“Segreta”, di Gianni D’Elia, Einaudi
È possibile conciliare l’ars poetica con la politica e la storia? Questa la domanda che pare trasparire dall’auto-antologia poetica di Gianni D’Elia (Pesaro, 1953), appena uscita da Einaudi nella Collezione di Poesia (collana in cui aveva già pubblicato le raccolte Segreta, Notte privata, Congedo della vecchia Olivetti, Sulla riva dell’epoca, Bassa stagione e Trovatori). E la risposta è decisamente sì. Il libro, infatti, è l’emozionante raccolta di quei testi poetici che tra il 1977 e il 2007. Non a caso si intitola Trentennio che D’Elia ha composto mettendoci dentro se stesso e il mondo che gli stava e gli sta attorno.
Trent’anni importanti per la società e per la politica; trent’anni che hanno visto la passione trasformarsi in amarezza, la vita sociale mutarsi in solitudine, e le speranze di una generazione scontrarsi con le tragedie che hanno insanguinato e deluso un intero Paese.
Un’antologia che ha proceduto di pari passo con la rilettura di un passato cronologicamente ancora vicino ma emotivamente lontano anni luce. Oltre trecento pagine che sembrano potersi leggere come un libro con il testo a fronte: sulla pagina pari gli avvenimenti che hanno sostanzialmente inizio col 1977, su quella dispari i versi di un poeta che ha vissuto in prima persona quegli stessi avvenimenti…
Fino a oggi, fino a quello sconforto che si prova per questo mondo ottuso che si voleva cambiare. Dalla splendida Tien An Men (tra l’altro musicata e cantata da Claudio Lolli):
E queste rose volano, non sanno
nulla della rivolta in cui si sono
aperte, del sangue invaso di bandiere
che oggi ancora si apriranno…
Fino al magistrale poemetto conclusivo, scritto tra il 2006 e il 2007, dal titolo appunto Trentennale, che in 37 “stanze” ripercorre e a suo modo riassume le pagine precedenti:
… e come fummo stanchi del saccheggio
del movimento duro e disperato,
ci piacque più il poeta e lo scrittore
con l’odio e l’amore per ogni cosa…
Poesia e politica. D’Elia utilizza un verso di Baudelaire, tratto dall’Ode a Parigi vista dall’alto di Montmartre, per dirci che conciliare queste due parole è come riuscire a estrarre l’oro dal fango – M’hai dato Tu il tuo fango, / ed io oro ne ho fatto…” -, che solo stando dentro il fango della realtà ne è possibile tirar fuori la poesia più nascosta. Che è da questa realtà che tutto corrompe che il poeta, che però è anche, e forse soprattutto, uomo e politico, può proporci la sua – ma anche nostra, anche se imbrattata di fango, e di polvere da sparo e di polvere d’eroina – rilettura delle cose.
Una storia collettiva che viene continuamente rivista attraverso il microcosmo della sfera privata. Tornando a Gramsci, a Pavese, a Pasolini (rimando i lettori all’articolo di D’Elia su Pasolini e il romanzo postumo Petrolio), ma anche ai “suoi” poeti francesi come Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Artaud, Char, Éluard, di cui propone in limpide versioni i suoi cosiddetti “furti d’autore”. E, insieme, “rievocazioni minime, personali, amicali”, ma che fanno parte delle vicende di tutti, e in cui tutti ci possiamo riconoscere.
Un libro di “storia in versi”, dunque, che ci dice che senza la poesia e senza l’arte ogni rivoluzione non può che miseramente fallire:
Se non la storia, la nostra memoria
la risarcisca almeno un po’ la rima,
cari vecchi compagni senza gloria,
nel trentennale di tanta rovina…
Paolo Collo (Torino, 1950) ha lavorato per oltre trentacinque anni in Einaudi, di cui è tuttora consulente. Ha collaborato con “Tuttolibri” , “L’Indice” e “Repubblica”. Ogni settimana ha una rubrica di recensioni su "Il Fatto Quotidiano". Curatore scientifico di diverse manifestazioni culturali a Torino, Milano, Cuneo, Ivrea, Trieste, Catanzaro. Ha tradotto e curato testi di molti autori, tra cui Borges, Soriano, Rulfo, Amado, Saramago, Pessoa.