La Lettera

Per ripulire la democrazia inquinata i ragazzi hanno bisogno di un giornale libero

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È abbastanza frequente che editori della carta stampata chiudano i loro giornali. Anche a me è capitato quando dirigevo “L’Avvenire d’Italia”, e oggi si annuncia una vera e propria epidemia a causa della decisione del governo di togliere i fondi all’editoria giornalistica. Ma che chiuda Domani di Arcoiris Tv, che è un giornale on line, è una notizia …

La Lettera

Domani chiude, addio

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Teatro bene comune per il palcoscenico di dopodomani

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Teatro Municipal - Foto di Elton Melo

“Non si può bluffare se c’è una civiltà teatrale, ed il teatro è una grande forza civile, il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte”. Parole di Leo …

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Il governo Berlusconi non è riuscito a cancellare l’articolo 18, ci riuscirà la ministra Fornero?

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La protesta civile di Patrizia Moretti, Ilaria Cucchi, Lucia Uva, Domenica Ferrulli: madre, sorelle e figlia di vittime innocenti, uccise (due volte) dalla violenza di Stato. Contro la tortura impunita nel paese del bavaglio e del finto garantismo

Quattro donne davanti a Montecitorio chiedono che l’Italia punisca la tortura (fuori e dentro il carcere)

10-10-2011

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Le foto di Aldrovandi, Cucchi, Uva e Ferrulli esposte davanti a Montecitorio il 5 ottobre 2011

Un paese storicamente devastato dalla corruzione, dall’evasione fiscale e dalle mafie non ha il coraggio di interrogarsi sulle proprie silenziose complicità. Decenni di propaganda politicotelevisiva hanno portato milioni di cittadini ad accettare che la certezza dell’impunità prevalesse sulla certezza della pena. Ecco da dove vengono quei sentimenti “forcaioli” che tanto infastidiscono i garantisti d’Italia. Una folta ed eterogenea schiera: dalla coerenza di un Luigi Manconi (che denunciava la vergognosa ed insostenibile situazione delle carceri italiane in tempi non sospetti) all’ipocrisia di un Marco Pannella che, pur di dare addosso alla magistratura, è passato dalla difesa dell’innocente Tortora, all’amicizia con gli stragisti Mambro e Fioravanti, fino alla recente “non sfiducia” di Saverio Romano, ministro in odor di mafia. Sono famose le “contraddizioni” dei Radicali: da anni denunciano (meritoriamente) gli scandalosi privilegi del Vaticano, celebrando ogni anno la breccia di Porta Pia, salvo applaudire Papa Giovanni Paolo II quando, poco prima di morire, andò in Parlamento a chiedere l’amnistia. Certo: se nel 2006 il Parlamento avesse votato un’amnistia selettiva anziché il famigerato indulto (quello che ancora oggi, in virtù dell’obbligatorietà dell’azione penale, costringe i giudici ad istruire anche i processi destinati alla prescrizione) il sovraffollamento delle carceri sarebbe minore e molti delinquenti non sarebbero a spasso. In compenso i garantisti alla Pannella non hanno mai concesso né attenuanti né secondi gradi a chi non la pensa come loro: siamo tutti forcaioli e giustizialisti!

Eppure un garantismo meno ideologico dovrebbe far riflettere anche (soprattutto) su ciò che accade prima e non solo dopo un delitto. Se è vero che il carcere, in un paese civile, dovrebbe avere una funzione rieducativa e non solo punitiva, è altrettanto vero che l’impunità è la peggior nemica del garantismo. “Nessuno tocchi Caino” è il mantra che i Radicali hanno inventato per combattere, giustamente, la pena di morte. In realtà questo perdonismo ha ben poco a che fare con la pietas cristiana. È comodo accusare di “giustizialismo” il Di Pietro di turno; meno facile (e meno proficuo elettoralmente) sarebbe puntare il dito contro i parenti delle vittime; magari accusandoli, come faceva l’incontinente Cossiga, di andare solo “a caccia di soldi”: quei risarcimenti che ancora oggi i familiari non hanno ricevuto, a causa della mancata applicazione di una legge dello Stato.

La situazione delle carceri italiane è vergognosa, come i Radicali, Luigi Manconi e pochi altri denunciano da tanti anni. Ancor più vergognosa è la situazione degli ospedali psichiatrici, “un inferno dei dimenticati” portato alla luce dalla commisione d’inchiesta sul servizio sanitario nazionale guidata dal senatore Ignazio Marino (qui la videoinchiesta di “Presa Diretta”).

