione “municipale”. L’Italia dei 1000 comuni ho l’impressione sia oggi più una debolezza che un vantaggio
– dipendenza assoluta per ciò che riguarda l’energia.
Queste alcune “costanti” limitanti. Parliamo adesso alle cause sociali, culturali e politiche:
– mancanza di quello che si chiama “senso dello stato” (familismo, etc.). Se ne è sempre parlato molto. Le cause storiche sono conosciute. Ma costruirlo è un’altra cosa. Anche perché il modello non può essere né la “disciplina” tedesca, né “la grande patrie” francese. Ma certo l’Italia ha bisogno oggi di maggiore coesione sociale
– diffusione della corruzione e sua accettazione a livello culturale. Idem per l’evasione fiscale
– nessun investimento nella ricerca e in generale una tradizione culturale che non privilegia la scienza e la tecnica. Arretratezza e non internazionalizzazione del sistema universitario
– forte invecchiamento della popolazione
– immigrazione disordinata e concentrata in un periodo relativamente breve (a differenza della Francia, del l’Inghilterra o di altri paesi (basta pensare al ruolo dei paesi ex Commonwealth per la piazza finanziaria di Londra).
E infine le cause politiche.
Personalmente rifiuto il semplicismo di chi sostiene che la causa di tutto è la “casta”. Sicuramente la classe politica si è chiusa nei suoi interessi più meschinamente elettorali e personali. Ma anche gli industriali non sono stati all’altezza: basta vedere la trasformazione di grandi gruppi industriali in gruppi immobiliaristi e speculativi e la corsa alle delocalizzazioni. Quanto ai sindacati sono bravi a difendere i diritti acquisiti, molto meno a costruire proposte innovative nell’interesse di tutti i lavoratori (protetti, precari, stranieri, etc.).
Ma su un fatto, credo, noi dobbiamo riflettere particolarmente:l’Italia ha vissuto da metà degli anni ’60 all’inizio degli anni ’80 un periodo di grandi (ma anche tumultuose) innovazioni politiche e sociali ma, nello stesso tempo, è stata “martirizzata” dal terrorismo di destra e di sinistra. Il paese è rimasto sfiancato, deluso, impaurito, chiuso in sé stesso. La sinistra è entrata in crisi di identità, il che ha aperto spazio al populismo di destra. Questo non è successo solo in Italia ma è in Italia che ha trovato pochi antidoti.
Il risultato è stato il collasso della prima repubblica: ma qualcuno oggi se la sente di dire che la seconda è migliore della prima?
Insomma, sono almeno due decenni che non siamo governati. Nel senso che si discute di tutto ma non dei problemi reali (nuove povertà, perdita di competitività, sicurezza sociale, debito pubblico, rigidità del bilancio, mercato del lavoro).
L’impressione è che ci stiamo avvitando una spirale discendente che non ha solo connotazioni economiche e politiche: si alimenta anche di una “dimissione” di fiducia e di autostima che sta condizionando lo spirito della gente.
Antonio Fattore è membro di CICERO, rete di italiani residenti all'estero. Vive in Brasile, a San Paolo