Ci sono sempre due strade, anche per la Repubblica, una per il bene, l’altra per il male. Due notizie giunte nello stesso giorno hanno aperto uno squarcio sull’una e sull’altra.
La prima notizia è che la Corte d’Appello di Genova ha rovesciato la sentenza di assoluzione, abbastanza scandalosa, che era stata pronunciata in primo grado per l’irruzione della polizia nella caserma Diaz nel luglio del 2001, durante il G8 di Genova. Che lì fossero stati commessi dei veri e propri crimini contro ragazzi inermi era apparso agli occhi di tutti, e non c’era stato bisogno di intercettazioni per scoprirlo. Per di più erano stati crimini commessi in nome dello Stato, a fini di ordine e sicurezza pubblica, così come erano interpretati dal governo del tempo; né erano stati eccessi di subalterni, ma esecuzione di ordini giunti attraverso una catena di comando risalente molto in alto. Se questi reati non fossero stati sanzionati, il segnale sarebbe stato che il potere può fare quello che vuole, fino alla violenza e alla lacerazione dei diritti umani, fino a inventare false bombe molotov e falsi attentati; e tutti i sovvertimenti della legge e le violazioni della Costituzione perpetrati in seguito da quel ceto di governo ancor oggi al potere sarebbero stati così legittimati e avallati.
Ma ci sono dei giudici a Genova, ci sono dei giudici in Italia. Non solo gli stracci volano, si possono condannare anche i potenti, perfino interdirli dai pubblici uffici. Nonostante il tentativo spasmodico di abbattere il servizio della giurisdizione e di portarlo sotto il controllo dell’esecutivo, la magistratura resiste, la giustizia viene amministrata, l’arroganza del potere è punita. Non si tratta di Genova, si tratta della Repubblica. La buona strada resta aperta davanti a lei nella misura in cui l’arbitrio non riesca a prevalere sul diritto, e la Costituzione sia fatta salva.
La seconda notizia è che passa in Parlamento la legge Alfano contro le intercettazioni, che in realtà è una legge contro l’obbligatorietà dell’azione penale, perché una grande quantità di reati in forza di essa resterebbero ignoti, e per i noti verrebbero straordinariamente intralciate le indagini, venendo di fatto tolti ai giudici importanti mezzi di conoscenza e supporti tecnologici, come le intercettazioni telefoniche e ambientali, l’acquisizione dei tabulati telefonici, le videoregistrazioni. Ma è anche una legge contro la libertà di informazione e di stampa, perché trasforma in reato la notizia di reato; ed è in modo specifico una legge contro editori e giornalisti, perché li intimidisce con la severità delle pene e li minaccia di ammende e di carcere.
Questa strada è molto pericolosa, perché va a finire in regime. Cambia infatti la natura stessa della giurisdizione penale, che in un sistema democratico e in uno Stato di diritto è esercitata con la massima trasparenza ed al cospetto dell’opinione pubblica, e che invece queste norme vogliono che sia esercitata come un’Inquisizione, nel segreto delle stanze, senza intralcio di giornalisti e da giudici di cui non si può né sapere né pubblicare il nome. E cambia la natura del potere che, abbandonato ogni pudore, si sente ormai così estraneo alle regole e opposto alla cultura democratica, da voler mettere, per legge, le mani sulla stampa per poter poi mettere, senza remore, le mani sulla città, le mani sul Paese.
Si sta infatti attuando un disegno; sembrano sgangherate le azioni del governo, insidiate da una maggioranza turbolenta, dettate da interessi contingenti, determinate da questo o quel processo da evitare al Capo, reclamate da situazioni di emergenza come il terremoto, la spazzatura o la festa di padre Pio; ma in realtà c’è una razionalità, una logica, una tessitura che mirano a un risultato, a un cambiamento irreversibile dell’Italia come comunità politica; e c’è un’urgenza, bisogna lavorare di notte, perché ci sono solo tre anni di tempo che Berlusconi vuole consumare fino in fondo, con o senza Bertolaso, con o senza Scajola, con o senza Dell’Utri, con o senza Fini, fino a quando la controrivoluzione sia compiuta.
Per contrastare questa legge molti hanno rivendicato l’utilità delle intercettazioni che negli ultimi trent’anni hanno permesso di scoprire e perseguire gravi reati, e di contrastare con sempre maggiore efficacia il cancro della mafia e delle altre forme di criminalità organizzata.
A me basta ricordare che grazie a una intercettazione telefonica abbiamo saputo che c’è in Italia qualcuno che ride nel cuore della notte alla notizia del terremoto dell’Aquila, pensando alla ricchezza e al potere che ne potrà trarre di giorno. Così sappiamo che la strada a cui oggi ci conducono è quella in cui, come dice il Deuteronomio, sono posti davanti a noi non “la vita ed il bene”, ma “la morte ed il male”.
Raniero La Valle è presidente dei Comitati Dossetti per la Costituzione. Ha diretto, a soli 30 anni, L’Avvenire d’Italia, il più importante giornale cattolico nel quale ha seguito e raccontato le novità e le aperture del Concilio Vaticano II. Se ne va dopo il Concilio (1967), quando inizia la normalizzazione che emargina le tendenze progressiste del cardinale Lercaro. La Valle gira il mondo per la Rai, reportages e documentari, sempre impegnato sui temi della pace: Vietnam, Cambogia, America Latina. Con Linda Bimbi scrive un libro straordinario, vita e assassinio di Marianela Garcia Villas (“Marianela e i suoi fratelli”), avvocato salvadoregno che provava a tutelare i diritti umani violati dalle squadre della morte. Prima al mondo, aveva denunciato le bombe al fosforo, regalo del governo Reagan alla dittatura militare: bruciavano i contadini che pretendevano una normale giustizia sociale. Nel 1976 La Valle entra in Parlamento come indipendente di sinistra; si occupa della riforma della legge sull’obiezione di coscienza. Altri libri “Dalla parte di Abele”, “Pacem in Terris, l’enciclica della liberazione”, “Prima che l’amore finisca”, “Agonia e vocazione dell’Occidente”. Nel 2008 ha pubblicato “Se questo è un Dio”. Promotore del “Manifesto per la sinistra cristiana” nel quale propone il rilancio della partecipazione politica e dei valori del patto costituzionale del ’48 e la critica della democrazia maggioritaria.