Eppure mentre tanti poveracci marciscono in queste galere, fanatici assassini hanno beneficiato di sconti di pena e trattamenti carcerari ipergarantisti. Non solo Mambro e Fioravanti (oggi liberi, come i loro “eroi” neofascisti Tuti e Concutelli). Anche i fratelli Savi e i loro complici, ex poliziotti della banda della Uno bianca, rischiano di uscire dal carcere prossimamente.

Intanto i picchiatori di Bolzaneto, benché riconosciuti colpevoli (e prescritti), sono stati promossi. E quelli che hanno ammazzato di botte ragazzi come Federico Aldrovandi e Stefano Cucchi continuano a fare il loro lavoro, coperti da un clima omertoso che fa venire il voltastomaco.

Non ci sono parole migliori di quelle pronunciate da quattro donne (madri, sorelle, figlie), private dei loro affetti più cari, per rendersi conto di quanto coraggio sia necessario, nell’Italia di oggi, per essere semplici cittadini che chiedono verità e giustizia:

 

Siamo quattro famiglie normali e quattro esperienze di giustizia allucinanti, processi compresi.

Questa giustizia è solo per i ricchi.

Questa giustizia protegge soltanto i diritti dei più forti, di coloro che hanno un potere o che hanno capacità economiche.

Questa giustizia calpesta quotidianamente i diritti degli ultimi.

Questa giustizia non ha nessun rispetto e considerazione per le vittime dei  reati.

Nessuno si interessa veramente ai problemi della giustizia e la gente capisce solo quando vi rimane stritolata.

Legge bavaglio, processo lungo, processo breve, intercettazioni. Tutti falsi problemi, figli di una tanto imbarazzante quanto grande ipocrisia, dietro la quale di nasconde, e nemmeno bene, la volontà di coloro che abusano del loro potere a danno dei cittadini di farlo in silenzio, di nascosto ed impunemente.

Vergogna!

I processi e le cause sono ormai insostenibili per qualsiasi famiglia normale.

Si muore in tribunale, si muore per la giustizia, si muore in carcere e in qualunque strada, si muore di carcere. E i problemi per i nostri politici sono le intercettazioni  dei festini e delle escort.

Siamo indignate, addolorate, offese e abbiamo bisogno di tornare a credere in uno Stato, che sembra ignorare noi e le esigenze di tutti i cittadini  normali che hanno bisogno della giustizia.

Firmato:
Ilaria Cucchi 37 anni amministratrice di condomini a Roma, madre di due figli. Sorella di Stefano morto dopo un pestaggio subito dentro il tribunale di  Roma, il 22 ottobre 2009.
Lucia Uva 51 anni, Varese, casalinga, madre di quattro figli. Sorella di Giuseppe, morto nell’ospedale di Varese dopo una notte passata dentro la caserma dei Carabinieri, il 14 giugno 2008.
Domenica Ferrulli 26 anni, Milano, impiegata, madre di due figli. Figlia di Michele, morto durante un fermo di polizia a Milano il 30 giugno 2011.
Patrizia Moretti 50 anni, impiegata comunale all’ufficio protocollo del Comune di Ferrara. Madre di due figli, uno, Federico, morto appena maggiorenne per colpa di quattro poliziotti che hanno rotto sul suo povero corpo ben due manganelli, il 25 settembre 2005.

 

La legge bavaglio contro la quale anche queste quattro donne italiane hanno recentemente protestato davanti a Montecitorio (qui il video della manifestazione) è solo l’ultima versione di una serie di tentativi bipartisan di “mettere la mordacchia” – come si diceva un tempo – a chi fa informazione. Chissà se l’ordine dei giornalisti saprà dare un senso a se stesso, espellendo tutti quei giornalisti – tanti, troppi – che in questi anni e in queste ore hanno difeso questi provvedimenti liberticidi. A cosa serve un ordine dei giornalisti che non sa tutelare i lettori e i telespettatori da quei colleghi che, per trenta denari, stanno contribuendo a distruggere il giornalismo?

