Sono tornato da Gerusalemme, la mia vera città, dove vivrei fino oltre la morte. Ho vissuto lì per quasi 5 anni, durante tutta la seconda intifada in un Paese militarizzato a ogni passo. Vi sono ritornato dopo 7 e ho visto pochi soldati, sostituiti dal «muro», segno visibile di una prigionia a cielo aperto dei Palestinesi e di Israele. Sono tutti prigionieri della paura e della stupidità, alla quale non c’è rimedio. Sono tornato a rivedere i luoghi della salvezza o meglio ancora della salvezza che s’incontra nei luoghi geografici: è la geografia della fede perché qui la Bibbia, Dio, Gesù Cristo, fede e profezia acquistano un senso reale, si toccano, ti toccano. Ho camminato ancora per le strade dove ha camminato Gesù e hanno mosso i primi passi gli apostoli. Da lì è partito il Vangelo non come codice morale, ma come Nome di un progetto che non si ferma all’effimero e all’oggi, ma va oltre il pensabile, oltre ogni esperienza.
Ho visto l’orto degli Ulivi e la valle del Getsèmani, la tomba della Vergine Maria, l’Ascensione e il Padre nostro; il luogo da cui Gesù ha pianto su Gerusalemme, prevedendo la sua distruzione; la strada romana che da Sion porta alla valle di Giòsafat che Gesù ha percorso centinaia di volte; la tomba di Davide e il Cenacolo, il pinnacolo del Tempio e le mura erodiane; il Muro occidentale (o del pianto); il quartiere ebraico e le case bruciate, le porte di Gerusalemme e le tombe dei re; Yad Vashem e l’olocausto; la Facoltà dove ho studiato (Studium Biblicum), il Santo Sepolcro e il Calvario con tutto ciò che lo circonda di fede e di storia e di contraddizioni; la fortezza di Masada, il Mar Morto e gli scavi di Qumran che hanno fatto fare alla Bibbia un salto di oltre 1200 anni. In una parola, tornando in Italia, ho lasciato il cuore a Gerusalemme.
In tutti i posti ho portato con me i nomi di tutte le persone con cui sono in contatto direttamente e via internet: le richieste esplicite e anche quelle non dette. Non si va mai a Gerusalemme da soli. Ho portato con me i desideri di quanti incontro nella mia giornata Ho deposto ogni nome e ogni richiesta sul marmo del Santo Sepolcro, invocando su ciascuno di voi e su ogni persona da voi amata la Risurrezione del Signore. Nessuna situazione di gioia o di dolore, di ansia e di trepidazione ho tralasciato. Eravate tutti mie compagni di viaggio nel cuore di Gerusalemme, la città dei destini del mondo intero. Lo stesso ho fatto a Betlemme: invocando la rinascita del cuore di ciascuna e di ciascuno di voi. Non ho dimenticato alcuno perché tutti voi siete parte integrante del mio cuore e della mia preghiera.
L’amicizia per me non è puramente formale, ma un «dolce peso» che porto con gioia e dove sono io siete anche voi. Ho detto agli amici che erano con me che sentivo il «peso» della vostra presenza, garanzia della mia responsabilità e della mia trasparenza. Mentre leggete questa righe, chiudete gli occhi e sperimentatevi deposti delicatamente nei luoghi che per me sono decisivi e determinanti. Vi ho dato tutto: la mia fede perché vi amo senza interessi. Vi ho regalato la parte migliore di me: la mia amicizia orante senza nulla domandare, ma presente perché era lì, consapevole di vivere un momento di straordinaria intensità.
Ho pregato per la mia parrocchia virtuale, fatta prevalentemente di non credenti e di atei, e quindi di persone con una loro storia, una loro geografia, un loro percorso, una loro etica e una loro grande dignità che rispetto, stimo e amo. Io però non posso essere Paolo senza essere prete e quindi ho pregato per tutti a modo mio, nel nome di Gesù, l’uomo-Dio più laico che io conosca.
