Dicono che per tre anni non ci saranno elezioni. Invece l'anno prossimo si vota a Milano e Bologna. Casini, deluso dalle regionali, potrebbe candidarsi nella sua città, commissariata dopo le dimissioni del sindaco Delbono (travolto dallo scandalo d'amore). Con la strategia dei due forni e l'appoggio di Berlusconi, l'ex delfino di Forlani potrebbe farcela
Riccardo LENZI – Se Casini diventa sindaco di Bologna
08-04-2010Disse una volta l’ex ministro Dc Bisaglia: «Politicamente ho due figli, uno bello e uno intelligente». Si riferiva a Pierferdinando Casini e Marco Follini (oggi nel Pd). Dopo l’uscita di Follini dall’Udc, il primo incontro pubblico tra i due “figli” pare sia avvenuto nel 2009 a Rovigo, in occasione del 25° anniversario della morte di Bisaglia. Come tutti i devoti, Casini sa bene che, soprattutto in politica, morto un “papà” se ne fa un altro: infatti, dopo il 1984, le foto lo ritraggono al fianco del segretario Arnaldo Forlani nella direzione nazionale Dc, accademia della politica dove entrano solo i cacciatori di preferenze. Un’arte, quella della raccolta di voti, che richiede un talento pari a quello di Dustin Hoffman in “Rain man”, capace con un colpo d’occhio di contare gli stuzzicadenti caduti sul pavimento.
Le elezioni regionali 2010 non hanno premiato la strategia centrista di Pier. Autorevoli osservatrici, benché affette da una sorta di strabismo cognitivo, sostengono che i disertori delle urne siano tutti “moderati”, sempre più spaventati da urlatori partigiani. Sarà per questo che non pochi professionisti della politica – più che strabici, forse daltonici – persistono nell’affannosa rincorsa al fantomatico centro. Intanto un numero crescente di moderati, spesso ex democristiani, sono diventati leghisti… “Viva la Padania, abbasso l’aborto”? Cosa farà il bel Pier, dopo lo straripante successo dell’odiata Lega? Tra le ipotesi che circolano, c’è chi scommette su un leghista al posto della Moratti in cambio di un Casini sindaco a Bologna. Le ferite del caso Delbono; il conseguente, inedito commissariamento del Comune felsineo; la crescente emorragia di voti del Pd bolognese. A sinistra i campanelli d’allarme non mancano. Tra un annetto i cittadini bolognesi sceglieranno il nuovo inquilino di Palazzo d’Accursio: cosa succede se il centro-destra, finora diviso e litigioso, trova un accordo sul nome di Pier? Vuoi mettere la soddisfazione di guidare la città che molti, all’indomani della caduta di Delbono, avrebbero affidato al rivale di sempre: San Romano Prodi. Vedremo.
Nato a Bologna il 3 dicembre 1955, laureato in giurisprudenza, dopo una carriera politica tanto prestigiosa quanto imprevedibile, l’ex delfino del democristiano Forlani era giunto a ricoprire la terza carica dello Stato, oggi occupata da Fini: presidente dei deputati italiani. Nell’Italia (an)estetizzata, Pier è considerato uno dei pochi bellocci della politica. In effetti nella biografia di Pierferdy donne e famiglie hanno un ruolo centrale. L’attuale parentela con il notabile e potente costruttore Caltagirone, per esempio, non è un fatto privo di incidenza sulle dinamiche politiche o, tanto per dire, sull’assegnazione di appalti. Anche il fallimentare “pacs” politico tra D’Alema e Casini pare fosse condizionato da queste non marginali public relations. Senza contare la catena di giornali che fanno capo alla moglie (Messaggero, Mattino, quotidiani veneti e pugliesi) risposta di carta al Cavaliere delle antenne.
Una vita da mediano? Non proprio. Appena laureato si sistema alla grande. Dirigente d’azienda alle Officine Reggiane, proprietà ente di stato, ministro delle partecipazioni statali, onorevole Bisaglia. Con la laurea fresca di inchiostro, Casini diventa responsabile dei rapporti con l’estero. Quando l’Efim vende le Reggiane all’imprenditore Fantuzzi i – tagliando posti di lavoro – l’avvocato Contino, che si occupa della liquidazione, chiede informazioni sul dottor Casini: “qui nessuno lo ha mai visto”. Casini riceve la lettera d’addio, ma non ci sta. Con un giro garbato di parole fa capire che “lei non sa chi sono io”. Ma ci ripensa. Tre mesi dopo, nel sonno d’agosto, passa una leggina della quale nessuno si accorge: i dirigenti Efim hanno diritto a candidarsi a una direzione di uguale importanza in altro ente legato allo stato o in qualche ministero. L’onorevole Casini chiede alla Fantuzzi di confermare il licenziamento indicando quale futuro obiettivo una direzione al Coni. Toc, toc…
Lo ritroviamo a Bologna nel 1980, anno della strage fascista alla stazione, su uno scranno del Consiglio comunale. All’ombra delle due torri inizia a convivere con la figlia (divorziata) del cardiologo Lubich: primo matrimonio, prime due figlie. Tre anni dopo debutterà alla Camera dei Deputati. Il 24 giugno del 1984 muore in circostanze piuttosto misteriose il suo primo referente politico, il veneto Antonio Bisaglia, grazie al quale il giovane Pier aveva iniziato a frequentare il Palazzo (come portaborse). Al congresso Dc del 1986 la svolta: convince Emilio Rubbi a schierarsi con lui, mettendo in minoranza la “sinistra di base” guidata da Beniamino Andreatta e Giancarlo Tesini. Manovra gradita a Giovanni Goria, che premia il senatore Rubbi con un posto da sottosegretario alla Presidenza del Consiglio (alle politiche del 1992 De Mita si vendicherà lasciando Rubbi, per la prima volta, fuori dal Parlamento).