Verità e giustizia sono ciò che manca. Ma anche la certezza della pena, l’esatto contrario dell’impunità. Perché se è vero che “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” (articolo 27 della Costituzione), è altrettanto vero che “è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà” (articolo 13). Eppure spesso si ha l’impressione che ai garantisti di casa nostra stiano a cuore solo i diritti di chi è in carcere. L’Italia è l’unico paese europeo che non ha adempiuto all’obbligo internazionale di introdurre il reato di tortura nel codice penale. Ciò siginifica che, nella migliore delle ipotesi, gli atti di tortura o i maltrattamenti di un pubblico ufficiale vengono perseguiti solo come lesioni personali: la pena per questo reato va da tre mesi a tre anni… Ma questo i paladini del garantismo non lo dicono quasi mai. In compenso l’anziano onorevole Vincenzo Scotti (ex sindaco di Napoli democristiano, oggi vice-Frattini al Ministero degli Esteri, ndr) lo scorso giugno ha avuto la faccia tosta di dichiarare alle Nazioni Unite che “il reato di tortura in Italia non sarà introdotto perché non serve”. Si vede che l’italia è un paese particolarmente virtuoso: le altre nazioni hanno già introdotto nel loro codice penale il reato di tortura: in Francia è punito con 15 anni di detenzione; la Spagna, addirittura, oltre a prevedere il delitto comune di tortura prevede anche il delitto di tortura penitenziaria che è commesso dalle autorità o funzionari di istituzioni penitenziarie nei confronti di detenuti ed è punito da 2 a 6 anni. In Grecia è prevista la pena da 3 anni all’ergastolo.

Pertanto non ci si dovrebbe scandalizzare per le condizioni nelle carceri italiane, senza prima scandallizzarsi per ciò che avviene fuori: nelle strade, nelle caserme, sui luoghi di lavoro, nelle case degli italiani. Quella subita dalle vittime prima, e dai familiari poi (costretti ad aggiungere al dolore del lutto il dolore per i tentativi di infangare la reputazione dei loro morti) non è forse una forma di tortura? Quante volte si è cercato di dipingere le vittime della violenza di stato come “drogati”, “violenti”, “con precedenti penali”, “pederasti”, “pervertiiti”, salvo scoprire a distanza di tempo che si trattava di infamanti calunnie? Quale punizione meriterebbero coloro che si sono macchiati di questi “doppi omicidi” (togliere la vita e spargere bugie per sporcarla davanti agli occhi dell’opinione pubblica)?

Verità e giustizia: due cose che lo Stato, nella prima e nella seconda repubblica, ha costantemente negato. La medesima richiesta dei familiari delle stragi che hanno insanguinato la storia d’Italia dal dopoguerra ad oggi. Con i depistaggi, con i segreti di stato, con gli assordanti silenzi.

Sarà molto difficile che il nuovo fascismo che da troppi anni ci governa riesca a tappare la bocca anche ai familiari delle vittime. Non gli basterà chiudere tutti i blog, ammesso che ne siano capaci. È un mondo, quello del web, che questi uomini anziani e rancorosi conoscono poco. Fortunatamente alle persone oneste resta il coraggio esemplare di certe donne e la voglia di libertà di tanti giovani: ecco le uniche risorse per uscire da questo secondo tragico ventennio e dai suoi irrespirabili miasmi. Tutto il resto è noia (e vergogna).

Riccardo LenziRiccardo Lenzi (Bologna 1974) è redattore e free lance. Ha scritto due libri: "L'Altrainformazione. Quattro gatti tra la via Emilia e il web" (Pendragon, 2004) e, insieme ad Antonella Beccaria, "Schegge contro la democrazia. 2 agosto 1980: le ragioni di una strage nei più recenti atti giudiziari" (Socialmente, 2010)
 

Commenti

  1. Mauro Matteucci

    La mia più completa solidarietà va a queste quattro donne coraggiose in nome della giustizia e della verità per i loro cari.

  2. max aliverti

    totale solidarietà con queste donne e le loro famiglie.conosco bene la storia di cucchi ed essendo di varese anche quella di uva ed in entrambi i casi è chiaro che ci sono state parecchie “anomalie” da parte delle forze dell’ordine e non solo….. concordo sul fatto che vada introdotto il reato di tortura con delle pene congrue e sicure.per la situazione delle carceri penso che si dovrebbero depenalizzare alcuni reati minori come ad esempio la legalizzazione delle droghe leggere o almeno la possibilità che uno si possa coltivare due o tre piantine di canapa per il suo fabbisogno e non contribuisca così a riempire le carceri di poveri ragazzi e a rimpinguare le casse di qualche mafia.

  3. Lorenzo G.

    Tutto questo mette tristezza e malinconia.E la classe politica è incapace o cinica per affrontare una simile situazione.

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