A tutti nel nome di Gerusalemme ho dato il bacio della Pace che spero accoglierete come una carezza di dolcezza e di amore. Dalla prospettiva di Gerusalemme, l’Italia non esiste: è meno di un granellino di sabbia e rimettendo piede in Italia e vedendo i giornali, la prima cosa che salta agli occhi è la piccineria e la grettezza nella quale questo stupido Paese sta annegando. Se Roma aveva un imperatore pazzo come Caligola che nominava senatore il proprio cavallo, l’Italia ha Berlusconi che nomina i corrotti che lo sostengono a ministri, inventando ministeri fasulli, pur di sottrarli alla giustizia. Un d. che protegge altri d. L’ultimo nominato, tale Branchèr, ha studiato dai Salesiani come il suo maestro e complice, e il povero don Bosco si rivolta nella tomba su cui danza il cardinale Bertone, salesiano pure lui (ohi, don Bosco!) Pare che anche il cardinale di Napoli danzi il ballo della «cricca».
Costui che adesso si paragona a Gesù Cristo nel Gètsemani (Sepe, Sepe, non nominare il nome di Cristo invanoì!), fu monsignore maneggione al tempo del giubileo e da Giovanni Paolo II fu premiato col cardinalato e la presidenza di Propaganda Fide, la congregazione nell’occhio del ciclone dello scandalo edilizio romano. Questi prelati che prelevano dalle opere del mondo, oscurando le opere delle fede sono la negazione di ciò che rappresentano, ma forse sono convinti da se stessi di non rappresentare alcuno se non i loro interessi e la loro cupidigia. Sfrattano i poveri, regalano ai ricchi, intascano tangenti, fornicano con i potenti e poi cantano inni al celibato e alla povertà. Sepolcri imbiancati che si nutrono solo di esteriore e di sentina e nascondono il marcio che li consuma dentro, diventando ostacoli viventi per quanti vorrebbero credere, ma non possono a causa loro.
Il Papa sabato 19 giungo 2010, ricevendo i vescovi della regione «Leste 2» del Brasile, citando il n. 43 dell’esortazione apostolica di Giovanni Paolo II, dice: «il governo del Vescovo sarà fruttuoso pastoralmente solo se “godrà del sostegno di una buona credibilità morale, che deriva dalla santità della sua vita. Questa credibilità predisporrà le menti ad accogliere il Vangelo annunciato da lui nella sua Chiesa e anche le norme che egli stabilirà per il bene del popolo di Dio”». Mi chiedo come dire queste parole di fuoco ai Brasiliani e poi nominare Bertone a segretario di Stato e circondarsi di persone moralmente degradati: il papa ha la curia che si sceglie e quindi indirettamente responsabile delle malefatte di segretari, cerimonieri, monsignori e cardinalucci effeminati.
Ho speranza che se guardiamo in avanti e più in alto, se rimoduliamo le ragioni che ispirano le nostre scelte, se cominciamo a riformare noi stessi, pretendendo da noi stessi quello che pretendiamo dagli altri, forse è possibile attuare quella rivoluzione che il mondo si attende da noi e che non possiamo compiere perché siamo impantanati nelle pastoie delle nostre miserie. A Gerusalemme è evidente una cosa in modo particolare: non puoi essere autentico se non sei vero e per essere vero non puoi fermarti all’apparenza, ma devi andare al senso profondo della coscienza, cioè del tuo cuore. Fuori dell’amore non vi è salvezza e Gerusalemme, la città dove tutti si odiano, mette in evidente proprio questa necessità: l’amore è la vera rivoluzione e senza di esso, si resta tutti prigionieri di miserabilità senza consistenza. Sì, lasciate che vi porti il messaggio di Gerusalemme, la città delle eterne contraddizioni: ognuno di voi è prezioso e unico perché amato in modo unico.
Paolo Farinella, biblista, scrittore e saggista, è parroco nel centro storico di Genova in una parrocchia senza parrocchiani e senza territorio. Dal 1998 al 2003 ha vissuto a Gerusalemme "per risciacquare i panni nel Giordano" e visitare in lungo e in largo la Palestina. Qui ha vissuto per intero la seconda intifada. Ha conseguito due licenze: in Teologia Biblica e in Scienze Bibliche e Archeologia. Biblista di professione con studi specifici nelle lingue bilbiche (ebraico, aramaico, greco), collabora da anni con la rivista "Missioni Consolata" di Torino (65.000 copie mensili) su cui tiene un'apprezzata rubrica mensile di Scrittura. Con Gabrielli editori ha già pubblicato: "Crocifisso tra potere e grazia" (2006), "Ritorno all'antica messa" (2007), "Bibbia. Parole, segreti, misteri" (2008).