Torna la vecchia Sicilia dei processi Notarbartolo e Andreotti. Qual è stato l'evento che ha convinto i giudici del coraggioso ravvedimento di un senatore della Repubblica?
Come fa a sapere il tribunale che Dell’Utri ha divorziato dalla mafia nel 1992?
01-07-2010
di
Pietro Ancona
È vero che il processo riguarda soltanto il suo oggetto e cioè la persona o le persone che vengono chiamate a rispondere alla giustizia di loro atti. Ma se il processo riguarda una persona pubblica, un senatore della Repubblica, il fondatore di una formazione politica che da quasi venti anni è al potere in Italia, uno tra i massimi collaboratori del Presidente del Consiglio l’oggetto del processo ci riguarda ed interviene nella nostra vita nazionale.
La storia d’Italia è costellata da processi e sentenze che hanno influito sulla vita pubblica. Ricordo per tutti il processo Notarbartolo e quello ai dirigenti dei Fasci Siciliani. Aveva ragione il procuratore Gatto a sottolineare la valenza storica della sentenza. Ma la Corte di Appello di Palermo gli ha dato una risposta negativa che indebolisce il prosieguo della lotta alla mafia perché non contribuisce a fare chiarezza su quanto è accaduto in Italia dopo la stagione stragista. La limitazione allo spartiacque del 1992 del comparaggio di Dell’Utri con la mafia escluderebbe che la fondazione di Forza Italia sia avvenuta con il concorso di questa.
Ma come si fa a stabilire se una persona cessa di essere nell’orbita della mafia a una precisa data? È la stessa domanda che ci eravamo posti per la sentenza Andreotti. Non viene spiegato come il soggetto cessa di essere invischiato con la criminalità. Che cosa è successo? Quale è stato l’evento che ha convinto i giudici della fuoriuscita di Dell’Utri dalla orbita mafiosa? Quali atti, quali documenti, testimoniano di questa svolta nella sua vita?
La sentenza dei giorni scorsi produce effetti negativi sulle indagini e sulla ricostruzione di quanto è accaduto tra il 1992 ed il 1994. Non suffraga le rivelazioni del pentito Spatuzza che sono state ritenute attendibili da tanti magistrati e sono state riscontrate. Se Dell’Utri non ha rapporti con la mafia dal 92 in poi tutto il capitolo di investigazioni faticosamente fatte nel corso di questi ultimi anni riguardanti la trattativa Stato-Mafia, responsabilità di servizi segreti e quant’altro stava emergendo dal mistero fondativo della Seconda Repubblica, viene indebolito. Ma, sebbene la sentenza abbia lanciato segnali di questo segno, io sono portato a condividere l’affermazione di Ingroia che prevede una continuazione delle indagini che non possono essere chiuse dalla lettura assolutoria che la sentenza ha fatto del post 1992.
Colpisce la spocchia, l’arroganza dell’atteggiamento di Dell’Utri a commento della sentenza. Ha mandato le sue “condoglianze” al procuratore Gatto. Ha espresso giudizi sulla Corte che a suo parere sarebbe stata onesta ma pavida ed ha glorificato la figura del mafioso Mangano, stalliere di Arcore, che da vero “omo di panza” non ha parlato e non ha raccontato nulla che potesse nuocere a lui o a Berlusconi. Questa esaltazione del silenzio omertoso del mafioso è una implicita condanna dei pentiti che non sarebbero “eroi” come Mangano ma “infami” perchè collaborano con i magistrati.
Ma domani è un altro giorno. Dopo la sentenza Andreotti la lotta alla mafia non perse vigore e recuperò terreno. Spero che succeda lo stesso dopo la sentenza Dell’Utri. Lo Stato deve essere liberato dalla mafia. L’impresa non è facile e l’Italia di oggi non dà molto sostegno a quanti la combattono.
Già membro dell'Esecutivo della CGIL e del CNEL, Pietro Ancona, sindacalista, ha partecipato alle lotte per il diritto ad assistenza a pensione di vecchi contadini senza risorse, in quanto vittime del caporalato e del lavoro nero. Segretario della CGIL di Agrigento, fu chiamato da Pio La Torre alla segreteria siciliana. Ha collaborato con Fernando Santi, ultimo grande sindacalista socialista. Restituì la tessera del PSI appena Craxi ne divenne segretario.