Passano gli anni. Arriva il 1998, anno di divorzi. Mentre a Roma Clemente Mastella tradisce Pier flirtando con Cossiga, a Bologna finisce l’idillio matrimoniale dei coniugi Casini: separazione consensuale. Roberta Lubich esce di scena. Insieme al matrimonio si scioglie anche il nodo tra Pds e Ccd che, tra l’altro, avrebbe portato la “signora Casini” nel cda del teatro comunale. La Curia bolognese storce il naso ma chiude un occhio. La burocrazia della Sacra Rota imporrà una paziente attesa (quasi dieci anni) prima di consentire il secondo matrimonio, civile: Azzurra Caltagirone, figlia dell’imprenditore romano Francesco Gaetano, allieterà il periodo della forzata convivenza extramatrimoniale dando alla luce, nel 2004, la terzogenita Caterina. Non si può dire che il bel Pier non abbia sempre messo “al centro” la famiglia…
Molti credono che il leader Udc sia uno dei pochi democristiani di spicco a non essere stato coinvolto in indagini all’epoca di Tangentopoli. Non è esattamente così. Era il 1993 quando i nomi dei deputati Pierferdinando Casini e Paolo Babbini (Psi), insieme all’assessore comunale all’edilizia Anna Fiorenza (Psi), vennero iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Bologna. L’indagine, riguardante il finanziamento illecito ai partiti del Caf (Craxi-Andreotti-Forlani), nacque dalle dichiarazioni di Luciano Piombo, titolare della Alucom, azienda produttrice di alluminio, poi dichiarata fallita. La fedina penale di Pier resta immacolata, ma i rapporti con la magistratura cominciano a guastarsi. Ironia della sorte: due anni prima Casini e Babbini comparivano – assieme a Enrico Boselli, Ombretta Fumagalli Carulli e Salvo Andò (socialista catanese, oggi Pd, più volte salvato dalla condanna grazie alla prescrizione) – tra gli autori del volume “I giudici e la politica. Riformare il Csm per difendere l’indipendenza della magistratura”.
Le elezioni passano, le disgrazie restano. Colpa, anche, di una memoria collettiva a brevissimo termine. Toc toc… c’è nessuno? Quanti ricordano la solidale telefonata dell’allora Presidente della Camera all’imputato Marcello Dell’Utri alla vigilia della condanna di quest’ultimo a nove anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa? Telefonata nella quale il leader Udc esprimeva al bibliofilo siciliano “i sensi più profondi di stima e amicizia” (comunicato stampa 928, Camera dei deputati, 1° dicembre 2004).
Resta la tentazione di un paragone: cosa distingue un Presidente della Camera come Pertini da Presidenti come Casini o Fini? L’ex pretore di Genova Mario Almerighi ricorda quando Pertini piangeva dalla rabbia all’indomani dello scandalo Italcasse: “La corruzione è nemica della democrazia, la corruzione offende la coscienza del cittadino onesto, l’esempio deve essere dato dalla classe dirigente e in primo luogo da me che vi parlo. Si colpiscano i colpevoli di corruzione senza pietismi, senza solidarietà di amicizia o di partito. Questa solidarietà sarebbe vera complicità, la politica deve essere fatta con le mani pulite”. Nostalgia di una democrazia leale con tutti: senza sussurri o crostate di marmellata nella casa dei congiurati. Un’intransigenza morale che mal si concilia con le disavventure di Totò “Vasa Vasa” Cuffaro o con le pratiche libertine dell’ex deputato Cosimo Mele (sotto processo a Roma per i festini a base di coca e, nel frattempo, punito dagli elettori foggiani che non hanno gradito la sua presenza nella lista a sostegno di Adriana Poli Bortone, candidata Udc alla presidenza della Puglia).
Schizofrenia politica o autismo democratico? Cercasi risposte (e reazioni) plausibili.
Riccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)